Agricoltura biologica: 5 concetti indispensabili di agronomia

Non vogliamo spaventare nessuno, ma per amore di onestà occorre dire che per fare biologico bisogna essere ben informati.

Questo significa che dovremo «annoiarvi» con alcuni concetti un po’ noiosi e in apparenza teorici, che invece hanno delle applicazioni pratiche estremamente importanti.

Siccome per fare bene agricoltura biologica non si possono seguire delle ricette, ma ognuno deve operare seguendo le esigenze e le potenzialità del proprio territorio, ci sentiamo in dovere di fornirvi questi «noiosi» ma importantissimi concetti di agronomia.

Vediamoli insieme.

1. Le caratteristiche del terreno

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Ecco in sintesi alcune nozioni di base per conoscere il suolo, per lavorarlo e nutrirlo in modo adeguato:

  1. Tessitura. Il terreno è costituito dall’insieme di diversi tipi di particelle che, in base alle dimensioni, vengono classificate come scheletro (particelle con diametro maggiore di 2 mm) e terra fine (particelle con diametro inferiore a 2 mm).
    A sua volta la terra fine è ripartita in tre classi in base alle dimensioni delle particelle:
    - sabbia, composta da particelle con diametro compreso tra 2 e 0,02 mm;
    - limo, composto da particelle con diametro compreso tra 0,02 e 0,002 mm;
    - argilla, composta da particelle con diametro inferiore a 0,002 mm.
    La composizione percentuale in scheletro, sabbia, limo e argilla viene determinata con l’analisi del terreno. Solo l’argilla è in grado di trattenere efficacemente acqua e principi nutritivi e di interagire con l’humus per formare una ottimale struttura del terreno.
  2. Struttura. Con questo termine si indica la capacità del terreno di costituire ag gregati di diversa forma, dimensione, composizione e stabilità fra le particelle che lo compongono. Ogni terreno è caratterizzato da aggregati e struttura tipici, che influenzano in modo decisivo la vita degli organismi che lo popolano, piante incluse.
    In presenza di una buona struttura le radici hanno maggiori possibilità di esplorare il terreno, di assorbire acqua e principi nutritivi, di avere ossigeno per i processi metabolici. Inoltre aumentano il numero di organismi terricoli, con un miglior controllo di quelli utili su quelli dannosi, nonché i processi di cessione di principi nutritivi da parte della sostanza organica.
    Si parla di terreno con una buona struttura quando gli aggregati sono stabili, cioè resistenti alle sollecitazioni delle piogge, del vento (erosione) e delle macchine agricole, sono in grado di trattenere acqua e principi nutritivi e garantiscono alle radici ed agli organismi che vivono nel terreno un’adeguata pre senza di ossigeno.
  3. Porosità. È il rapporto tra il volume non occupato dalle componenti solide del terreno ed il volume del terreno stesso: in altre parole, quando le particelle del terreno si aggregano, si vengono a formare degli spazi vuoti chiamati «pori».
    La porosità è dunque strettamente legata al concetto di struttura. I pori possono essere occupati da aria e/o da acqua (in cui sono disciolti molti principi nutritivi).
    In un terreno non allagato i pori più piccoli (micropori) sono occupati da acqua e/o aria, mentre quelli più grandi (macropori) solo da aria.
