Da Pietro di Galilea a Jorge Mario Bergoglio, attraverso duemila anni, la «pietra» non ha ceduto e "le forze dell'inferno" non hanno prevalso. E dire che le burrasche e tribolazioni non sono mancate; si sono moltiplicate le metamorfosi di un'istituzione che fu combattuta dall'esterno, contestata all'interno, ingolfata nel temporale fino allo scandalo, ma restata viva principalmente per la fede di quei credenti convinti dell'eternità delle promesse fatte da Cristo a Pietro.
L'istituzione papale, appunto, ha retto, perché è rimasta salda questa base di fedeli che ha, nonostante tutto, seguitato a vedere nel papa la Chiesa. Ubi Petrus, ibi Ecclesia. La «pietra» alle sue origini si fa «testata d'angolo» nelle catacombe; emarginata dal tempio pagano e dal divino Augusto, soccombe al potere dello Stato.
Con l'editto di Milano la Chiesa di Roma esce dalle catacombe e acquista diritto di cittadinanza; dopo tre secoli di persecuzione pratica pubblicamente il proprio culto. Col crollo dell'impero d'Occidente, Roma trova nel papa il suo caposaldo, la sua trincea di civiltà.
Con Martin Lutero (Eisleben, 10 novembre 1483 – Eisleben, 18 febbraio 1546), avviene la spaccatura nel mondo cristiano. Ma la sede di Pietro si salva ancora nel terrore dell'Inquisizione e ritrova il primato nella controriforma, ma si chiude nel suo Stato, si compromette con gli Spagnoli, con i Francesi, con gli Austriaci. Proprio in quel periodo storico, appare in scena un personaggio ecclesiastico, il cardinale Rodrigo Borgia, salito alla cattedra di Pietro con il nome di Alessandro VI, passato alla storia come il papa più dissoluto e corrotto.
Rodrigo Borgia, infatti, era un uomo corrotto, debosciato e un libertino impenitente, e come tale si comportò per tutta la vita: da laico, da cardinale e da papa, dopo un iniziale ravvedimento, ancora di più, senza minimamente preoccuparsi di celare agli altri questa sua scandalosa condotta di vita.
Ma scopriamo un po' meglio alcuni aspetti della vita di Alessandro VI, ricordato come "il pontefici più discusso, corrotto e dissoluto della storia della Chiesa".
1. Rodrigo Borgia (1430-1503)
Papa Innocenzo VIII morì il 25 luglio 1492 e fu sepolto nella basilica di S. Pietro in un sontuoso monumento bronzeo di Antonio Pollaiolo. Eseguiti i suoi funerali, 23 cardinali entrarono in conclave nella cappella Sistina in S. Pietro il 6 agosto 1492; nello scrutinio della notte tra il 10 e l'11 fu eletto il cardinale Rodrigo Borgia, ma sulla sua elezione pesa l'ombra della simonia. Per il Pastor «non c'è dubbio che vi contribuirono manovre simoniache» e così per la maggior parte degli storici; i pochi strenui difensori della «incorrotta» scelta si arrampicano in verità sugli specchi e, pur non indicandola come opera dello Spirito Santo, apportano motivazioni politiche.
Gli storici dicono che fu eletto perché doveva essere un candidato forte... che meglio conosceva i bisogni della Santa Sede. È semplicemente ridicolo limitare al denaro sonante un'elezione simoniaca, perché hanno lo stesso peso le varie commende promesse dal Borgia in conclave e da lui distribuite appena eletto; il vicecancellierato e il proprio palazzo al cardinale Ascanio Sforza, suo principale sostenitore, i possedimenti di Monticelli e Soriano al cardinale Giovanni Battista Orsini, Subiaco con i castelli circostanti al Colonna, Civitacastellana al Savelli.
Rodrigo de Borja y Borja, o, come si disse comunemente, Rodrigo Borgia, era nato fra il 1430 e il 1432, probabilmente il 1° gennaio 1431, a Játiva presso Valencia nel Regno d'Aragona, da Jofré de Borja y Doms, di nobile famiglia catalana, e da Isabel de Borja, di altro ramo della stessa famiglia, sorella di quell'Alonso che fu papa Callisto III. Fu proprio lo zio a nominarlo cardinale a soli 25 anni. Successivamente occupò la carica di vicecancelliere della Chiesa romana, arricchendosi di lucrosi benefici così da poter disporre di una rendita principesca.
