Senza nessun’ombra di dubbio, la storia insegna che la vita e le attività delle divinità sono collocabili su più piani e a vari livelli – dal simbolico-catartico al mitico-leggendario, al mistico-religioso, all’umano-identificativo – che sono impossibili da separare.
Le divinità quindi non sono astrazioni o semplici simboli, sono anche astrazioni e simboli, sono umane quanto divine, mitiche quanto reali e possiedono la capacità di intervenire effettivamente nel corso dell’esistenza dei fedeli.
Tematiche umane di tono terreno e poteri divini, temibili quanto immaginifici, si mescolano senza posa. Non solo vi è costante pluralità di divinità in ogni cultura, ma spesso vi è pluralità nella stessa divinità. A volte le possibilità di espressione in una divinità sono infinite.
Spesso le divinità sono pacifiche, hanno un aspetto calmo, radioso e sorridente per rappresentare l’armonia, ma le stesse possono essere anche irate con manifestazioni aggressive, impressionanti e minacciose per vincere il male.
Possono essere benevole, indulgenti, persino materne, ma anche demoniache, intolleranti, rabbiose. Risiedono di solito in cielo, ma le troviamo anche nei fondali marini o sulle vette dei monti.
Anche in tema di ruoli di genere gli dei mostrano leggerezze esistenziali a noi quasi sconosciute. A volte, come le dee celtiche, le divinità femminili hanno tanta influenza sugli umani quanto le loro controparti maschili, perché il loro ruolo di “dee madri” le sacralizza alla fecondità.
Altre volte il maschile dell’attività dinamica potente si mescola nella stessa divinità alla saggezza morbida e protettiva del femminile senza alcuna ambiguità. Sempre l’utilità della funzione del divino è trasparente e strumentale, anche se frequentemente assume sembianze diverse.
E allora molte divinità si manifestano con le sembianze pan-fiabesche del sole, della luna, dei cieli, degli alberi, degli animali… perché a loro è assegnato il compito fondamentale di regolare l’ordine del cosmo e della natura, e di proteggere i fedeli impotenti dagli stravolgimenti a opera della natura.
Altre divinità, a noi più familiari come quelle romane o quelle greche, assumono forme di persone fisicamente concrete, in carne e ossa, che, nonostante le loro doti straordinarie, possono condurre esistenze non esenti da dolori e contrarietà.
Questi dei antropomorfi rappresentano distintamente le necessità pratiche della vita quotidiana secondo le esigenze della comunità di appartenenza, sono soggetti a vizi e debolezze peggiori di quelle umane, ma sempre sono dotati di almeno un grande talento o qualità per garantire al fedele la forza emulativa dell’identificazione.
Oggi conosceremo 5 di queste grandissime divinità, fondamentali della storia dell’umanità, ma che, stranamente, risultano poco conosciute alla maggior parte della gente:
- Seth (un culto tra i più antichi dell’Egitto),
- Amaterasu (Dea protettrice del Giappone e antenata di tutti gli imperatori del Paese),
- Tezcatlipoca (una delle divinità più importanti e potenti del pantheon azteco),
- Taranis (Dio del Tuono del pantheon celtico) e, infine,
- Atea (Dio del Cielo e dispensatore della Luce, una figura di spicco del pantheon polinesiano). Buona lettura!
1. Seth
Un culto tra i più antichi dell'Egitto, Seth è il simbolo dell'immoralità e il dio che incarna il Male.
Soprannominato "il Vigoroso", è una divinità dalla personalità ambigua. Inizialmente considerato un essere benevolo e caritatevole, finisce per diventare il dio più spregevole del pantheon egizio, addirittura il nemico di tutti gli dèi.
È colui che si oppone al Cielo e al Sole, scatenando tempeste, temporali ed eclissi, ma è anche il dio della "Terra Rossa", il Signore del Deserto.
Nonostante la sua nomea di essere malvagio, Seth continua a conservare nell'immaginario degli antichi Egizi un aspetto "accettabile", probabilmente dovuto all'ammirazione che la sua forza e la sua crudeltà suscitano.
Seth nasce dall'unione tra Geb, dio della Terra, e Nut, dea del Cielo. Già alla nascita dà prova della sua irruenza, uscendo con grande violenza da un fianco della madre. Suoi fratelli sono Iside, Osiride e Nefti, e quest'ultima diventa anche sua moglie.
