Le battaglie decidono le guerre, rovesciano i troni e cambiano i confini. In tutte le epoche della storia, sono combattute battaglie che hanno avuto un ruolo fondamentale nel decidere le sorti dell'umanità. Le battaglie, e le loro dirette
conseguenze, sono stati i principali criteri secondo cui tutti i singoli popoli hanno fatto le loro più importanti scelte.
Religione, politica, scienza e filosofia hanno certo dato un enorme contributo alle svolte più importanti della storia, ma il loro pieno impatto si è potuto sviluppare solo quando tribù, nazioni o regni hanno mantenuto una forza militare
capace di vincere battaglie e, quindi, garantire la sopravvivenza del loro stile di vita, della loro cultura e della loro società.
Sottovalutare il significato delle battaglie più importanti della storia sarebbe un gravissimo errore, in quanto i vincitori di esse si sono arricchiti e progrediti da molti punti vista, dominando sui perdenti, i quali vennero soggiogati o addirittura annientati, vedendo disperdersi le loro comunità. Le battaglie, inoltre, determinano la diffusione di culture, civiltà e dogmi religiosi.
Tutti i maggiori storici che si sono occupati delle battaglie più importanti, sostenevano che le battaglie decidono soltanto per un breve periodo il corso della storia, che viene invece determinato nel «lungo periodo» dagli avvenimenti che riguardano le strutture della società. Alcune battaglie però hanno avuto un peso decisivo ed è giusto studiarle con maggiore attenzione, perché se esse non fossero state combattute e vinte la storia dell’umanità avrebbe potuto essere diversa.
Vediamo 5 di queste battaglie, considerate (non a torto) tra le più importanti di tutta la storia.
1. Salamina - Guerre greco-persiane, 480 a.C.
La vittoria navale greca del 480 a.C. nelle acque dell'isola di Salamina e le battaglie terrestri che la seguirono, misero il sigillo alla sconfitta dei Persiani cui aveva iniziato a contribuire, 10 anni prima, la battaglia di Maratona. Salamina significò la completa indipendenza delle città-stato greche che, un secolo dopo, avrebbero costituito il retroterra culturale e la potenza militare da cui avrebbe tratto origine il grande impero di Alessandro Magno; impero che avrebbe impresso nei secoli a venire il marchio indelebile del pensiero greco a tutta la civiltà occidentale.
Nonostante, nel 490 a.C., fossero stati sconfitti dai Greci a Maratona, i Persiani continuavano a mantenere un formidabile esercito e la loro flotta dominava i mari. Dario I, lo sconfitto di Maratona, era ben determinato ad attaccare di nuovo la Grecia, ma prima fu costretto a occuparsi di una insurrezione in Egitto. Morì nel 486 a.C., senza riuscire a mettere in pratica i suoi piani. Gli successe suo figlio Serse I, che diede subito prova della sua stoffa di condottiero soffocando la rivolta in Egitto. Subito dopo, Serse si rivolse alla Grecia, deciso a vendicare la sconfitta del padre e a espandere verso occidente l'impero.
Quando giunse notizia che Serse stava marciando su di loro con un esercito di forse più di 1 milione di uomini e almeno 1.200 navi, le città-stato della Grecia meridionale, Atene e Sparta, e quelle delle Cicladi si allearono per combattere l'invasore. Qualora che fosse la reale dimensione dell'esercito persiano, i Greci decisero che non sarebbe stato loto possibile contrastare una forza militare di tale potenza. Il loro capo, l'ateniese Temistocle, si convinse che l'unica possibilità di vittoria per i Greci stava in una battaglia navale. Se, infatti, fossero riusciti a eliminare la flotta persiana, l'esercito di terra sarebbe rimasto senza rifornimenti e, alla fine, sarebbe stato costretto a ritirarsi.
Temistocle convinse gli alleati ad abbandonare la terraferma e a ripiegare sulla vicina isola di Salamina, da cui avrebbero potuto schierare le loro flotte sbarrando il passo alle navi persiane. Serse prese così Atene, spazzando via rapidamente la piccola retroguardia greca lasciata a difesa dell'Acropoli e, mentre i Persiani si abbandonavano a razzie, Temistocle fece infiltrare dei suoi uomini che si spacciarono per disertori e riferirono ai Persiani che i Greci erano dilaniati dalle dispute intestine e la flotta era sul punto di sciogliersi. Il re Persiano decise allora di attaccarla e distruggerla
La mattina del 23 settembre del 480 a.C. Serse diede il segnale di attacco. La sua flotta era superiore a quella greca per un rapporto di 3 a 1. Tuttavia le 370 navi greche erano più veloci e più grandi di quelle avversarie e avevano inoltre il vantaggio di conoscere bene le acque in cui si sviluppò la battaglia. Le navi greche attaccarono insinuandosi tra quelle avversarie e arrembandole in modo che la fanteria imbarcata potesse neutralizzare gli equipaggi. In meno di 8 ore, Serse poté vedere quasi la metà della sua flotta colare a picco, mentre le perdite greche non superarono le 40 navi.
