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Alpini: la nascita di un corpo militare valoroso imitato da tutti

Protagonista di tutti i grandi avvenimenti nazionali, sia in guerra che in pace, il corpo degli Alpini nasce due anni dopo la proclamazione di Roma a capitale d’Italia.

Il suo destino è quello di diventare la “sentinella del Regno”. Perché il nome “Alpini”?

Quale sia la vera origine del loro nome, nessuno lo sa con certezza. Il decreto regio del 15 ottobre 1872 fa un riferimento generico alle 15 compagnie alpine per «guardare alcune valli della frontiera occidentale e settentrionale».

Secondo la leggenda, questi soldati senza nome cominciano a chiamarsi da sé “Alpini”. In ogni caso, già a partire dal 1873, le truppe speciali di stanza tra le guglie innevate delle Alpi adottano il nome che portano ancora oggi con tanto orgoglio.

Baffi e pizzetti sono obbligatori. Il regolamento di disciplina militare entrato in vigore il 1° gennaio 1873 presenta alcuni aspetti curiosi.

Ai soldati, Alpini compresi, è vietato portare le folte basette che vanno di moda all’epoca. In compenso, vige l’obbligo di farsi crescere i baffi e, se si desidera, anche il pizzetto.

Poiché, fin dal principio, molti Alpini sfoggiano la barba, non è raro imbattersi in comandanti di compagnia che, pur di mantenerla, hanno in serbo una collezione di barbe finte.

Il motivo? Farle indossare, almeno nelle grandi occasioni, a chi sia scarsamente dotato dell’“onor del mento”. Ma come è nato questo valoroso corpo militare, gli Alpini, imitato da tutti? Scopriamolo insieme.

 

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1. La nascita di un corpo speciale alpino

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Le truppe alpine videro la luce ufficialmente il 15 ottobre 1872, subito dopo l’Unità d’Italia.

Un decreto regio, nel quadro della riorganizzazione parziale dell’Esercito, dispose la nascita di 15 compagnie alpine finalizzate alla difesa permanente dei nostri confini continentali.

Il corpo degli Alpini non nacque dal caso: per anni, infatti, diversi esponenti dell’Esercito avevano prospettato la creazione di un corpo speciale dedicato alla difesa montana.

L’Italia, protetta naturalmente dai mari, risultava saldata al continente dal territorio alpino e con ogni evidenza parte delle truppe impiegate lungo questi confini avrebbe dovuto conoscere la montagna ed essere addestrata alla dura vita d’alta quota.

Questa idea, teorizzata in particolare dal capitano di stato maggiore Giuseppe Perrucchetti, era una vera e propria rivoluzione per l’Esercito dell’epoca e prevedeva anche un nome (di garibaldina memoria) per il corpo che stava per nascere: Cacciatori delle Alpi.

Perrucchetti proponeva la formazione, l’organizzazione e il raggruppamento di truppe alpine permanenti, sempre pronte a intervenire, con una buona conoscenza dei territori di confine, allenate alle difficoltà della vita in montagna, in grado di coprire in marcia dislivelli talvolta proibitivi, addestrate nella mente e nel corpo a sopportare un clima ostile, e suddivise per settori e compiti prestabiliti.

«La zona alpina» scrisse il capitano Perrucchetti nel suo studio pubblicato sulla Rivista Militare «andrebbe suddivisa in tanti settori, ciascuno dei quali dovrebbe, a seconda delle esigenze della difesa, comprendere una o due vallate ed essere per così dire a cavallo delle linee di operazione che valicano le Alpi. Le forze militari reclutate in ciascun reparto formerebbero l’unità difensiva del medesimo. Ciascuna unità difensiva sarebbe ordinata su un battaglione formato da un numero variabile di compagnie».

Alternative all’istituzione di un vero e proprio corpo alpino vennero sia dal capitano Landrini che dal generale La Marmora: pur ritenendo valida l’idea innovativa di affidarsi a soldati principalmente autoctoni (che conoscessero bene le vallate dove avrebbero operato militarmente), proposero che le Alpi fossero pattugliate da reparti scelti di bersaglieri reclutati sul territorio.

