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5 libri da leggere in estate

Scriveva Anton Cechov: “La medicina è la mia legittima sposa, mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l’altra”.

Mentre Umberto Veronesi diceva: “La vacanza è l’occasione per leggere quel libro che non si ha mai tempo di sfogliare. Così la mente abbandona l’incubo delle scadenze lavorative ma continua il suo esercizio”.

L’estate, si sa, è da sempre sinonimo di relax e letture. Sarebbe il periodo ideale per invitare chi legge poco o non legge affatto a dedicare parte di questo tempo al piacere della lettura.

Se non hai ancora scelto quali libri mettere in valigia ecco i nostri consigli per belle letture in viaggio o sotto gli ombrelloni (e non solo).

 

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1. "Eleanor Oliphant sta benissimo" di Gail Honeyman

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Un libro che a detta di tutta la stampa internazionale più autorevole rimarrà negli annali della letteratura.

«Un fenomeno che ha dato vita a un nuovo genere letterario.» - The Guardian

«Imperdibile. Uno degli esordi più riusciti dell'anno.» - New York Times

«Commovente e saggio. Leggetelo.» - People

«Indimenticabile e vero.» - Daily Mail

Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: benissimo.
Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido, perché sto bene così. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate, la mia passione. Poi torno alla mia scrivania e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene. Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata dalla prigione. Da mia madre. Dopo, quando chiudo la chiamata, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.
E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.
O così credevo, fino a oggi.
Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E questo ha cambiato ogni cosa. D’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie stesse paure, e non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene. Anzi: benissimo.

Gail Honeyman ha scritto un capolavoro. Un libro che a detta di tutta la stampa internazionale più autorevole rimarrà negli annali della letteratura. Un romanzo che per i librai è unico e raro come solo le grandi opere possono essere. I numeri parlano da soli: venduto in 35 paesi, per mesi in vetta alle classifiche, adorato sui social dalle star del cinema più impegnate, vincitore del Costa First Novel award, presto diventerà un film. Una protagonista in cui tutti possono riconoscersi.
Perché spesso ci si rifugia nella propria realtà per non vivere quello che c’è veramente fuori. In quel riparo si crede di stare benissimo, ma basta una folata di aria fresca per capire che troppo è quello che si sta perdendo.

Gail Honeyman è nata e cresciuta in Scozia, e fin dai tempi della scuola la scrittura per lei è stata non solo un’attitudine ma un sogno. Un sogno che ha custodito e coltivato per anni. Un sogno che è diventato un progetto a cui ha dedicato tutto il suo tempo: dalle pause pranzo alle notti di ispirazione. Il progetto si è concretizzato nel libro Eleanor Oliphant sta benissimo (Garzanti 2018), divenuto subito un caso editoriale eccezionale, venduto in 35 paesi.

2. "La famiglia Aubrey" di Rebecca West

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Tra musica, politica, sogni realizzati e sogni infranti, in questo primo volume della trilogia degli Aubrey, troveremo personaggi indimenticabili, un senso dell’umorismo pungente e un impareggiabile talento per la narrazione. La famiglia Aubrey è un grande capolavoro da riscoprire.

«Una ricostruzione narrativa che si apparenta per tono di voce e coloritura morale a certi grandi romanzi dickensiani, ma con il valore aggiunto di una solidità affettiva che invece richiama alla memoria il quadretto della famiglia colta e povera per eccellenza, quello della famiglia March di Piccole donne di Louisa May Alcott. Non manca anche l'elemento gotico di forte sapore jamesiano, il che rende La famiglia Aubrey un esperimento narrativo di straordinaria corposità e ricchezza.» - Alessia Gazzola, La Lettura - Corriere della Sera

Gli Aubrey sono una famiglia fuori dal comune: una famiglia di artisti. Poveri ma molto uniti, fanno fronte alle difficoltà quotidiane con grande spirito. Si spostano in continuazione a seconda dell'impiego del padre, Piers: giornalista e scrittore molto stimato, vive in un mondo tutto suo, ha un problema con la gestione del denaro e un debole per il gioco d'azzardo.
È la madre Clare a tenere le fila: pianista dotatissima, ha rinunciato alla carriera per i figli; logorata ma mai abbattuta, ha trasmesso la sua passione per la musica anche a loro.
Le due gemelle Mary e Rose sono due talenti precoci, votate al pianoforte, sveglie e disincantate. Il fratellino minore, Richard, è adorato e coccolato da tutti; e infine c'è Cordelia, la figlia maggiore: molto bella e naturalmente non priva di velleità artistiche, non è dotata come le sorelle ma è troppo ottusa per accorgersene. In questo primo romanzo, che copre un arco di dieci anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, fra vicende più o meno importanti i figli cominciano a prendere ognuno la propria strada e così anche i genitori.