Pio II lo aveva ufficialmente rimproverato in un «breve» per la sua vita libertina, che peraltro Rodrigo non si preoccupava di nascondere; aveva una relazione con la romana Vannozza de' Cattanei, sposata ben tre volte, che gli aveva dato quattro figli, ma da donne ignote ne aveva avuti altri tre. Avrebbe seguitato anche da papa questa condotta all'insegna del piacere, tanto che gli nacquero ancora due figli, l'ultimo dei quali verso la fine del pontificato, se non dopo la morte.
2. Alessandro VI: una figura enigmatica
Sua amante ufficiale da pontefice fu la moglie di Orsino Orsini, la bella Giulia Farnese (lei quindicenne e lui sessantenne,) che i contemporanei qualificarono appunto come concubina papae ovvero, in termini blasfemi, «sposa di Cristo»; il fratello, Alessandro, fu creato cardinale (sarà il futuro papa Paolo III). Da questo punto di vista la figura di Alessandro VI appare veramente «enigmatica da rimanere un mistero agli occhi del più acuto psicologo», ha osservato il celebre storico e medievista tedesco Ferdinand Gregorovius, ed è indiscutibile «che la sua indomabile sensualità aveva carattere patologico», come ha sottolineato lo storico dei papi F. X. Seppelt; anche se non fu il primo sovrano pontefice a comportarsi così.
Su questa sagra dell'erotismo sono stati scritti fiumi d'inchiostro, ma qui è sufficiente quanto indicato, senza soffermarsi in altri particolari nel seguito della biografia; prendiamo comunque per buona l'indicazione di Franco Molinari che in pratica papa Borgia «non fu più che uomo, nel senso di pover'uomo» e concludiamo con lui che, da questo punto di vista però «mai forse la tiara si posò su un più indegno vicario di Cristo». Il che avvenne in S. Pietro con pompa straordinaria il 26 agosto del 1492 e il Borgia assunse il nome di Alessandro VI.
E dire che agli inizi, a parte le donazioni dovute per la sua elezione, Alessandro VI faceva ben sperare in una sanità di principi che risaltarono nel ristabilire l'ordine in una città come Roma, dove, durante il breve periodo di sede vacante, si erano contati ben 220 omicidi, e in saggi provvedimenti di politica economica con l'impegno di conservare la pace in Italia; sembrava ravveduto, ma fu un attimo. «Poi il peso dell'umanità peccatrice soffocò ogni sogno di bonifica morale», come nota il Molinari, ricordando che pure il destino gli offrì l'occasione per redimersi e dedicarsi alla Chiesa come padre di essa, quando “un soffitto crollò su di lui travolgendolo in una nuvola di polvere e in una frana di macerie, e poi quando la mano d'un sicario assassinò suo figlio Giovanni, che teneramente amava.
Ambedue le volte si dichiarò deciso a cambiar vita. Ma le promesse non furono mantenute. E certo non potè smuoverlo Girolamo Savonarola, destinato a finire sul rogo vittima delle sue stesse prediche e di avvenimenti politici più grandi della sua pur esaltante figura.
3. Un pontificato per arricchire la sua famiglia
Per Alessandro VI il papato e la Chiesa costituirono solo un mezzo per arricchire ed elevare la sua famiglia, assicurando a ognuno dei figli una posizione di dominio; Cesare fu tra di essi quello destinato a raccogliere i frutti maggiori fin dalla più tenera età. Nominato protonotaro apostolico a soli 6 anni da Sisto IV, era stato elevato a vescovo di Pamplona da Innocenzo VIII; ma il padre appena eletto gli affidò l'arcivescovado di Valencia e nel 1493 lo assunse nel collegio dei cardinali.
Il prediletto Giovanni, duca di Gandia, venne infeudato nel 1497 con il ducato di Benevento, Terracina e Pontecorvo, incamerando in pratica una parte dello Stato pontificio: ne avrebbe goduto ben poco, perché quello stesso anno sarebbe stato ucciso in misteriose circostanze.
