5 domande interessanti sul cibo 2-800x400

5 domande frequenti sul cibo

Il cibo è gioia, gola, cultura, piacere, socialità, convivialità. Non è soltanto materia che transita nel corpo. Ci permette di rimanere in vita e di compiere lavoro: crescere, muoversi, rinnovarsi.

È la fonte di energia della nostra esistenza, laboratorio di materiali con cui il nostro corpo si costruisce e si ristruttura, fonte d’elementi protettivi per la salute. Dietro ai sapori, agli odori, si nascondono tantissimi significati; dietro al gusto di sedere a tavola, ma anche di stare dietro ai fornelli, esiste una trama fitta di simboli e linguaggi che costituiscono il variegato panorama della scienza culinaria.

La storia dell'alimentazione è una storia ricca di sorprese, di civiltà alimentari che cambiano, un mondo di gusti, sapori e profumi ancora tutti da scoprire. Un mondo che possiede naturalmente la sua storia, i suoi usi e costumi, i suoi artisti, le sue leggende, tradizioni, e perché no, i suoi eroi, scienziati, filosofi, musicisti e poeti.

Il cibo è un importante indicatore dello stile di vita di una popolazione, delle sue tradizioni, dei suoi costumi e dei suoi valori: la moda, la cultura, gli orientamenti valoriali e filosofici di un determinato periodo storico vengono riportati anche sulla tavola.

Tra le migliaia di domande riguardanti questo vastissimo argomento, abbiamo scelto di rispondere a 5 di esse in maniera semplice e comprensiva. Domande che, nonostante possano  sembrare banali, sono molto interessanti e frequenti nella nostra vita di tutti i giorni. Leggiamole insieme.

1. Che differenza c'è tra l'olio di oliva ed extravergine?

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L'olio è il condimento principe della dieta mediterranea. È pieno di acidi grassi monoinsaturi, tra le sostanze più attive per la prevenzione dei disturbi cardiovascolari. Abbonda in acido oleico, capace di regolare i livelli di colesterolo (riduce il livello di colesterolo LDL, quello “cattivo”, rispetto al livello del colesterolo HDL, quello “buono”). È una miniera di sostanze antiossidanti: vitamina E, flavonoidi e sostanze fenoliche, preziose per contrastare l’invecchiamento cellulare. Lo squalene, sostanza che abbonda nell’olio d’oliva, sembra efficace nel contrastare i tumori della pelle.

L’“olio di oliva” è, in realtà, olio lampante (cioè, usabile solo come olio combustibile). L’olio lampante ottenuto per spremitura di olive cadute o di peggiore qualità non è idoneo al consumo alimentare e allora viene raffinato per essere trasformato in olio d’oliva “rettificato”.
Un centinaio di autobotti al giorno e più transitano per le maggiori raffinerie d’Italia, sia di oli lampanti grezzi in entrata che di oli raffinati in uscita. I trattamenti possono comprendere l’uso di talco e idrocarburi. Una volta ripulito di impurità e pessimi sapori, l’olio va miscelato a sua volta con un po’ d’olio extravergine. Non importa quanto. Si aggiunge una percentuale imprecisata, a discrezione, di olio extravergine, poi può essere inscatolato o imbottigliato come “olio d’oliva”.
Sull’etichetta infatti si legge “miscela di oli d’oliva e raffinati”. La legge non stabilisce il quantitativo di extravergine da mischiare nel prodotto “olio d’oliva”. Alcuni ne possono mettere il 50 o 40%, altri il 30, 10, il 5%.
L’olio d’oliva è un olio lampante che diventa commestibile attraverso un discutibile processo di raffinazione e con l’aggiunta a piacere di un goccio di extravergine

L’extravergine è l’unico, autentico olio di oliva. Sarà italiano? Sì, è in arrivo l’obbligo di aggiungere in etichetta la dicitura sulla provenienza. Ma anche qui immagini, nomi di marchi e confezioni possono sviare la certezza dell’acquirente. Grandi marchi che vantano radici ancestrali con il territorio (dalla Liguria alla Toscana) ritraggono artatamente colline e frantoi in etichetta, ma in realtà imbottigliano oli stranieri. È prodotto con olive italiane solo se è scritto precisamente in etichetta, non se l’etichetta evoca verdi declivi toscani e mulini di pietra.