Per la prima volta nella storia, una battaglia navale decideva le sorti di una guerra. Con la flotta decimata e le navi da rifornimento a rischio, Serse non poteva ormai fare altro che tornarsene in Asia Minore lasciando dietro una forza di occupazione di circa 100.000 uomini.
Se Serse fosse uscito vincitore da Salamina è dubbio che i Greci avrebbero avuto la forza di scacciarlo dalla loro terra e, probabilmente, sarebbe stata la Persia e non la Grecia, a esercitare la sua influenza sull'Europa e sull'Occidente.
2. Poitiers - Invasione musulmana della Francia, 732
La vittoria dei Franchi alla battaglia di Poitiers nel 732 bloccò l'avanzata musulmana in Europa e fece sì che il cristianesimo affermasse definitivamente la sua supremazia sul continente. La battagli fu importante anche perché fece dimenticare ai Franchi le lotte intestine che li avevano tenuti divisi fino a quel momento, facendone un popolo coeso e dando origine a una stirpe di regnanti che, due generazioni dopo, avrebbe portato sul trono Carlo Magno, il grande conquistatore.
Sul finire del settimo secolo e nella prima metà dell'ottavo, i musulmani erano in piena espansione; la loro avanzata, motivata dalla volontà di diffondere il loro credo religioso, non mancava di fruttare loro grandi ricchezze. La conquista di Siria, Egitto e Nord Africa aveva prodotto una gran messe di conversioni all'Islam. Nel 710 i mori e i berberi musulmani del Nord Africa sbarcarono in Spagna agli ordini di Musa ibn Nusayr e, nel volgere di 2 anni, conquistarono l'intera penisola. Nel 718 musulmani decisero di continuare la loro avanzata e, attraversando i Pirenei, puntare alla conquista della fertile Gallia (odierna Francia).
I Franchi profondamente divisi, non sembravano in grado di opporre una resistenza significativa. Nell'estate del 732 l'emiro musulmano di Andalusia Abd al-Rahman mise in marcia verso nord i 60.000 cavalieri del suo esercito. Sulla Garonna, un esercito franco, comandato dal duca Oddone (Eude) d'Aquitania, tentò di respingere l'invasione, ma i musulmani ne ebbero in breve ragione. Il duca e i superstiti del suo esercito si rifugiarono allora a Parigi, ove accettarono di mettere da parte le dispute che fino a quel momento li avevano opposti alle altre casate franche e unirsi loro, sotto il comando di re Carlo, per resistere all'ondata islamica. Il loro esempio fu seguito da altre genti franche, in precedenza nemiche di Carlo, che si unirono al suo esercito per combattere il comune nemico.
Carlo riunì così 30.000 uomini, per la maggior parte fanteria, e marciò a sud, mentre Abd al-Rahman continuava ad avanzare verso nord bruciando chiese e razziando il paese. Entrambi gli eserciti si mossero lentamente ed entrarono in contatto a ottobre, in un'area posta tra Poitiers e Tours. Per diversi giorni i contendenti si osservarono a vicenda e finalmente, in una mattinata di metà ottobre, l'esercito di Abd al-Rahman partì alla carica delle falangi franche. I fanti di Carlo ressero saldamente l'urto, colpendo e infilzando cavalieri e montature. Il massacro cessò solo al calare dell'oscurità ma, non appena spuntò l'alba del giorno dopo, la battaglia riprese con rinnovato vigore e continuò per diversi giorni, finché lo stesso Abd al-Rahman non venne ucciso sul campo.
I superstiti del suo malconcio ed esausto esercito decisero allora che, piuttosto di rischiare di perdere tutto continuando ad assaltare le difese franche, era meglio tornare in Spagna e mettere al sicuro il bottino predato fino a quel momento. Non sono disponibili cifre attendibili sulle perdite causate dalla battaglia. La vittoria di Carlo a Poitiers ebbe effetti a breve e lungo termine. Per la ferma difesa opposta alle cariche della cavalleria musulmana, il re passò alla storia come Carlo Martello e i Franchi restarono uniti sotto il suo governo. Dopo la sua morte, nel 741, i suoi figli reclamarono il trono dei Franchi. Suo nipote Carlo rese ulteriormente unito il regno e ne aumentò il peso politico e militare; passò alla storia come Carlo Magno finendo per diventare imperatore del risorto Sacro Romano Impero.