La difesa delle Alpi, visto l’esito della Terza guerra d’indipendenza che nel 1866 aveva permesso di liberare solo il Veneto e non Trieste e il Trentino, era diventata di preoccupante attualità.

Le frontiere, infatti, si erano spostate su linee particolarmente insidiose, perché l’Austria aveva mantenuto il controllo di quasi tutte le posizioni chiave per la difesa delle Dolomiti e delle Alpi Carniche.

Per questa ragione, alla fine l’Italia scelse di percorrere la strada di una vera e propria rivoluzione militare: la nascita di un corpo speciale alpino. Nella foto sotto, Giuseppe Perrucchetti, il "padre" degli Alpini.

 

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2. Organizzazione e consolidamento

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Preludio all’istituzione del corpo militare degli Alpini fu la fondazione del Club Alpino Italiano, nel 1864, da parte dal generale Cesare Francesco Ricotti Magnani.

Giuseppe Perrucchetti scrisse che «il Club Alpino Italiano si votò con ardore notevole alle gare dei gagliardi cimenti, allo studio minuto di tutte le nostre montagne e promosse, con la conoscenza dei siti, il culto delle memorie patrie.
Preparando lo spirito pubblico al giusto apprezzamento delle nostre Alpi, destando la coscienza dell’energia della razza, questa provvida istituzione preparò la via a quella delle milizie alpine, che dovevano ben presto personificare tanta parte delle funzioni e dei doveri della nostra difesa».

La costituzione del nuovo corpo doveva irrimediabilmente superare le insidie del voto parlamentare, in un’epoca in cui le spese militari non erano viste di buon occhio dalle istituzioni.

Per non rischiare la bocciatura alla Camera, il generale Ricotti Magnani, ministro della Guerra, dovette ricorrere a un sotterfugio: nel quadro (già previsto) di un aumento dei distretti militari e dei rispettivi organici, Ricotti Magnani inserì tra le pieghe del decreto del 15 ottobre 1872 la nuova definizione di “compagnie alpine” accanto a quella di “compagnie alla sede”.

In pratica, con uno stratagemma che in pochi compresero al momento del voto parlamentare, si aggiungeva un nuovo organico ai distretti militari: insomma, la nascita ufficiale degli Alpini si deve a uno stratagemma!

Nel marzo 1873 furono costituite le prime 15 compagnie alpine, ripartite in 7 distretti (Cuneo, Torino, Novara, Como, Brescia, Treviso, Udine), ma già nel 1874 si attuò un deciso consolidamento: le compagnie passarono da 15 a 24 e si dispose la formazione di 24 compagnie di milizia mobile in caso di chiamata alle armi.

Nel 1875 nacquero le sedi estive addestrative di compagnia, in seguito a una disposizione diretta dello stato maggiore dell’Esercito finalizzata allo sviluppo della personalità di ogni singolo alpino.

In pratica, l’addestramento estivo speciale del singolo (basato su marce ed esercitazioni di un mese all’anno con studio del terreno e delle comunicazioni) avrebbe costituito la base della vita e del rendimento delle truppe alpine nel loro complesso.

Ben presto, furono disposti turni di ricognizione invernale di pochi giorni (in estensione continua e graduale) sulle vette e sui valichi. Nell’aprile del 1875, gli Alpini furono raggruppati in 7 battaglioni, di stanza a Fossano, Mondovì, Susa, Chiasso, Varese, Verona e Conegliano.

Nel 1882, i battaglioni aumentarono e furono raggruppati in 6 comandi di reggimento, da 3 o 4 battaglioni ciascuno.

 

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3. La questione dei confini

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Una delle novità del corpo degli Alpini fu l’abbandono della numerazione tradizionale per identificare i battaglioni, che furono invece denominati in base alla zona di reclutamento.

In questo modo, cominciarono a essere identificati con il nome delle città o delle località da cui provenivano i loro soldati.