    Un’equilibrata presenza dei due tipi di pori permette alle radici ed agli organismi terricoli di avere a disposizione spazio, acqua ed ossigeno, che sono tre fattori fondamentali per la loro sopravvivenza e il loro sviluppo. Si consideri infatti che le piante, come ogni organismo vivente, hanno in primo luogo bisogno di «respirare» (aria presente nei macropori), quindi di «bere» (acqua presente nei micropori) ed infine di «mangiare» (sostanze nutritive veicolate dall’acqua dei micropori).
  4. Sostanza organica. Il terreno, oltre ai sopra citati costituenti, ne ha un altro che in agricoltura biologica è considerato il più importante: la sostanza organica. Ricordiamo che, in inglese, agricoltura biologica si dice «organicfarming».
    La sostanza organica è formata dalle sostanze sintetizzate dagli organismi che popolano il terreno e dall’insieme dei residui delle piante, degli animali e dei microrganismi nei vari stadi di decomposizione.
    Essa può essere completamente degradata - mineralizzata - dagli organismi del terreno con conseguente liberazione di principi nutritivi assimilabili dalle piante, oppure decomposta parzialmente e convertita in humus.
  5. Humus. L'humus è una frazione della sostanza organica del terreno che si origina da una particolare trasformazione dei suoi prodotti di decomposizione. Date le sue caratteristiche producono notevoli effetti pratici:
    - è in grado di trattenere molto efficacemente l’acqua ed i principi nutritivi (meglio dell’argilla);
    - è una sostanza stabile in quanto relativamente resistente alla degradazione microbica (e quindi la sua azione è duratura); ,
    - assieme all’argilla è un importante agente aggregante delle particelle del terreno;
    - conferisce stabilità alla struttura nei confronti delle sollecitazioni meccaniche esterne (pioggia, vento, compattamento da parte delle macchine agricole, lavorazioni del terreno male eseguite, ecc.);
    - ogni anno libera principi nutritivi assimilabili dalle piante in seguito alla mineralizzazione di una sua frazione.
    La composizione chimica dell’humus è variabile e non ancora pienamente conosciuta perché dipende da una complessa serie di fattori: tipo di sostanza organica d’origine, tipo di terreno (non ne esiste uno uguale all’altro), tipo di clima, tipo di lavorazioni eseguite.
    Per questi motivi l’humus non è direttamente identificabile attraverso le analisi del terreno che normalmente si eseguono, le quali, invece, possono indicarci la quantità complessiva di sostanza organica presente.
    Indicativamente, l’humus contiene circa il 55% di carbonio, il 39% di ossigeno più idrogeno, il 5% di azoto, lo 0,5% di fosforo, ed altri elementi presenti complessivamente in quantità inferiore all' 1%.
    È importante tenere presente che per la formazione dell’humus è necessaria la presenza di sostanza organica di origine vegetale: con sole deiezioni animali non si forma alcun humus.
    Ciò in pratica significa che mentre il letame è nella condizione di formare humus, i liquami, la pollina, e i sottoprodotti della macellazione e della lavorazione di pelli e cuoio, se non adeguatamente compostati assieme a sostanze vegetali (stoppie, sovesci, paglia o residui vegetali di altra natura), difficilmente potranno formare humus.
    Sia la formazione dell’humus che la sua mineralizzazione sono operate dai microrganismi che vivono nel terreno, i quali, per lavorare al meglio, hanno bisogno di adeguati livelli di temperatura, aria, acqua e cibo, quest’ultimo composto da sostanza organica di origine vegetale in cui devono essere presenti in giusta proporzione proteine (azoto) e cellulosa (carbonio).