La vittoria a Poitiers fermò la diffusione dell'Islam in Europa occidentale e l'occupazione musulmana del continente. Carlo Martello e i suoi Galli, nel 732, sconfissero un esercito musulmano molto più forte di loro. Alla fine della battaglia i musulmani sconfitti ripiegarono in Spagna senza più il loro capo e non provarono mai più a mettere in atto una vera invasione. Ciò senza dubbio è più che sufficiente a porre Poitiers tra le battaglie più importanti della storia.
3. Costantinopoli, Guerre Turco-bizantine, 1453
La caduta di Costantinopoli per opera dei Turchi Ottomani, nel 1453, pose fine al millenario impero bizantino e aprì le porte dell'Europa orientale alla diffusione dell'Islam. Per quanto la battaglia dissolvesse per sempre la supremazia cristiana sulla regione, i profughi fuggiti dall'impero sconfitto, avrebbero fortemente influenzato la cultura, le arti e il commercio in Italia e nelle nazioni circostanti, contribuendo grandemente al Rinascimento.
In quegl'anni le difese di Costantinopoli erano formidabili, ma la potenza del suo impero stava crollando. Da quando, nel 1071, la città aveva dovuto cedere alle Armate musulmane i suoi territori orientali nella battaglia di Mantziqert, l'impero bizantino aveva continuato a ripiegarsi su se stesso. A metà del 15° secolo era in pratica ridotto alla sola Costantinopoli. Entro le mura, l'imperatore Costantino XI Paleologo contava su appena 5.000 armati per difendere la sua città-stato e le vestigia dell'antico impero.
Quando Costantino, preavvisato di un imminente attacco, pregò i cristiani d'Occidente di inviargli soccorsi, da essi giunsero appena 3.000 soldati: Roma e l'Europa occidentale trovavano la chiesa ortodossa imperiale detestabile quanto gli stessi musulmani. Nel 1451 Maometto II divenne sultano dei turchi Ottomani e decise di annientare ciò che restava dell'impero romano d'Oriente. Nell'aprile del 1453 mosse su Costantinopoli con un esercito di 80.000 uomini, più di 300 navi e 70 cannoni catturati nei Balcani. Tra questi ultimi c'era anche un pezzo lungo più di 8 metri, capace di scagliare proiettili in pietra pesanti più di 270 chili.
Il 6 aprile l'artiglieria musulmana iniziò a martellare le mura della città. Dopo diversi attacchi, assedi e battaglie, i bizantini, esausti e sovrastati per numero dall'avversario, combatterono con grande valore ma, il 29 maggio, proprio i giannizzeri riuscirono a far breccia nelle mura e penetrarono nella piazzaforte. Altra migliaia di soldati musulmani dilagarono in città al loro seguito. Costantino in persona afferrò la spada gettandosi nella mischia e si narra che in quell'atto urlasse: "Dio non voglia che io viva da imperatore senza impero. Se la mia città cadrà, io cadrò con essa".
E in effetti, Costantino cadde, come gran parte del suo piccolo esercito. I pochi difensori scampati alla battaglia vennero massacrati o venduti come schiavi e lo stesso destino toccò agli abitanti della città. Prima di ristabilire l'ordine, Maometto II concesse al suo esercito 3 giorni di saccheggi e stupri, dopo di che si recò a pregare Allah nella storica basilica di Santa Sofia, simbolo della cristianità. il sultano risparmiò gran parte degli edifici perché aveva deciso di fare della città il centro dell'impero otomano e tale rimase per più di 4 secoli e mezzo, fino alla Prima guerra mondiale.
La conseguenza più immediata della presa di Costantinopoli fu la definitiva scomparsa dell'impero bizantino. Con essa ai musulmani si apriva la strada per un'avanzata a ovest che si sarebbe arrestata solo alle porte di Vienna. Nell'area interessata, la caduta di Costantinopoli e la susseguente conquista musulmana della Grecia e delle regioni circostanti, determinò l'improvvisa fine di un'epoca di grande progresso culturale e artistico.
Filosofi, commercianti, istitutori e artisti di formazione ellenistica fuggirono di fronte alla marea islamica e si stabilirono in Italia, in Francia e in altre regioni europee ove ebbero poi modo di contribuire significativamente al Rinascimento.