Dovendo scegliere…

  • Sì all’olio extravergine d’oliva da agricoltura biologica. Le olive da coltivazione biologica provengono da piante mai trattate con pesticidi, bensì sottoposte a controlli e prelievi periodici su foglie, radici e terreno. Raggiunto il giusto grado di maturazione, sono raccolte e subito sottoposte alla “spremitura a freddo” (macinatura e spremitura meccanica al di sotto di 40 °C), la sola in grado di mantenere intatti i principi nutritivi dell’oliva: miglior resistenza all’ossidazione e all’irrancidimento del succo prodotto, mantenimento delle vitamine naturali e dei principi attivi delle olive ed esaltazione del sapore.
  • Sì all’olio extravergine d’oliva Dop o 100% italiano. Ottenuto dalle olive con spremitura tradizionale (con macine, o meccanica) non subisce manipolazioni chimiche, ma soltanto il normale lavaggio, la sedimentazione e la filtrazione. Alla denominazione è davvero preferibile che sia aggiunta l’indicazione della provenienza, tutelata dal marchio Dop: le regioni italiane sono ricche di oli dai mille sapori e aromi, molti coltivatori lavorano ancora con orgoglio e i disciplinari costituiscono una garanzia in più.
  • Sì all’olio vergine d’oliva. Ottenuto meccanicamente dalle olive, non ha subito manipolazioni chimiche; è un po’ più acido dell’extravergine (non più del 4% in peso di acido oleico, cioè d’acidità). 
  • No all’olio di sansa e d’oliva. Ottenuto dalla miscela d’olio di sansa rettificato con oli vergini d’oliva, con non più del 3% in peso d’acidità (acido oleico). È usato per le focacce e le pizze confezionate in vendita in molti supermercato. No all’olio di sansa. Olio di infima qualità estratto dall’ulteriore macinazione e spremitura di ciò che resta delle olive infrante. Il suo residuo purtroppo se lo devono mangiare i poveri bovini d’allevamento.

2. Pane e pasta, meglio integrali?

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La farina che si usa per pane e pasta è bianca perché è privata del germe, delle fibre di crusca e cruschello, sbiancata artificialmente e svuotata dei nutrienti.

Peccato, perché è facile elencare i benefici delle fibre

  • Regolarizzano la funzionalità intestinale, contrastano il ristagno di sostanze nocive nell’intestino, agiscono come antitumorali impedendo la formazione o l’assimilazione di sostanze cancerogene o rimuovendole.
  • Diluiscono la concentrazione di sostanze nocive nel colon cosicché le tossine abbiano minori possibilità di danneggiare il delicato tessuto mucosale.
  • Bloccano le attività di batteri nocivi e di sostanze chimiche precancerogene. 
  • Mentre impediscono il diffondersi di microbi indesiderati, incrementano la crescita di batteri benigni, che a loro volta cacciano gli ospiti ingrati. 
  • Favoriscono anche la nascita della forma più salutare di estrogeno, in tal modo impedendo l’insorgere di alcuni tumori.
  • Hanno perfino proprietà antiradioattive, opponendosi agli effetti negativi sull’organismo dei radionuclidi cesio 137 e stronzio 85, come hanno scoperto gli scienziati russi studiando gli abitanti dell’area di Chernobyl.
  • La crusca dei cereali contiene anche gli ambivalenti fitati che, a crudo, pare sottraggano calcio e ferro all’organismo, ma vengono distrutti in parte dall’enzima presente nella crusca e dalla cottura, dalla germinazione e dalla lievitazione acida e soprattutto – questo è il lato buono – combattono l’azione cancerogena dei radicali liberi.

 

Nella preparazione del pane intengrale, purtroppo, invece che usare direttamente farina integrale, ricca di queste proprietà, spesso si usa farina bianca denaturata a cui si riaggiunge crusca, vuoi per facilità di reperimento della farina bianca, vuoi per standardizzare le caratteristiche meccaniche di impasto. A questa stregua non dovrebbe chiamarsi integrale.

Si disintegra la farina per separarne i componenti, sbiancarla, lavarla, denaturarla, per poi riaggiungerne alla fine un pezzettino! Una farina completa si ottiene per semplice macinazione del chicco di frumento (o di altri cereali), senza setacciatura né altre trasformazioni: è la farina più ricca e sana, completa anche del germe con il suo contenuto di proteine, vitamine, minerali e grassi salutari.

Spesso però il pane e alcuni tipi di paste alimentari “tipo integrale” sono fatti di farine raffinate a cui s’aggiunge del cruschello (crusca sminuzzata) e altri ingredienti. A parte il problema della mancanza del germe, si pone anche il problema della conservazione del valore nutritivo della farina, che subisce una serie di trasformazioni e di alterazioni dovute, ad esempio, all’ossidazione dei grassi. Qualche fanatico aveva suggerito, nel 2005, di aggiungere alla fine crusca Ogm, vantandone qualità benefiche per il cuore, ma per fortuna non è stato preso sul serio.

Il pane integrale dovrebbe essere fatto con vera farina integrale, lievitazione con pasta acida, da agricoltura biologica.