2. La fertilità del suolo

La fertilità del suolo-300x180

E' un patrimonio importante che occorre mantenere ed incrementare. Dalla fertilità del suolo dipende il successo delle coltivazioni biologiche.

Dal punto di vista pratico, la fertilità del suolo va considerata come l’insieme di tre tipi di fertilità complementari fra loro: fertilità biologica, fertilità fisica e fertilità chimica.

  1. Fertilità biologica. È rappresentata dal tipo e numero di organismi viventi che popolano il terreno.
    Gli organismi che si nutrono della sostanza organica del terreno (insetti, lombrichi, microrganismi, ecc.) la sminuzzano e la decompongono liberando sia sostanze direttamente assimilabili dalle colture, sia sostanze che verranno elaborate in humus.
    Gli stessi ed anche altri organismi, per mezzo di attività di simbiosi o antagonismo, proteggono direttamente o indirettamente le radici delle piante dagli attacchi di molti parassiti (in particolare funghi e nematodi).
    Altri organismi utili sono quelli capaci di fissare l’azoto atmosferico, sia in simbiosi con alcuni tipi di piante (ad esempio i Rizobi con le leguminose) che in maniera autonoma (ad esempio gli Azotobatteri); effetti simili, anche se con meccanismi diversi, sono esplicati nei confronti del fosforo dalle micorrize.
    Dalle molteplici interazioni fra specie utili e specie nocive dovrebbe generarsi un equilibrio tra le loro popolazioni, che l’agricoltore dovrebbe mantenere il più a lungo possibile praticando avvicendamenti lunghi e corretti che impediscano l’accumulo nel terreno di organismi e di sostanze chimiche nocive alle colture (che generano stanchezza del terreno) e garantendo con appropriate pratiche colturali (per esempio, sovesci e concimazioni) un’adeguata dotazione di sostanza organica nel terreno.
    Una situazione di equilibrio fra organismi utili e nocivi non solo limita lo sviluppo di malattie dell’apparato radicale, ma anche quello di molti funghi che attaccano le parti verdi delle piante e che possono conservarsi da un anno all’altro sui residui colturali (ad esempio peronospora delle solanacee, peronospora delle crucifere, botrite, antracnosi del fagiolo, ticchiolatura del melo, ruggini dei cereali, ecc.) oppure in una forma resistente alle avversità, ad esempio lo sclerozio per la sclerotinia.
  2. Fertilità fisica. Nell’agricoltura convenzionale è stata spesso trascurata perché si tendeva a mantenere un’accettabile struttura del terreno solo per mezzo di interventi correttivi (ad esempio arature molto anticipate, ripetute sarchiature ed erpicature), trascurando invece l’importanza delle proprietà fisiche dell’humus che migliora e rende più stabile la struttura.
    Col metodo biologico, invece, si dedica maggiore attenzione al benessere dell’apparato radicale delle piante (che influenza il benessere generale della coltura) e quindi la presenza di ossigeno e acqua diventano importanti quanto quella dell’azoto.
    A livello pratico, inoltre, si valutano la facilità di lavorazione dei terreni (quanto si deve attendere dopo un evento piovoso per poter entrare in campo, quanta energia si consuma per le lavorazioni), la loro capacità drenante e di conservazione dell’acqua, l’attitudine a formare crosta superficiale: tutte queste caratteristiche dipendono dalla fertilità fisica dei terreni.
  3. Fertilità chimica. È la più semplice da descrivere in quanto è semplicemente il contenuto di sostanze nutritive disponibili nel terreno, ossia la quantità di azoto, fosforo, potassio (i macroelementi, cioè quelli necessari in quantità maggiori alle piante) e ancora boro, molibdeno, ferro, manganese ecc. (i mesoelementi e i microelementi, cioè quelli necessari in quantità minima) presenti nel terreno.
    In agricoltura biologica non ci sono a disposizione concimi a pronto effetto (ad esempio nitrato di calcio, nitrato ammonico, ecc.) che consentano di effettuare con agilità interventi dal risultato immediato, in particolare con la coltura in crescita; la disponibilità di principi nutritivi dipende invece dalla mineralizzazione della sostanza organica incorporata nel terreno, processo svolto da organismi che hanno bisogno di un’adeguata presenza di ossigeno, acqua e temperatura: pertanto sarà bene mettere a disposizione delle colture adeguate quantità di sostanza organica in un terreno ben strutturato.
    Bisognerà quindi ridurre l’impatto delle lavorazioni, inserendo spesso la pratica del sovescio negli avvicendamenti (almeno uno ogni due anni, se non si usano regolarmente letame o compost), evitando di lasciare il terreno nudo per più di due mesi, impiegando letame o compost maturi e, solo all’occorrenza, fertilizzanti organici commerciali.
    Quella frazione di sostanza organica che non viene mineralizzata, viene con vertita in humus. Relativamente alla fertilità chimica del suolo, le due pro prietà utili dell’humus sono:
    - la capacità di trattenere sulla superficie delle sue particelle una quantità di principi nutritivi che è superiore a quella dell’argilla e molto maggiore rispetto a quella di sabbia e limo;
    - nonostante sia una sostanza stabile e relativamente resistente alla degradazione microbica, l’humus rende disponibile ogni anno una parte di principi nutritivi liberatisi in seguito a mineralizzazione.

3. La prevenzione

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Ecco una serie di conoscenze che l ’agricoltore biologico deve possedere per prevenire i problemi e non incorrere in errori.

Per evitare perdite di raccolto dovute all’attività dei parassiti ed alla competizione delle malerbe si deve fare il possibile per creare un ambiente che sia il meno favorevole ad essi ed il più favorevole alla coltura: a tal fine, l’agricoltore ha a disposizione diversi strumenti, di cui il più importante in assoluto è la conoscenza.

Siccome in agricoltura biologica «tutto influenza tutto», le cose da conoscere sono sempre molte. Per esempio, per un agricoltore che inizia la fase di conversione, cioè il passaggio dall’agricoltura convenzionale al metodo di produzione biologico, sarà importante sapere:

  • quali sono le specie e le varietà più vocale alla coltivazione nella zona in cui si trova. Una volta acquisite queste informazioni, le si dovrà tenere in grande conto al momento di scegliere quali colture effettuare; ad esempio, in Friuli verranno meglio le patate piuttosto che il pomodoro da salsa, in provincia di Belluno, volendo coltivare il fagiolo, sarà meglio quello di Lamòn piuttosto che un normale borlotto;
  • quali sono le condizioni meteorologiche ricorrenti e quali inconvenienti possono comportare per le colture; per esempio, se l ’agricoltore opera in una zona in cui il pericolo di gelate tardive è elevato, farà bene a ritardare la semina/trapianto di specie amanti del caldo (ad esempio pomodoro, melone, zucchino), oppure, nel caso dei fruttiferi, privilegerà la coltivazione di specie o varietà dalla fioritura tardiva, oppure si attrezzerà con uno specifico sistema di irrigazione sopra chioma in funzione antibrina;
  • che aspetto hanno i semi e le piante delle malerbe nelle prime fasi di sviluppo, innanzitutto per sapere se è il caso di preoccuparsi o meno, poi perché l’individuazione precoce di particolari specie (ad esempio portulaca e sorghetta che si moltiplicano sia per seme che per parti di pianta) rende più agevole l ’intervento con attrezzi meccanici, come l’erpice strigliatore o la sarchiatrice, piuttosto che dover ricorrere a zappature manuali;
  • quali sono i cicli, l ’aspetto e i sintomi dell’attività dei parassiti e degli ausiliari ricorrenti; se è importante ad esempio saper riconoscere la larva della dorifora della patata, allo stesso modo bisognerà sapere com’è fatta la larva della coccinella, e non solo l’adulto;
  • quali sono le condizioni climatiche che favoriscono lo sviluppo dei parassiti, ad esempio, sapere per lo meno che la peronospora ama la pioggia e l’oidio invece il caldo-umido non piovoso;
  • quali sono le possibilità di adattamento all’ambiente locale delle varietà che si ha intenzione di coltivare in modo da operare la scelta migliore; per esempio, nel caso del melo, sarà meglio coltivare la Fiorina, piuttosto che la Golden Delicious se in zona imperversa la ticchiolatura;
  • quali sono le caratteristiche ed i meccanismi d ’azione dei prodotti per la difesa utilizzabili nel biologico; ad esempio, sarà importante sapere che il piretro si degrada con la luce solare e che quindi è meglio utilizzarlo alla sera, oppure che il rame può provocare scottature se applicato in presenza di clima molto umido.
    In agricoltura biologica non si hanno a disposizione «armi potenti» per combattere un nemico (parassita, erba infestante) quando questo è già presente, per questo è obbligatorio giocare d’anticipo e rendergli difficile l’insediamento. 