Con La famiglia Aubrey, primo libro di una trilogia ispirata alla sua biografia, Rebecca West ha creato un vero e proprio universo nel descrivere l’epopea quotidiana di una famiglia di fine Ottocento fuori dal comune. Per gli amanti dei classici e delle saghe familiari, questa mastodontica trilogia, in linea con la migliore tradizione ottocentesca da Dickens a Louisa May Alcott (sebbene il romanzo sia stato scritto nel 1956), è sicuramente da inserire nella lista dei libri da leggere.

Il signor Aubrey è un intellettuale e scrittore scapestrato che, quando non scrive i suoi articoli, è impegnato a fare operazioni finanziarie poco felici che mettono a rischio le esigue finanze della famiglia. La signora Aubrey, che ha nel suo passato una brillante, anche se breve, carriera di pianista, si barcamena tra i problemi economici e la cura dei figli. Cordelia, la figlia maggiore, è insofferente allo stravagante stile di vita a cui deve adeguarsi, e si lancia con ostinazione in una carriera da violinista, nonostante la sua mancanza di talento.
Le due gemelle Mary e Rose sono bambine dall’intelligenza acuta e dallo spiccato talento musicale; infine il piccolo Richard Quin è l’unico figlio maschio, amato e viziato da tutti.
Poi c’è l’amata cugina Rosamund, una bambina pacata e silenziosa che trova rifugio nell’eccentrica casa Aubrey, e la miriade di curiosi personaggi che gravitano intorno alla famiglia.
La voce narrante è quella di Rose, che, ormai adulta, rispolvera i suoi ricordi d’infanzia, ripercorrendo la vita di tutti i giorni, le atmosfere, le tensioni, le speranze e le delusioni dell’intera famiglia.

La routine dei piccoli Aubrey gira intorno a spartiti, note e scale musicali. Tutti gli sforzi della signora Aubrey sono tesi a scovare e educare il talento musicale dei propri figli, al primo posto nella gerarchia delle sue priorità. I problemi economici, l’aspetto sgualcito e trasandato dei bambini, ma anche dei genitori, passano in secondo piano, in un ambiente in cui la musica, i libri e gli affetti assorbono completamente la vita famigliare. A emergere è l’immagine di una infanzia felice, nonostante tutto; fatta di piccole cose, come i giocattoli costruiti con amore dai genitori per Natale, le castagne intinte nel latte davanti al caminetto, e l’immancabile tè pomeridiano.

Leggendo La famiglia Aubrey il lettore si ritrova in una dimensione senza tempo, in cui la consuetudine è sconvolta ogni tanto da qualche evento drammatico, come un omicidio, la scomparsa improvvisa del padre, e persino un evento paranormale: un fenomeno di poltergeist che tormenta Rosamund e sua madre, fino a che la visita della signora Aubrey e di Rose non spinge gli spiriti ad abbandonare la casa.
Questi eventi, tuttavia, non hanno lo scopo di creare suspense o colpi di scena, bensì si inseriscono senza fratture nella narrazione della quotidianità, vera protagonista del romanzo.
La musica che aleggia nell’aria, insieme a un mondo fatto di sentimenti genuini, strega il lettore, che non può fare a meno di continuare a leggere famelicamente. L’andamento lento e ozioso della narrazione, che indugia su descrizioni minute con uno stile raffinato, acuto e ironico, ha lo stesso effetto di un profondo respiro, una parentesi dalla frenesia dell’esistenza che solo un buon classico può regalare.

Rebecca West (County Kerry, Irlanda, 1892 - Londra 1983) scrittrice e saggista anglo-irlandese. Dopo una serie di romanzi di relativo successo, si impose con Il traboccare della fontana (The fountain overflows, 1956) e Gli uccelli cadono (The birds fall down, 1966), dove, con finezza psicologica e pungente ironia, si affrontano tematiche attuali, come l’incomunicabilità e il ruolo femminile nel mondo moderno. Nel 1982 ha pubblicato 1900, rievocazione del mondo della sua infanzia.
Ma è ancora più notevole la sua opera critica, che prende in esame situazioni e problemi politici, sociali, storici. In particolare si ricordano: Il significato del tradimento (The meaning of treason, 1949; ediz. definitiva 1965), scritto per il processo di W. Joyce, accusato di alto tradimento, e gli scritti sul processo di Norimberga (A train of powder, 1955); tra i saggi letterari, D.H. Lawrence: un’elegia (D.H. Lawrence: an elegy, 1930).