Una versione del mito gli attribuisce altre due spose, Anath e Astarte, due divinità adorate dalle religioni semitiche dell'Ovest:
- Dea della Guerra, la prima viene descritta con un'egida e un bastone tra le mani e una corona circondata da piume in testa
- Astarte è invece la dea dell'Amore e della Fertilità, immaginata con la testa di leonessa o di mucca, ma anche come una fanciulla svestita, con in testa un copricapo provvisto di corna.
Il dio Seth viene invece rappresentato con il corpo umano e la testa di un animale indefinito: muso appuntito, due orecchie rettangolari, occhi a mandorla, coda e lunga criniera, a volte con le corna. È il cosiddetto "Animale Seth", una figura che, secondo alcuni, corrisponderebbe a quella di un antico animale ormai estinto.
A volte, il dio viene invece immaginato come un grosso cinghiale nero e gli vengono associati il coccodrillo, l'asino, l'antilope e l'ippopotamo. Un essere, dunque, spregevole anche nei tratti somatici, al punto di essere assimilato dai Greci a Tifone, colui che nelle loro leggende è il mostro per eccellenza, figlio della dea della Terra e del Tartaro, il luogo più profondo e oscuro degli Inferi.
È un'immagine che eleva Seth, in epoca più tarda, a dio della Magia nera, un culto tuttora attivo e che conta parecchi proseliti. Il suo luogo di culto più antico è nei pressi dell'odierna Tukh, anche se il più esteso è quello di Oxyrhynchus, a sud ovest del Cairo.
Uno dei miti associa Seth ad Apophis, il mostruoso serpente che ogni dodici ore cerca di impedire all'imbarcazione del dio Sole di emergere dall'Oltretomba e di generare l'alba. Ma ogni volta il dio Râ mozza la testa a Seth/Apophis, per poi ritrovarselo di fronte il giorno successivo.
Nel Libro dei Morti, un lungo papiro che contiene le formule magiche necessarie ai defunti per accedere all'Oltretomba, si narra invece del lunghissimo scontro tra Seth e Horo, suo nipote.
Il racconto parte dall'assassinio, da parte di Seth, di suo fratello Osiride, sovrano d'Egitto e sposo della loro sorella Iside. Invidioso dei successi politici e amorosi di Osiride, Seth riesce a rinchiuderlo con l'inganno in un baule e a gettarlo nelle acque del delta del Nilo.
E a nulla serve il disperato tentativo di Iside di riportare in vita l'amato consorte. Il diabolico Seth è sempre in agguato, disposto anche a fare a pezzi il cadavere del fratello pur di prendere il suo posto sul trono d'Egitto.
Ma Iside conosce le arti magiche e riesce ugualmente a concepire un figlio dal marito defunto: è Horo, colui che dovrà vendicare Osiride e succedergli al trono. La lotta tra Seth e Horo, zio e nipote, inizia quasi subito e si sviluppa in una lunga serie di confronti.
È l'eterno conflitto tra il Bene e il Male. Ne veniamo a conoscenza attraverso Plutarco, ma anche grazie ad antichi papiri e incisioni. A uscirne vincitore è Horo, ritenuto dal Tribunale degli dèi il legittimo successore di Osiride. Mentre Seth viene esiliato nel deserto, luogo simbolo del Male.
2. Amaterasu
Dea protettrice del Giappone e antenata di tutti gli imperatori del Paese, Amaterasu è tutt'oggi venerata nel principale tempio shintoista, quello di Ise, sull'isola di Honshu.
Considerata la dea del Sole, viene alla luce dall'occhio sinistro di suo padre Izanagi. Secondo il testo sacro dello shintoismo, il Kojiki (Memorie degli eventi dell'antichità), ciò avviene allorché Izanagi, dopo essere rimasto vedovo della sorella-consorte Izanami, discende negli Inferi per recuperarla.
Fallito il tentativo, Izanagi si tuffa in un fiume per depurarsi dal sudiciume dell'Oltretomba. È un harai, un rito di purificazione. E dal suo contatto con l'acqua nascono diverse divinità, tra cui Amaterasu-mi-kami, Tsuki-yomi-no-mikoto e Take-haya-Susano-no-mikoto, meglio conosciute come Amaterasu, Tsuki-yomo e Susano-no.