L’ampliamento del corpo continuò ininterrottamente fino al 1910, quando si raggiunse il numero di 8 reggimenti: con questo organico, pochi anni dopo, gli Alpini fecero il loro ingresso glorioso nella Storia, nel corso della Prima guerra mondiale.

Un quinto dei confini nazionali coincideva con il baluardo alpino, al di là del quale si trovavano nazioni allora potentissime militarmente, come la Francia e l’Austria. Inoltre, dopo il 1866, alcune posizioni strategiche all’interno dello spartiacque alpino erano rimaste in mano austriaca (con particolare riferimento alle Alpi Orientali).

La questione dei confini delle Alpi, quindi, era di viva attualità. D’altra parte, già l’imperatore romano Augusto, sulla base della fisionomia naturale della patria, aveva fissato le frontiere orientali lungo il Brennero e il Carnaro.

La situazione sul confine nord-orientale era critica e diventava addirittura pericolosa a est, dove le poco aspre Alpi Giulie prestavano il fianco a un esercito moderno e ben equipaggiato come quello austroungarico.

Subito dopo l’Unità d’Italia, il problema della difesa dei confini di terra era stato affrontato con l’istituzione di una Commissione permanente per la difesa dello Stato, costituita dai più illustri esponenti dell’Esercito.

Dopo nove anni, la commissione presentò un piano di lavoro che prevedeva la costruzione di un sistema di fortificazione completo delle Alpi. Il baluardo naturale, infatti, da solo non avrebbe retto l’impatto di un’invasione nemica.

Al tempo stesso, una rete fortificata priva di truppe e mezzi capaci di operare nell’ambiente alpino si sarebbe rivelata altrettanto inefficace. Questa consapevolezza, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, permise al corpo degli Alpini di crescere e svilupparsi senza sosta.

Giuseppe Cesare Abba scrisse che «quello dell’alpino non è un semplice nome che si riferisce alle particolari attribuzioni o all’armamento», alludendo al fatto che le sue peculiarità sono le stesse che si possono ritrovare negli uomini della montagna.

La storia degli Alpini, infatti, dalla fondazione del corpo fino ai nostri giorni, ha dimostrato che questi soldati, montanari cresciuti tra le asprezze del territorio e del clima, abituati ai disagi delle distanze e delle altezze e costretti a provvedere alle proprie esigenze con le sole risorse disponibili in loco, in pratica sono soldati fin dalla nascita.

Le loro caratteristiche hanno permesso al corpo degli Alpini di affrontare tutte le guerre e le fasi più drammatiche della Storia, non mancando mai di meritandosi il giudizio entusiastico dei capi militari stranieri.

 

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4. Lo spirito di corpo e i primi addestramenti

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Cesare Battisti, uno degli Alpini più famosi d’Italia, descrisse alla perfezione le virtù di questi soldati:
«Chi sono gli Alpini d’Italia? Che cos’erano prima di vestire la divisa del soldato? Con che animo, con che cuore hanno impugnato le armi? Quali le ragioni del loro eroismo, della loro resistenza magnifica?
Gli Alpini sono figli dei monti: scendono dalle Alpi che cingono l’Italia, vengono da valli remote, perdute, lontane da rumori.
La loro giovinezza è trascorsa tra pascoli e boschi. Hanno vissuto lunghi inverni nella neve, nella tormenta. Poco sanno d’agi e di ricchezze.
È loro ignota la grande proprietà: tutto il patrimonio consiste in miseri campielli, in poveri tuguri. Ed è re chi ha il campo e la casa veramente suoi e non dell’ipoteca.
Sono patriarcali nella fede, nei costumi, negli interessi. Quanto accolgono di nuovo si innesta nelle vecchie tradizioni e ne prende il colore».

Lo spirito di corpo, poi, tra gli Alpini è sempre stato superiore a quello di ogni altro organismo militare. Una fraternità istintiva, spontanea, che caratterizza la gente di montagna al di là della zona di provenienza, dei costumi, della storia e del dialetto.

Una peculiarità che ha fatto dire a tanti che «gli Alpini sono molti ma l’alpino è uno solo». Per queste ragioni, sul finire dell’Ottocento, la difesa del nostro Paese venne in gran parte affidata a loro. Una difesa che bisognava garantire con ogni sforzo.