La caduta di Costantinopoli aveva certo annientato uno dei più importanti centri del mecenatismo mondiale, ma la sua fine sparse in tutta l'Europa i suoi cittadini più creativi e influenti. La battaglia ebbe anche conseguenze immediate sui commerci e le esplorazioni.
Con Costantinopoli e gran parte del bacino mediterraneo in mani islamiche, le nazioni europee di fede cristiana furono costrette a cercare nuovi spazzi e nuove rotte commerciali. Nel relativamente breve volgere di 50 anni, i grandi navigatori europei si avventurarono oltre il corno d'Africa e attraverso l'Atlantico giungendo ad esplorare il Nuovo Mondo.
Prima o poi, questi viaggi di scoperta avrebbero certo avuto luogo comunque, ma la presa di Costantinopoli ne affrettò l'esecuzione.
4. Yorktown - Rivoluzione americana, 1781
La battaglia di Yorktown segnò l'apice della sollevazione americana contro la gran Bretagna e condusse direttamente all'indipendenza degli Stati Uniti. Molte altre storiche battaglie sono state più rilevanti per dimensioni e situazioni, ma nessuna di esse ha avuto tanta influenza sul futuro.
A partire dai giorni immediatamente successivi alla loro vittoria di Yorktown, gli americani hanno continuamente aumentato il loro potere e la loro influenza fino a raggiungere, ai giorni nostri, la posizione di una superpotenza economica e militare.
Nel 1775, quando a Lexington e Concord vennero sparati i primi colpi della guerra d'Indipendenza americana, sembrava impossibile che pochi coloni inglesi, male armati e peggio organizzati, avessero l'audacia di sfidare i veterani dell'esercito e della marina schierati contro di loro dal governo patrio. Durante il primo anno di guerra, George Washington aveva perso una serie di confronti armati nella regione di New York, ma ogni volta era riuscito a mettere in salvo il grosso delle sue forze per continuare la lotta.
Ancora nel 1778, però, né americani, né inglesi erano riusciti ad avere la meglio e, nelle colonie settentrionali, la guerra era entrata in una situazione di stallo. Le forze britanniche occupavano ancora New York e Boston, ma erano troppo deboli per spazzare via l'esercito ribelle. Sul finire dell'anno, il generale britannico Henry Clinton trasferì buona parte delle sue forze a sud, nelle colonie meridionali, agli ordini di lord Charles Cornwallis. La contromossa di Washington fu di designare al comando delle truppe americane l'abilissimo generale Nathanael Green.
Nella primavera del 1781, Cornwallis penetrò in North Carolina e occupò Yorktown, nella penisola di Virginia, delimitata dai fiumi James e York, dove si trincerò nella cittadina e attese rinforzi e rifornimenti che dovevano arrivare via mare. Nel frattempo, più di 7.000 fanti francesi, al comando di Jean Baptiste de Rochambeau, si congiunsero alle forze di G. Washington fuori New York. Il 21 agosto 1781 egli lasciò alcuni reparti attorno a New York e si congiunse con Rochambeau dove, dopo una marcia di appena 15 giorni, sono arrivati a Yorktown.
Il 9 ottobre, le forze franco-americane iniziarono a martellare le posizioni britanniche col fuoco di 52 cannoni e a scavare trincee per avvicinarsi ai principali capisaldi delle difese avversarie. E così, il 7 ottobre Cornwallis chiese il cessate il fuoco e il 19 accettò di arrendersi senza condizioni. Aveva perso solo 150 uomini ma aveva, ormai, capito che ogni ulteriore resistenza sarebbe stata vana. Le forze americane e francesi contavano 72 caduti e meno di 200 feriti.
Dopo Yorktown ebbero luogo alcune altre schermaglie ma, a tutti gli effetti, la rivoluzione era ormai finita. La frustrazione e l'imbarazzo sollevati dalla sconfitta di Yorktown fecero cadere il governo britannico e, il 3 settembre 1783, i nuovi governanti inglesi autorizzarono la stesura di un trattato che riconosceva l'indipendenza degli Stati Uniti.
Prima di Yorktown gli Stati Uniti non erano altro che una accozzaglia di colonie ribelli che lottavano per l'indipendenza. Dopo Yorktown intrapresero un processo di crescita e sviluppo tale da portarli, oggi, ad essere una delle più longeve delle democrazie ed una superpotenza economica e militare.