Ad Amaterasu, il padre Izanagi dà in consegna le Alte Pianure dei Cieli; Tsuki-yomo viene invece nominata dea della Notte; mentre Susano-no diventa signore delle Tempeste nelle Pianure dei Mari.
A quest'ultimo, tuttavia, la "delega" offerta dal padre non piace e, lasciandosi andare a una serie di ridicoli capricci, piange così tanto da asciugare tutti i mari e i fiumi.
E quando Izanagi gli chiede spiegazioni, risponde che piuttosto di governare l'Oceano preferirebbe raggiungere la madre negli Inferi. "Bene, se è così che la pensi, allora vattene!", è la secca risposta di Izanagi. E Susano-no non se lo fa ripetere due volte.
Prima di partire per l'esilio, decide di passare a salutare per l'ultima volta sua sorella Amaterasu. E visto che questa risiede sulla Pianura dell'Ampio Cielo, Susano-no, armato di spada e lancia, prende la via del Ponte Fluttuante del Cielo.
"Perché sei salito fin quassù?", gli chiede Amaterasu quando lo vede. E lui risponde: "Ho rifiutato di governare le tempeste e l'Oceano, e nostro padre mi ha condannato all'esilio. Ora sono qui per salutarti".
Ma Amaterasu non crede alle parole del fratello e lo accusa di essere lì per spodestarla. Susano-no reagisce andando su tutte le furie e inizia a distruggere le risaie di Amaterasu e a sconquassare il cielo e la terra. Una reazione insensata, che tuttavia non scompone minimamente la proverbiale calma della dea del Sole.
E l'ira di Susano-no aumenta ancora di più: cattura il Cavallo Pezzato del Cielo e lo scuoia barbaramente, poi ne recupera la carcassa e la sbatte con forza nell'abitazione della ricamatrice di Amaterasu.
Ciò che accade dopo è davvero sorprendente. Amaterasu si sente talmente offesa che preferisce abbandonare la propria residenza e rifugiarsi in una grotta, pur rimanendo sempre nella volta celeste. Le tenebre scendono allora sul mondo.
Un evento improvviso che scatena un grande caos anche tra le altre divinità, le quali, disperate, si radunano in ottantamila nella Via Lattea e iniziano a studiare un modo per far uscire la triste Amaterasu dalla caverna.
L'idea migliore arriva ovviamente dal dio della Saggezza, Omoi-kane. Questi ordina al dio dei Fabbri, Ama-tsu-mara, di costruire un grande specchio metallico e di piazzarlo all'entrata della grotta. Convoca poi Ame-no-Uzume, dea della Danza, e la mette a danzare su una grossa botte di legno, sempre nei pressi della grotta.
Infine, Omoi-kane chiede ai suoi divini colleghi di accompagnare il ritmo della danza battendo le mani. Il frastuono che ne scaturisce è straordinario, tra il rimbombo del calderone su cui danza Ame-no-Uzume e il ritmo tenuto dalle ottantamila divinità. Ma il piano dell'astuto Omoi-kane non è ancora finito. Manca il pezzo forte.
Ame-no-Uzume inizia infatti un sensuale spogliarello, mostrando dapprima i seni nudi e infine il resto del corpo. E gli ottantamila non rimangono insensibili a quella meravigliosa visione. C'è chi urla, chi gioisce e chi ride. E il Cielo inizia a traballare.
È a questo punto che Amaterasu, incuriosita e un po' spaventata, socchiude la porta della grotta e spia all'esterno. Due divinità, Futo-tama e Ame-no-koyane, ne approfittano per posizionare lo specchio di fronte a lei spia all'esterno.
"Un'altra dea del Sole?", si chiede, sbalordita, Amaterasu. "Com'è possibile?". Apre allora la porta della caverna e il dio Taji-kawa-no, a cui la forza non manca, la agguanta e la fa tornare all'aria aperta. E finalmente il Cielo e la Terra vengono di nuovo illuminati.