Lucrezia (nella foto, il presunto ritratto di Lucrezia, dipinto da Bartolomeo Veneto), immortalata anche in «romanzi d'appendice», fu migliore di quanto in genere si dice: ad esempio restano tutti da dimostrare i suoi supposti rapporti incestuosi con il padre e il fratello Cesare. Si sposò tre volte; il primo matrimonio con il conte Giovanni Sforza, signore di Pesaro e parente del cardinale Ascanio Sforza, fu un po' un ennesimo codicillo della gratitudine dovuta a quest'ultimo da Rodrigo Borgia per l'elezione pontificia.
Celebrato con grande fasto in Vaticano, e benedetto dal papa-papà secondo le abitudini ormai instaurate da Innocenzo VIII, fu dichiarato nullo perché «non consumato» dopo alcuni anni. Così Lucrezia potè per motivi politici, ma felicemente questa volta, sposare il principe Alfonso di Bisceglie, figlio naturale di Alfonso II di Napoli, nel 1498; e Lucrezia restò vedova due anni dopo perché il marito, ancora per motivi politici, fu ucciso da suo fratello Cesare.
Il terzo matrimonio, sempre in chiave politica, con Alfonso d'Este, erede del ducato di Ferrara, celebrato per procura il 30 dicembre 1501 con veri e propri baccanali che durarono fino all'Epifania, l'avrebbe portata lontano da Roma e Lucrezia sarebbe vissuta da duchessa fino alla sua morte avvenuta nel 1519. Non va dimenticato che per ben due volte il padre, dovendosi assentare da Roma, le aveva affidato il governo della città, nobilitandola in tal modo come vice-papa, ovvero da autentica «papessa». Per i figli dunque Alessandro VI impegnò il pontificato in chiave esclusivamente politica.
4. La secolarizzazione di tutto lo Stato pontificio sotto il regime dei Borgia
L'obiettivo finale dei piani di Alessandro VI e di suo figlio Cesare (nella foto, il presunto ritratto di Cesare Borgia, dipinto da Altobello Melone) era la secolarizzazione di tutto lo Stato pontificio sotto il regime dei Borgia. Questo progetto traspare inconfondibilmente, nel momento in cui sale sul trono di Francia Luigi XII. Alessandro VI mutò immediatamente politica e si alleò con il nuovo re; quando questi riuscì a scacciare Ludovico il Moro dal ducato di Milano, unendone il territorio alla Francia, il papa vide aprirsi ampi orizzonti per il figlio Cesare.
Questi aveva rinunciato già dal 1498 alla dignità cardinalizia; svanito il matrimonio con una Aragonese e tramontata la prospettiva del principato di Taranto, egli si vide impalmato con la principessa Carlotta d'Albret, sorella del re Giovanni III di Navarra, per i buoni uffici di Luigi XII, che gli concesse inoltre il ducato di Valentinois, promettendogli aiuti per la conquista di uno stato in Romagna. In questo modo Luigi XII si assicurò la neutralità dello Stato pontificio nella nuova spedizione che egli intendeva organizzare per la riconquista del regno di Napoli; e durante lo svolgimento delle campagne francesi in Italia tra il 1500 e il 1503, si attuò anche l'impresa del Valentino in Romagna.
L'impresa militare fu opera principalmente di Cesare che, non rifuggendo da nessun mezzo pur di raggiungere il suo scopo, occupò successivamente Pesaro, Cesena, Rimini, Faenza, Urbino e Senigallia, ricevendo dal padre il titolo di duca di Romagna; lo Stato pontificio perdeva in tal modo una sua grande provincia, che diventava principato ereditario dei Borgia.
Ma i piani di Alessandro VI e suo figlio andarono oltre: si buttarono in questo grandioso progetto senza tregua, confiscando i possedimenti alle famiglie Colonna, Savelli e Caetani, impotenti di fronte alla situazione italiana così favorevole alle mire dei due. Il ducato di Sermoneta fu assegnato al figlio di Lucrezia, Roderico, di appena due anni, che si vide così infeudato da un nonno papa; il ducato di Nepi finì al più piccolo dei figli di Alessandro VI, Giovanni, anch'egli di soli due anni. Cesare s'impadroniva del ducato di Urbino e Camerino e con diabolica abilità sterminava spietatamente a Senigallia alcuni suoi capitani, che stavano tramando una congiura contro di lui.