3. "Le più fortunate" di Julianne Pachico

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Un esordio spettacolare e polifonico che ricama intorno all’impeccabile ritratto psicologico dei suoi personaggi l’affresco politico e sociale di un’intera società.

«Un impeccabile romanzo corale.» - Tiziana Lo Porto, il Venerdì di Repubblica

Cosa sappiamo della Colombia? È un paese lontano che in noi evoca quasi solo l’immagine spaventosa quanto stereotipata dei narcos col mitra in mano.
Gli undici episodi che compongono questo romanzo sono un viaggio nella sua storia recente, dal 1993 al 2013, raccontata con un taglio inedito, e cioè attraverso le vicende di un gruppo di ragazze privilegiate, figlie di diplomatici, politici e uomini d’affari, educate nelle scuole migliori e imbevute di cultura nordamericana.
Saltando avanti e indietro nel tempo le seguiamo dall’infanzia alla maturità, conoscendo le loro domestiche e i loro professori, i loro compagni di giochi e i loro amanti, e vedendo dipanarsi tutto intorno un mondo contraddittorio fatto di ville faraoniche e guerriglia nella giungla, coniglietti da coccolare e sacchi di coca nascosti in garage, da cui non tutte usciranno vive.

La upper class colombiana? Un’elite cosmopolita di colletti bianchi schizzati di molto fango. Con famiglie che hanno a disposizione guardie del corpo, autisti, camerieri, dalla vita apparentemente scintillante, ma sotto il velo di ipocrisia e di apparente serenità ci sono verità sgradevoli e pericolose.
E anche chi sente lontana l’eco delle violenze, chi è più che benestante e sembra vivere in un’altra dimensione, deve farci suo malgrado i conti. Inevitabilmente Gabriel Garcia Marquez è molto lontano, Gamboa e Vazquez più vicini, ma nemmeno tanto, nemmeno per ragioni anagrafiche.
Julianne Pachico, nata in Inghilterra ma cresciuta in Colombia, approda in Italia con un libro in cui a una felice mano stilistica affianca la storia di una guerra, quella del governo colombiano contro i narcos nell’arco di una ventina d’anni, a partire dal 1993.

Le più fortunate (250 pagine) di Julianne Pachico è una delle ultime scoperte della casa editrice Sur, che pubblica il volume nella traduzione dall’inglese di Teresa Ciuffoletti: è un mosaico di racconti, più che un romanzo, ci sono punti di vista diversi (prima, seconda, terza persona; a un certo punto anche un coniglio); ogni storia, sono undici in totale, sa essere autonoma eppure dialoga con tutte le altre, ambientate principalmente in Colombia, ma non solo.
Per lo più le protagoniste sono le ragazze, poi giovani donne, senza problemi economici, con radici comuni, una scuola materna internazionale, e con genitori che sono uomini d’affari, dirigenti di compagnie petrolifere, eleganti diplomatici, politici, nella maggior parte dei casi, dunque, delinquenti del comparto droga, con un’apparenza “rispettabile”, in un contesto storico e sociale ben preciso.
Alla lunga la campana di vetro in cui sono cresciute, e che ha permesso loro di vivere come qualunque teenager del mondo cosiddetto occidentale, si incrina. E si capisce che la loro fortuna è abbastanza… relativa.

C’è tanto non detto nelle storie di Pachico. E ci sono attentati e sequestri, gruppi di rivoluzionari e scorte di cocaina tenute in garage, conigli che mangiano foglie di coca, donne di servizio evocate in modo magistrale, un professore rapito da guerriglieri che in qualche modo si ostina a insegnare.
Lo sguardo cerca d’essere analitico, ma il coinvolgimento affiora, non è una narrazione asettica. Specie quando c’è chi finisce per pagare le colpe dei padri. Pachico apre un nuovo sentiero, seguire i suoi passi e leggere cosa avrà da scrivere, anche in futuro, non è un’idea malvagia.

4. "Sabbia nera" di Cristina Cassar Scalia

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Dalla Sicilia arriva una nuova serie di gialli. Ma stavolta la protagonista è una donna.

Testarda, scontrosa, tormentata dalla morte del padre e dalla fine di una relazione difficile; appassionata di vecchi film e amante della buona tavola: il vicequestore Vanina Guarrasi è semplicemente formidabile.