5. Stalingrado - Seconda guerra mondiale, 1942-43
Stalingrado (oggi Volgograd) fu l'evento finale della grande offensiva della Germania nazista sul fronte orientale. La sconfitta patita dai tedeschi nella città bagnata dal Volga, segnò l'inizio di una lunga fase che avrebbe portato i russi a Berlino e il Terzo Reich di Hitler alla totale disfatta. La battaglia di Stalingrado causò la morte o la cattura di un quarto di milione di soldati tedeschi e sbarrò ai nazisti la strada per i ricchi giacimenti petroliferi caucasici.
Hitler, nell'autunno-inverno 1941 continuava ad essere ben determinato a conquistare la Russia nel duplice intento di debellare il comunismo e impadronirsi di risorse naturali vitali per il Terzo Reich. Mentre veniva attaccata Stalingrado, colonne tedesche avrebbero dovuto irrompere nel Caucaso alla conquista del petrolio necessario ad alimentare le future campagne dell'Asse. Nella primavera del 1942 i tedeschi inviarono verso il Caucaso il Gruppo di Armate A, mentre il gruppo di Armate B marciava su Stalingrado. Forse, se Hitler non avesse continuato a distaccare reparti sul fronte caucasico, i tedeschi sarebbero riusciti a prendere subito Stalingrado.
Il 23 agosto 1942 più di un migliaio di aerei tedeschi iniziarono a sganciare bombe dirompenti e incendiarie. In quel micidiale attacco persero la vita più di 40.000 dei 600.000 abitanti della città. Il giorno seguente la Sesta Armata tedesca iniziò a penetrare nei sobborghi della città e diede per scontata la vittoria. Fu un grave errore perché dalle macerie spuntarono soldati e civili che, armi in pugno, contesero duramente al nemico ogni metro giungendo spesso al corpo a corpo.
Il 22 settembre i tedeschi erano riusciti a penetrare nel centro di Stalingrado ma i pur malconci russi rifiutavano di cedere le armi, e il generale Georgy Zhukov riuscì a rinforzare i fianchi dello schieramento con truppe, mezzi corazzati e artiglieria. Il 23 novembre le due ali della manovra a tenaglia russa si congiunsero a ovest di Stalingrado intrappolando 300.000 soldati tedeschi in una sacca ampia di 35 miglia e profonda 20. A natale i tedeschi, ormai a corto di munizioni, avevano quasi finito i viveri e rischiavano di assiderare nel rigido inverno russo.
L'8 gennaio i sovietici presero il controllo dell'ultima pista di atterraggio ancora operativa all'interno dell'area controllata dai tedeschi e chiesero la resa di tutta l'Armata. Ma Hitler non era d'accordo, trasmettendo per radio quest'ordine: "La resa è assolutamente fuori discussione. La Sesta Armata terrà le posizioni fino all'ultimo uomo e all'ultimo colpo". Ma il 31 gennaio erano ridotti ad appena 90.000 uomini, molti dei quali feriti, affamati e sofferenti per il freddo. I superstiti iniziarono, quindi, a cedere le armi e, in capo a 2 giorni, ogni resistenza venne meno.
Alle fine, assieme al feldmaresciallo Friedrich von Paulus si arresero 23 generali, 90.000 uomini, nonché 60.000 veicoli, 1.500 carri armati e 6.000 pezzi di artiglieria. La perdita dell'intero Gruppo di Armate A tedesche tra le macerie della città e il pesante tributo pagato dal Grupo di Armate A prima della ritirata, indebolirono l'esercito tedesco sul fronte orientale a tal punto che esso non fa mai più in grado di sferrare un'offensiva di portata strategica.
Stalingrado aveva dimostrato ai sovietici e ai loto alleati che era possibile fermare e anche sconfiggere il grande esercito tedesco. La battaglia fu, quindi, una vera svolta nella Seconda guerra mondiale. Per i tedeschi, vincere a Stalingrado avrebbe significato il via libera per la conquista del Caucaso. Con il petrolio e le altre risorse di quella ricca regione, l'esercito tedesco avrebbe potuto rivolgere molte più energie verso il fronte occidentale.
Se le Armate tedesche schierate a est fossero sopravvissute per fronteggiare gli inglesi, gli americani e gli altri alleati a ovest, la guerra di certo non avrebbe potuto essere vinta tanto celermente. Forse sarebbe stata messa in dubbio anche la stessa vittoria finale degli Alleati.
Alle fine, assieme al feldmaresciallo Friedrich von Paulus si arresero 23 generali, 90.000 uomini, nonché 60.000 veicoli, 1.500 carri armati e 6.000 pezzi di artiglieria. Ma da dove li pescate questi dati. Neppure all’inizio dell’offensivanel 1942 i crucchi disponvano di tanto automezzi, pezzi di artiglieria e carri armati ??????