È preferibile scegliere alimenti integrali da coltivazione biologica e biodinamica perché è proprio sulla parte esterna del chicco di cereale, e cioè sulla crusca, che si concentrano i residui di pesticidi e di sostanze nocive che possono rimanere sui cereali coltivati e conservati coi metodi convenzionali. Un vero pane integrale dovrebbe essere scuro, pesante, compatto e umido, molto diverso da alcuni pani “finti integrali” leggeri e di colore chiaro, simili al pane bianco per peso e volume...

3. Che differenza c'è tra il gelato artigianale e quello industriale?

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La bontà di un gelato è nel suo sapore, nell’essere cremoso e fresco. Qualità che si raggiungono con un’attenta preparazione, ma che possono anche essere simulate, specie nel gelato industriale, con ingredienti e tecniche
artificiali.

Gelato artigianale è il classico cono e la coppetta che prendiamo in gelateria, alla frutta, alla crema ecc. Per produrlo ogni gelatiere deve sottostare a un rigoroso e salutare Disciplinare sul gelato artigianale che garantisce l’uso di ingredienti freschi e di corrette tecniche di produzione.
"Il gelato artigianale è una preparazione alimentare portata allo stato solido e pastoso mediante mescolamento e congelamento della miscela degli ingredienti” recita il suddetto disciplinare. Durante il congelamento, rimescolando la miscela viene incorporata naturalmente aria che dà morbidezza e cremosità al gelato.
Che, per potersi fregiare del nome “artigianale”, deve caratterizzarsi per l’impiego prevalente di materie prime fresche: gli altri ingredienti possono poi essere scelti direttamente dall’artigiano secondo la sua creatività. Il gelato artigianale va venduto entro pochi giorni dalla sua produzione. 

  • Ingredienti caratterizzanti” (possono essere freschi, o surgelati, o già in purea o in pasta): latte, panna, uova e frutta.
  • Zuccheri”: zucchero, fruttosio, miele, sciroppo d’acero, maltodestrine. “Semilavorati”: “Nella preparazione dei gelati al latte è possibile l’impiego di semilavorati (cioè quei preparati destinati esclusivamente alla produzione del gelato, ma non al consumo diretto), purché nella misura massima del 10% in peso sulla ricetta” recita il Disciplinare.”
  • Additivi”: “Viene ammesso l’utilizzo degli additivi legalmente consentiti dalle disposizioni in vigore con esclusione dei coloranti e degli aromatizzanti artificiali. Nemmeno nei semilavorati possono essere presenti coloranti e aromatizzanti artificiali ed edulcoranti di sintesi o altrimenti detti artificiali” si legge ancora sul Disciplinare.
  • L’artigiano può usare altri prodotti finiti quali biscotti e/o frammenti, frutta candita, cacao e sale secondo la creatività dell’artigiano gelatiere.

 

Ecco l’etichetta di una delle vaschette del gelato industriale che troviamo nei banconi freezer del supermercato: “Ingredienti: latte scremato reidratato – zucchero – sciroppo di glucosio – oli vegetali – siero di latte cremato parzialmente delattosato – emulsionante: mono e digliceridi degli acidi grassi – coloranti – stabilizzanti: alginato di sodio, farina di semi di carrube – aromi – gelificante: pectina”. Insomma, sembrerebbe solo latte in polvere, grassi, zuccheri e aromi.

  • Latte scremato reidratato, proteine del latte, sieri” ecc: si tratta di latte scremato in polvere e parti residuali di lavorazione. Qualità e provenienza (extracomunitaria?) incerte.
  • Oli vegetali”: non c’è obbligo di dichiarare in etichetta di che oli si tratti. Qualità dubbia.
  • Grassi vegetali idrogenati (mono e digliceridi)”: usati come amalgamanti ed emulsionanti.
  • Aromi”: se c’è scritto solo “aromi” sono senz’altro artificiali. Sono onnipresenti nel gelato in vaschette.
  • C’è un altro ingrediente che non è indicato in etichetta, e spesso ce n’è tanto: l’aria. L’aria compressa insufflata è una pratica vietata per il gelato artigianale mentre è standard nel gelato prodotto in serie, per gonfiarlo, renderlo più morbido e all’apparenza voluminoso: ce n’è fino al 70-80% del volume.

 

Le differenze tra il gelato artigianale delle gelaterie e le produzioni industriali sono nell’impiego di ingredienti freschi contro conservati, di qualità certa contro incerta, nel diverso uso di additivi e… dell’aria.

4. Cosa c'è nel dado da brodo?

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Il magico cubetto di sapore, nato intorno al 1880, introdotto in commercio su larga scala negli anni Trenta e definitivamente diffuso in Italia nel dopoguerra, ha modificato le abitudini culinarie. Per la sua capacità di sprigionare tanto sapore in così poco volume e con quella consistenza e coloritura bruna un po’ enigmatica, ha anche sempre suscitato una certa diffidenza. È una legge del 1953 a regolamentarne produzione e vendita. Oggi si trovano in commercio dadi alquanto differenti l’uno dall’altro.