"Di scenari raccapriccianti, nella sua carriera, il vicequestore Giovanna Guarrasi ne aveva visti assai: uomini incaprettati e bruciati vivi, cadaveri cementati dentro un pilastro, gente sparata, accoltellata, strangolata e via dicendo.
Ma l'immagine che le apparve quella sera si poteva descrivere solo con un termine, da lei vilipeso e definito "da romanzo gotico". Macabra.
Abbandonato di sghimbescio sul pavimento di un montavivande di un metro e mezzo per un metro e mezzo, giaceva il corpo mummificato di una donna.
Il capo, con ancora i resti di un foulard di seta, era piegato a novanta gradi su un cappotto di pelliccia che copriva un tailleur dal colore indistinguibile; appese al collo, tre collane di lunghezza diversa.
Sparsi attorno al cadavere, una borsetta, un beauty case di quelli rigidi che si usavano una volta, una bottiglietta di colonia senza tappo e una scatola metallica che aveva tutte le sembianze di una cassetta di sicurezza."

Mentre Catania è avvolta da una pioggia di ceneri dell’Etna, nell’ala abbandonata di una villa signorile alle pendici del vulcano viene ritrovato un corpo di donna ormai mummificato dal tempo.
Del caso è incaricato il vicequestore Giovanna Guarrasi, detta Vanina, trentanovenne palermitana trasferita alla Mobile di Catania. La casa è pressoché abbandonata dal 1959, solo Alfio Burrano, nipote del vecchio proprietario, ne occupa saltuariamente qualche stanza. Risalire all’identità del cadavere è complicato, e per riuscirci a Vanina servirà l’aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè.
I ricordi del vecchio poliziotto la costringeranno a indagare nel passato, conducendola al luogo dove l’intera vicenda ha avuto inizio: un rinomato bordello degli anni Cinquanta conosciuto come «il Valentino».
Districandosi tra le ragnatele del tempo, il vicequestore svelerà una storia di avidità e risentimento che tutti credevano ormai sepolta per sempre, e che invece trascinerà con sé una striscia di sangue fino ai giorni nostri.

Cristina Cassar Scalia è nata nel 1977 ed è originaria di Noto. Medico oftalmologo, attualmente vive e lavora a Catania. Ha pubblicato per Sperling & Kupfer La seconda estate (2014, Premio Internazionale Capalbio Opera Prima) e Le stanze dello scirocco (2015). Per Einaudi ha pubblicato Sabbia nera (2018), di cui sono già stati opzionati i diritti per il cinema e la tv, ed è il primo romanzo con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi.





5. "Meet me alla boa" di Paolo Stella

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C'è un biglietto, strappato su un lato, scritto a penna blu. Riconosco la tua calligrafia perché è un casino. «Meet me alla boa. Ogni volta che ne avrai bisogno.»

«Meet me alla boa non è un libro triste. Meet me alla boa non è un libro allegro. Meet me alla boa è un libro umano, tanto umano, che non ha paura di mostrarsi insieme al suo autore, arrivando a dire al lettore una cosa dolce e preziosa come “Ti posso raccontare una storia?”.» Simone Tempia - Vogue Italia

Con il cuore in apnea, Franci si imbarca sul primo aereo disponibile e arriva puntuale all'obitorio. Soltanto trenta passi lo dividono dalla cella refrigerata dove giace quel corpo da riconoscere. Varcato il portone, il tempo rallenta e a ogni passo rivede il film clamoroso e coinvolgente della sua meravigliosa storia d'amore. Lui e Marti.
Vita, viaggi, discussioni, amore e bellezza, sorprese e giuramenti. Una storia fra due persone che si sono amate, donandosi il bene prezioso della libertà reciproca, qualcosa capaca di superare anche la morte.

«Meet ma alla boa» è l'esordio narrativo di Paolo Stella, che impasta con strabiliante freschezza i due elementi classici del sentimento, Eros e Thanatos, aggiungendo una scrittura brillantissima. Un libro che trasmette perfettamente la sensazione totalizzante di quando l'amore si impossessa della tua vita e la cambia per sempre.

Paolo Stella (Milano 1978) è creative director, attore di tv e cinema, regista. Ha acquisito notorietà tra i più giovani partecipando alla seconda edizione del programma televisivo Amici di Maria De Filippi. In seguito ha continuato a lavorare nel mondo dello spettacolo recitando in numerose serie tv e miniserie italiane, tra cui ricordiamo Incantesimo 7, Un ciclone in famiglia, Donna detective. Dal 2007 è passato al grande schermo recitando in Last Minute Marocco, La terza madre, Penso che un sogno così. Nel 2018 ha esordito in campo letterario con il romanzo Meet me alla boa (Mondadori).








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