Ora bisogna punire colui che ha costretto Amaterasu a nascondersi nella grotta, ossia suo fratello Susano-no. Le altre divinità iniziano così a dargli la caccia. Trovato e catturato, gli tagliano la barba, gli strappano le unghie delle mani e dei piedi, e infine lo spediscono in esilio.
Qualche tempo dopo, Amaterasu decide di affidare a suo figlio Oshi-no-mimi il governo di Yamata, il futuro Giappone. Ma questi risponde che preferirebbe che quell'importante incarico sia concesso a suo figlio, meglio conosciuto come Ninigi-no-mikoto.
Amaterasu convoca allora il nipote e lo investe dell'incarico di governatore di Yamata. Poi gli consegna tre importanti tesori: una collana di pietre (Yasakani no Magatama) che le ha donato il padre Izanagi, lo specchio usato dagli ottantamila dèi per farla uscire dalla caverna (Yata-no-kagami) e una spada sacra che è appartenuta a Susano-no (Kusanagi).
Uno dei pronipoti di Ninigi-no-mikoto, Jimmu Tenno, diventerà il primo imperatore del Giappone e i tre suddetti doni saranno i simboli imperiali.
Come si è detto, ad Amaterasu è stato dedicato il tempio più importante della religione shintoista, quello di Ise, sull'isola di Honshu. Curiosamente, il tempio viene demolito e ricostruito ogni vent'anni.
3. Tezcatlipoca
Divinità di probabile origine mixteca, Tezcatlipoca è una delle figure più importanti e potenti del pantheon azteco.
È il dio della Luna e delle Stelle, il Signore del Fuoco e della Morte, il Sovrano dell'Orsa Maggiore e delle Tentazioni. Ma è anche la divinità che sovrintende alla Bellezza e ai quattro punti cardinali.
Onnipotente e onnisciente, oltre che esperto di magia nera, in uno dei miti Tezcatlipoca viene narrato come il dio Demiurgo che, assieme a suo fratello Quetzalcoatl, crea l'universo.
Il suo nome significa "specchio fumante", anche se sono molti i titoli e gli epiteti con cui Tezcatlipoca viene chiamato, tra cui: "l'Invisibile", l'Impalpabile", "il nostro Signore", "il Tutto osservante", "Colui grazie al quale viviamo", "il Giudice infallibile, "il Serpente di nuvole", "il Coltello di ossidiana", "l'Eternamente giovane" e "il dio di cui Tutti siamo schiavi".
Quest'ultimo titolo gli viene riconosciuto soprattutto dai prigionieri, convinti che soltanto Tezcatlipoca potrà restituirli alla libertà. Secondo il mito, Tezcatlipoca possiede uno specchio di ossidiana che gli consente di osservare tutto ciò che avviene sulla Terra e, in particolare, di individuare le persone rette e i disonesti per poi ricompensarli o punirli.
Uno specchio simile è usato anche dai sacerdoti di Tezcatlipoca, convinti che osservandolo intensamente potranno mettersi in contatto con lui e ricevere i consigli più saggi per il futuro del popolo azteco.
Come si è detto, Tezcatlipoca sovrintende ai quattro punti cardinali. Secondo uno dei miti, lo fa assumendo nomi e colori diversi: Tezcatlipoca il Nero, dio del Nord; Tezcatlipoca il Rosso, dio dell'Est; Tezcatlipoca il Blu o Huitzilopochtli, dio del Sud; Tezcatlipoca il Bianco o Quetzalcoatl, dio dell'Ovest.
Una capacità di moltiplicarsi, o di suddividersi, che non deve sorprendere. La si osserva, infatti, in diverse religioni e trova una sua giustificazione nel considerare le divinità non tanto degli individui assoluti, quanto delle forze o delle energie sacre, capaci di mescolarsi tra di loro o di cambiarsi di ruolo a seconda dei contesti.
Tezcatlipoca è una delle prime divinità a "esigere" dei sacrifici umani, ancora una volta in opposizione a suo fratello Quetzalcoatl che, invece, preferisce offerte meno cruenti e sanguinarie.
Numerose testimonianze raccontano che ogni anno, nella stagione primaverile, in quello che per gli Aztechi è il quinto mese, il Toxcal, viene organizzata una grande cerimonia al cui culmine si sacrifica un ragazzo.