Il dado tradizionale di carne è una preparazione a base di sale e glutammato di sodio (dal 50 al 60%), grassi vegetali idrogenati (15-20%), acqua, aromi vari e carne (3-5%). In un dado di circa 10 grammi ci sono 0,3 grammi di carne. Il resto del sapore è dato da sale e glutammato di sodio.

Altra etichetta: “sale iodato (36%), grassi vegetali, esaltatore di sapidità glutammato monosodico, estratto di lievito, sciroppo di glucosio, estratto di carne, cipolla, aromi, carota, prezzemolo”. In questo i grassi vegetali sono maggiori del glutammato (gli ingredienti sono sempre elencati in ordine di peso).

In un altro dado si trova anche l’estratto per brodo, ottenuto estraendo (con acido cloridrico) proteine da cereali e legumi oppure proteine di origine animale, partendo da sangue, latte, carne e pesce. La legge del 1953 non stabilisce di dichiarare in etichetta da dove provengano queste proteine.

Un altro dado vanta, come caratteristica “mediterranea”, l’olio extravergine di oliva, presente nella misura del 7% (un grammo) a cui sono aggiunte verdure varie (cipolle, carote, pomodori, prezzemolo) disidratate nella misura del 2,5%. Gli altri ingredienti sono i soliti di tutti gli altri dadi sul mercato, sale, sciroppo di glucosio, colorante caramello, estratto di lievito, aromi e glutammato. Ingredienti non nocivi, ma un po’ poveri.

In genere le calorie di un dado sono poche (12 l’uno), ma se comprendono grassi idrogenati o quelli di cocco o di palma, per le arterie sarà comunque un danno.

Stanno incontrando sempre più favore commerciale i dadi granulari, in diverse varianti, pollo, verdure e pesce. Più comodi da dosare, il loro elemento peggiorativo è che per evitare che i grassi irrancidiscano, spesso si ricorre ad antiossidanti non raccomandabili, come il gallato di ottile.

Un dado da brodo migliore di quelli finora citati è fatto per esempio con “estratto per brodo di proteine vegetali di soia e di mais, sale iodato, olio vegetale non idrogenato, verdure disidratate in proporzione variabile (cipolla, carota, sedano, prezzemolo, pomodoro, aglio, porro, patata): 5%, estratto di carne: 3%, farina di grano tenero tipo 0”. Un’etichetta completa e sincera, buon indizio.

Ancora migliore un dado tutto da agricoltura biologica: “estratto di lievito, oli vegetali (non idrogenati), verdure disidratate 12%, sale”. Qui sono solo le proteine dell’estratto di lievito a conferire il gusto tondo, sapido e apprezzato dal nostro palato.



5. La margarina è più leggera del burro?

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La margarina è fatta d’acqua, grassi vegetali idrogenati e aromi, con un pizzico di coloranti per ricordare pallidamente il colore del fieno del burro. Il contenuto percentuale di grasso è simile rispetto al burro. Ma la qualità di questo grasso è discutibilissima.

Leggiamone l’etichetta. “Grassi vegetali idrogenati”. Non c’è l’obbligo di dichiarare da quali vegetali vengano. Si usano grassi spremuti da piante non commestibili, poverissimi a livello nutritivo, dannosi per le coronarie, oli di scarto, perfino transgenici (la colza, pianticella dal fiore giallo da cui si ricavano migliaia di tonnellate di oli per vari usi, è una delle coltivazioni Ogm - Organismo geneticamente modificato - più diffuse al mondo).

In più questi innominati oli vegetali vengono “idrogenati” per solidificarli, così da poterli utilizzare industrialmente per dare forma e consistenza al prodotto… trasformando però quei grassi acidi in transaturi (“trans”) ritenuti responsabili d’interferire con i sistemi di regolazione del colesterolo.

Quindi, sì, forse la margarina è lievemente meno grassa del burro, ma non per questo più leggera; basta capire quali sono gli ingredienti di un panetto per avere riscontro di quanto può pesare sulla nostra buona salute, sull’ambiente, sull’organismo.

La provenienza dei grassi vegetali di cui è composta la margarina è incerta e non c’è obbligo di indicarla in etichetta. Il costo bassissimo è indice di materie prime povere. Le qualità nutrizionali di questi grassi sono pessime. L’idrogenazione dei grassi ne peggiora ulteriormente la qualità.

Il condimento grasso più salutare è sempre l’olio extravergine d’oliva.

Esistono in commercio margarine composte da grassi non idrogenati, si trovano anche e soprattutto nei negozi “bio”. Se il burro proviene da pascoli d’alta montagna, da latte di mucche allevate in libertà, al sole, nutritesi d’erba e fieno o da agricoltura biologica, è certamente più salutare di ogni surrogato industriale. 






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