4. La rotazione delle colture e le erbe infestanti (malerbe)

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  1. La rotazione delle colture
    La corretta alternanza delle colture è condizione indispensabile per mantenere la fertilità del suolo, ridurre la competizione delle erbe infestanti e il rischio di attacchi parassitari.
    Essa influenza in modo importante tutti e tre i tipi di fertilità del terreno, per numerosi motivi che di seguito vi esponiamo:
    a) specie vegetali diverse sviluppano tipologie diverse di apparati radicali, capaci d’influenzare in modo differente la struttura negli strati di terreno esplorati;
    b) specie vegetali diverse lasciano sul terreno e nel terreno, sotto forma di residui colturali ed essudati (sostanze emesse dai tessuti delle radici di una pianta viva) radicali, quantità e tipi diversi di sostanza organica che si integrano vicendevolmente;
    c) anche le necessità nutrizionali delle colture possono essere integrate fra loro e sarebbe uno spreco non avvantaggiarsene: per esempio a fine ciclo la patata e il mais lasciano nel terreno molto azoto e una crucifera (colza o ravanello da foraggio che sia) che li segue se ne può giovare, evitando anche il danno ambientale della lisciviazione dell’azoto sotto forma di nitrati inutilizzati;
    d) se si guarda, poi, alla parte delle piante che cresce sopra il terreno, è possibile avvicendare fra loro specie che lo coprono in tempi e modi diversi e pertanto sono dotate di una diversa competitività verso le malerbe ed influenza sulla struttura; per esempio, grano e orzo si sviluppano nella stagione fredda in cui i problemi di malerbe sono minori e, dopo l’accestimento, non lasciano spazio tra le file; girasole e mais invece crescono in primavera-estate, periodo molto favorevole per lo sviluppo delle malerbe e nelle prime fasi di crescita sono poco competitivi; anche melone e zucca sono colture primaverili-estive ma grazie allo sviluppo strisciante e all’abbondante produzione di vegetazione si difendono discretamente; un sovescio primaverile di senape bianca germina e cresce così rapidamente da soffocare in modo efficace le plantule delle malerbe; un sovescio estivo di sorgo gentile (sudan grass) si comporta allo stesso modo;
    e) alternare le colture significa anche mettere in difficoltà i vari tipi di malerbe ed impedire che una determinata specie trovi le condizioni ideali per moltiplicarsi in modo tale da diventare difficile da contenere: per esempio, è cosa nota che la coltivazione della patata possa giovare a quella del mais perché le operazioni di raccolta meccanica dei tuberi (con lo scavapatate) portano in superficie, devitalizzandoli, i rizomi della sorghetta (Sorghum halepense);
    f) colture appartenenti a famiglie botaniche diverse, solitamente, non condividono gli stessi parassiti e pertanto se la monosuccesione ne facilita la proliferazione, il regolare avvicendamento ne limita la sopravvivenza.
  2. Le erbe infestanti (malerbe)
    Anche in agricoltura biologica vanno tenute sotto controllo, pena una drastica riduzione delle produzioni.
    C’è chi preferisce chiamarle «erbe accompagnatrici», in ogni modo due cose sono vere:
    a) una pianta spontanea non è necessariamente una «malerba», ma lo può diventare a seconda di dove cresce;
    b) in generale sono un problema da tenere sotto controllo, pena un grave calo delle rese.
    Le malerbe si sviluppano nelle colture perché le condizioni ambientali lo permettono, ossia perché le colture stesse in quel momento non sono in grado di contrastarle; questo succede ad esempio se c’è sufficiente spazio tra pianta e pianta o se le caratteristiche del clima (situazione frequente in primavera) e/o del terreno sono più consone alla malerba che alla coltura (ad esempio asfissia, cattiva struttura, eccesso d’azoto).
    Vogliamo sfatare subito due luoghi comuni:
    - che i campi degli agricoltori biologici siano sempre pieni di malerbe: lo sono solo quelli di coloro che non sono bravi agricoltori;
    - che la presenza di malerbe sia sempre un problema: bisogna valutare la soglia di danno e non l’aspetto estetico del campo (un frutteto non è un giardino!).





5. Occorre evitare gli sprechi

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Questo principio è quasi un dovere per chi intende esercitare l’attività agricola con un occhio di riguardo ai problemi dell’ambiente.

È uno dei principi base dell’agricoltura biologica: tutto deve essere utilizzato e riciclato, e bisogna ridurre al minimo indispensabile l’impiego di materie prime (fertilizzanti, antiparassitari, sementi, energia) o il loro acquisto dall’esterno.

In pratica, prima di acquistare fertilizzanti organici si valuti per tempo se ci sia la possibilità di «prodursi l’azoto in casa» tramite la coltivazione dei sovesci o il compostaggio dei residui.

Lo stesso si dica riguardo ai prodotti per la difesa: gli insetti utili si possono comperare, ma è più economico e duraturo creare in azienda le condizioni affinché essi si insedino e si moltiplichino naturalmente.

Sarebbe anacronistico pensare ad un ciclo chiuso aziendale, ma una sorta di ciclo semi-chiuso, a livello di comprensorio, non sarebbe poi così difficile da organizzare: si pensi a un gruppo di aziende non lontane tra loro che si scambiano ad esempio letame e cereali, paglia e pomodori e che per la fertilizzazione utilizzano il compost di una distilleria locale, oppure i residui di potatura delle alberature stradali.

Anche a livello amministrativo e fiscale la recente legge di orientamento in agricoltura (n. 228/01 del 18 maggio 2001, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2001 ) permette tutto questo.

Lungi da noi proporre una sorta di autarchia, ma evitare gli sprechi, anche solo considerando l’energia di cui necessitano i trasporti, è doveroso da parte di chi propone più ecologia in agricoltura.

Che cosa cambia rispetto all’agricoltura convenzionale?

  • La principale differenza con l’agricoltura convenzionale è che quest’ultima ritiene importante solo la fertilità chimica, sulla quale interviene con l’impiego esclusivo e massiccio di
    fertilizzanti di sintesi: non la considera, quindi, complementare e conseguente alla fertilità fisica ed a quella biologica.
  • In agricoltura biologica invece il ciclo della sostanza organica viene tenuto in grande considerazione, così come la funzionalità reciproca che devono avere gli elementi che costituiscono l’ecosistema dell’azienda agraria.
  • Infine importantissima è la cultura della conoscenza, della prevenzione e del limite agli sprechi, giusto il contrario di quello che accade in agricoltura convenzionale.







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