La vittima viene scelta un anno prima del sacrificio e deve essere un giovane prigioniero di bell'aspetto, privo di malformazioni. Una sorta di rappresentazione di Tezcatlipoca. Nel corso dei dodici mesi di attesa, il ragazzo viene abbigliato con vesti lussuose.
Può anche condurre una vita in libertà e, anzi, per ogni esigenza può contare su un seguito di paggi e servitori messi a sua disposizione. E se qualcuno lo incontra, si deve prostrare a lui come se si trovasse di fronte a un dio.
Un mese prima della cerimonia del sacrificio, vengono scelte quattro bellissime ragazze, vergini, che diventano le spose della futura vittima. Seguono così quattro settimane di baldoria e di piaceri. E pochi giorni prima del sacro rito, iniziano i banchetti e le danze.
Nel giorno prefissato, la vittima lascia la città e le quattro mogli, per prendere la via della piramide dedicata a Tezcatlipoca. Giunto alla base della lunga scalinata, il giovane sorride alla folla che si prostra davanti a lui. Non sembra triste. Presto diventerà un dio. O forse lo è già.
Inizia poi a salire la scala. Al primo gradino spezza uno dei quattro flauti che gli sono stati consegnati e che rappresentano la vita terrena. Al secondo scalino viene rotto un
altro flauto e così al terzo e al quarto.
Poi, man mano che sale, la vittima comincia a lanciare i fiori della ghirlanda con cui i suoi adoratori lo hanno ornato. Giunto finalmente al teocalli, il tempietto che si erge sulla sommità della piramide, il ragazzo viene preso in consegna dai sacerdoti e legato al sacro altare di pietra.
Uno dei sacerdoti, solitamente con indosso una veste rossa, impugna una lama di ossidiana e apre il torace della giovane vittima. Poi strappa fuori il cuore e lo offre al dio Tezcatlipoca.
4. Taranis
Dio del Tuono del pantheon celtico, Taranis rappresenta il cielo nella sua forma più temibile e buia, quella degli uragani, delle tempeste e dei temporali.
E poco importa che il suo potere sul cielo possa anche scatenare la pioggia nei momenti di siccità o rendere fertili e generose le campagne.
Taranis incarna il boato del tuono, inteso come il risultato di una battaglia tra le diverse divinità dell'universo. Il suo titolo di "Signore del Tuono" lo fa assimilare al dio Thor dei Nordici e allo Zeus dei Greci, benché si tratti di paragoni piuttosto azzardati, visto che, soprattutto quest'ultimo, è una divinità molto più potente e complessa.
Non di rado viene identificato con Dis Pater, dio romano degli Inferi e considerato dai Galli il loro progenitore, il primo a essere nato e il primo a essere morto. A volte il nome di Taranis compare da solo, altre volte viene usato come epiteto di Zeus.
Venerato soprattutto in Gallia e nell'antica Britannia, Taranis viene descritto nel Pharsalia, poema scritto da Lucano nel I secolo d.C. Trattando la guerra civile tra Pompeo e Cesare, il poeta romano narra di tre grandi divinità incontrate da Cesare in Gallia: Esus, Teutates e il nostro Taranis.
"Teutates crudele - scrive Lucano - si placa con sacrifici di sangue, come il terribile Esus dai feroci altari e l'ara di Taranis, non più mite della scitica Diana". Taranis viene dunque dipinto in modo piuttosto truce.
Affermazioni che trovano riscontro anche in altre fonti, dove si specifica che le vittime elevate a Taranis devono essere bruciate dopo essere state stipate in una sorta di tinozza di legno. Il nome del dio deriva probabilmente dalla radice celtica taran, il cui significato è, appunto, "tonante". E non a caso, nell'odierna lingua gallese, "tuonare" si dice "taranu".
Il dio Taranis è stato equiparato da molti studiosi a uno dei personaggi mitologici raffigurati sul bacile di Gundestrup, rinvenuto in Danimarca e risalente al I secolo a.C. Dove "il Tonante" è ritratto vicino a una "ruota solare", un simbolo che gli conferirebbe un'importanza maggiore rispetto a quella di un "semplice" dio del Tuono.