Una volta spodestati anche gli Orsini, con l'eliminazione del cardinale Giovan Battista e la messa al bando di tutti gli altri, Alessandro VI e Cesare pensavano di completare l'opera con la conquista della Toscana; occorreva ancora denaro e il papa se lo procurò con altre nomine cardinalizie e la vendita di nuovi uffici della Curia. Il difetto fondamentale di questa grandiosa costruzione politica era quello di non esser sorretta da una effettiva classe di governo; tutto era basato sulla rapidità d'azione di un principe fornito di machiavellica «virtù», pronto a sfruttare la «fortuna» che gli proveniva da suo padre.
Era chiaro che l'impalcatura sarebbe crollata non appena uno dei due elementi portanti fosse venuto meno; e così fu quando Alessandro VI morì improvvisamente il 18 agosto 1503. Cesare avrebbe seguitato a difendere il proprio prestigio sotto il breve pontificato di Pio III, fino ad accordarsi inizialmente anche con il successivo papa Giulio II; ma poi, abbandonato a se stesso, avrebbe perso tutto, fino ad essere arrestato da Consalvo di Cordova, gran capitano delle truppe spagnole a Napoli. Prigioniero in Spagna, avrebbe trovato sì rifugio presso il cognato, il re Giovanni III di Navarra, ma anche la morte nel 1507 nella sua ultima impresa sotto il castello di Viana.
5. La morte
Alessandro VI, nel vivo dei tumulti che scoppiarono alla sua morte avvenuta il 18 agosto 1503, fu inizialmente sepolto in S. Pietro senza particolari celebrazioni funebri e trasferito poi nei sotterranei del Vaticano, in attesa di una degna sepoltura. Le sue ossa nuovamente rimosse, finirono in S. Maria di Monserrato, la chiesa romana degli Spagnoli, dove restarono abbandonate per lungo tempo, trovando una loro sistemazione definitiva soltanto nel 1889.
Sulla natura della morte di papa Borgia, ufficialmente causata dalla malaria, ci sono sempre stati seri dubbi, avvalorati da storici illustri come Guicciardini: il papa sarebbe morto avvelenato per errore, in un ennesimo complotto da lui organizzato insieme al figlio Cesare ai danni del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, di cui volevano incamerare i beni. Il cardinale li aveva invitati a pranzo nella sua villa sul Gianicolo, e il coppiere corrotto dai Borgia aveva versato della cantarella, un veleno a base d'arsenico, in un bicchiere di vino che doveva finire all'anfitrione; per un disguido fatale lo bevve invece Alessandro VI.
È poco credibile, perché altre fonti indicano che quel giorno il Castellesi era anch'egli colpito dalla malaria, senza contare che anche Cesare ne rimase contagiato. Ma un papa così non poteva non avere, perlomeno secondo la voce di Pasquino, una morte che non fosse in linea con la sua vita. Una cosa è certa; Alessandro VI non fu quello stinco di santo che i suoi pochi apologeti, come il Ferrara e il Fusero, tentano di far credere.
Per il primo fu «un sacerdote, nel senso più esclusivo della parola: condiscendente in ogni cosa umana, ma rigido per quel che riguarda i privilegi secolari della sua religione»; per il secondo «l'opera di Alessandro VI tendeva a salvaguardare l'unità del mondo cristiano... e a difenderne la purezza dottrinale». Sono affermazioni veramente gratuite; l'unica opera del suo pontificato che ispiri un carattere religioso nacque dalle mani di un artista, la Pietà di Michelangelo. Lo stesso appartamento Borgia nel Vaticano, con gli splendidi affreschi del Pinturicchio, sembra evocare un ambiente di oscuri delitti.
La realtà è che Alessandro VI fu «senza scrupoli, senza fede, senza morale», secondo il categorico giudizio del Gervaso, che pure giustamente gli riconosce «un'eccezionale energia e un fiuto politico infallibile» per il quale va considerato «un pessimo papa» ma nello stesso tempo «un grandissimo monarca». È che «in una società in cui, al dire d'un cronista, anche le pietre gridavano "riforma", il Borgia brillò per l'assenteismo e il disinteresse», come osserva il Molinari, anche se in una Chiesa umanistico-rinascimentale, al limite della credibilità nella fede stessa, «Alessandro VI da solo non è certo la causa determinante d'un così vasto deterioramento morale».