Secondo altre fonti, si tratterebbe tuttavia di un'ipotesi molto azzardata, probabilmente nata dal bisogno di assimilare a tutti i costi il dio Taranis a Zeus. È comunque probabile che la "ruota", al cui interno si incrociano quattro raggi, costituisca una sorta di metafora della ciclicità delle stagioni, della vita e della natura.
È anche vero, tuttavia, che in numerose altre rappresentazioni dell'arte celtica, ricorre una divinità barbuta, con un fulmine stretto in una mano, proprio come in molte effigi di Zeus. Ne è un perfetto esempio una statuetta di bronzo, in cui Taranis, che indossa un pesante mantello di lana, impugna un lampo.
È difficile stabilire quanti siano gli altari eretti dalle popolazioni celtiche in onore del dio. Ne sono rimasti, infatti, solamente sette, un numero forse troppo esiguo per una divinità. Il che potrebbe significare che Taranis non fosse così importante come sosteneva il poeta Lucano.
Voluti dalle popolazioni celtiche dopo l'arrivo dei Romani nei loro territori, gli altari sono stati tuttavia rinvenuti in varie regioni europee: in Britannia, in Germania, in Francia e nella ex Jugoslavia. Paesi a volte molto distanti tra loro, il che sembrerebbe avvalorare la grande importanza di Taranis e della diffusione del suo culto in Europa.
5. Atea
Dio del Cielo e dispensatore della Luce, Atea è una figura di spicco del pantheon polinesiano.
Una divinità il cui mito si presenta tuttavia sotto versioni differenti, a seconda del luogo di culto.
Secondo la religione dei Maori della Nuova Zelanda, popolazione di ascendenza polinesiana, Atea è una divinità primordiale priva di sesso, dalla cui suddivisione si generano il dio Rangi e la dea Papa, il Cielo e la Terra (nella foto accanto).
Sullo sfondo di un universo ancora avvolto dalle tenebre, tra Rangi e Papa scoppia subito l'amore. Una passione folle che spinge i due a unirsi in un lunghissimo abbraccio e a concepire numerosi figli. Tra questi c'è Tane, dio del Sole e degli Alberi.
L'amplesso tra Rangi e Papa, tuttavia, sta durando da troppo tempo. E visto che le due divinità sono l'incarnazione del Cielo e della Terra, il loro abbraccio sta impedendo alla luce di emergere e alla natura di sbocciare.
Stanchi di questa situazione, i figli di Rangi e Papa dapprima pensano che l'unica soluzione sia uccidere i due focosi genitori, poi ci ripensano e scelgono di separarli. A turno ci provano tutti, ma l'unico che ci riesce è Tane.
Questi puntella un tronco d'albero tra il Cielo e la Terra, poi attende che si infiltri la luce del sole. Ogni cosa creata può finalmente essere vista. Con l'argilla, il dio Tane provvede poi a creare la prima coppia di esseri umani.
Forgia anche le stelle e le distribuisce sul corpo di suo padre. Infine genera la vegetazione e gli animali e lì mette a vivere su sua madre. E il mito narra che la rugiada non è altro che il pianto di Rangi per essere stato separato dalla sua amata Papa.
Un mito diffuso tra gli abitanti delle Tahuata, le attuali isole Marchesi, considera invece Atea la personificazione dello Spazio. La sua nascita avviene emergendo dal Caos, identificato con Tanaoa, dio dell'Oscurità primordiale.
Una volta uscito, Atea decide di costruire una stanza per sé e per sua moglie Atanua, da dove quest'ultima potrà levarsi ogni giorno dando vita all'Alba. Dalla loro unione nasce Tu Mea, il primo essere umano che va a popolare la Terra.
Uno dei miti più conosciuti di Atea è quello diffuso nelle isole Tuamotu, nella Polinesia Francese. Qui si sostiene che le origini di Atea sono quelle di un essere privo di forma, su cui interviene la dea Vahine Nautahu per forgiarlo in dio dello Spazio.
Atea vive con sua moglie Fakahotu nello strato più basso del mondo, il terzo, quello che sta appena al di sopra della Terra. Il mito racconta che, mentre il loro primogenito, Tahu, muore quasi subito, i due successivi figli, un maschio e una femmina, decidono di scambiarsi i sessi.