«Metto in guardia i giovani» scrisse Giuseppe Perrucchetti, padre del corpo alpino, «contro le fallaci illusioni di coloro che attentano, sotto il pretesto della pace, alla sola e vera garanzia della pace stessa, la capacità di difenderla».

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Nel 1872, l’Esercito italiano stava subendo una fase di profonda riorganizzazione e riarmamento. Quando gli Alpini cominciarono a operare, furono dotati di un equipaggiamento del tutto inadeguato perfino in tempi di pace.  Il loro primo fucile fu il Vetterli mod. 1870 con baionetta, un’arma di fabbricazione svizzera modificata per il nostro esercito.

Pur trattandosi di un fucile a ripetizione (peraltro già superato), gli italiani lo vollero monocolpo, perché le alte sfere delle Forze armate pensavano che un’arma a ripetizione avrebbe portato a un enorme sperpero di colpi. Grazie a questa “operazione risparmio”, gli Alpini si ritrovarono a dover infilare nel fucile una cartuccia per volta.

Non andava molto meglio agli ufficiali: la dotazione si basava sulla vecchia e pesante pistola francese a rotazione prodotta dalla Lefaucheux: un’arma a sei colpi, che però andava armata, agendo sul cane, ogni singola volta che si sparava.

I primi addestramenti si basavano su lunghe marce in alta quota e su esercitazioni di tiro. Queste ultime si svolgevano seguendo una prassi antica e ormai consolidata: il reparto doveva fare fuoco esclusivamente a comando.

In pratica, gli Alpini si disponevano su due file a diverse altezze. L’ufficiale ordinava: «Puntat... foc!», e la prima fila (quella che solitamente stava sdraiata per terra) faceva fuoco. A questo punto il comando veniva ripetuto e la seconda fila di Alpini (in piedi) scaricava i propri fucili.

Nel frattempo, i soldati della prima fila ricaricavano le armi, e così via. Le marce, durissime, erano rese ancora più ardue dall’inadeguatezza dell’abbigliamento e dal peso degli zaini.

Lo zaino dell’alpino (da subito chiamato “a francobollo” perché era quasi impossibile toglierselo di dosso) doveva rispondere al principio dell’autonomia delle compagnie: in pratica, doveva contenere tutto il necessario affinché il soldato fosse autonomo e indipendente durante le operazioni militari.

Un principio che, nel caso delle lunghe operazioni effettuate ad alta quota, obbligò gli Alpini a caricarsi sulle spalle zaini enormi e riempiti con carichi estremamente pesanti.

Nella foto sotto, la rivoltella francese Lefaucheux, in dotazione agli ufficiali, che imponeva il rialzo del cane a ogni sparo. Più in basso, l’antiquato fucile monocolpo Vetterli mod. 1870, scelto per risparmiare l’uso delle cartucce da parte degli Alpini. Oltre alle armi, ogni soldato era dotato del fedele “pistocco”, o Alpenstock.

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5. Arrivano gli sci

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Il 13 novembre 1902 è una data importante nella storia del corpo degli Alpini: per la prima volta essi adottarono ufficialmente gli sci.

Anche se oggi appare strano, la decisione di equipaggiarli in questo modo fu preceduta da lunghe discussioni e polemiche.

Le truppe di montagna si muovevano con le racchette da neve e con questa dotazione avevano già compiuto imprese importanti, raggiungendo cime molto elevate. Valeva la pena cambiare le cose?

Gli sci, provenienti dalla Scandinavia e chiamati “pattini da neve”, furono messi alla prova sulle colline di Torino e fu immediatamente chiaro che sarebbero stati un mezzo formidabile per le operazioni sulle montagne ricoperte di neve.

Poiché l’industria italiana non produceva sci, i primi furono fabbricati dagli stessi Alpini del 3° reggimento. Si istituirono corsi regolari per compagnie e battaglioni e nacquero campi di addestramento sciistico a Bardonecchia, Sestriere e Claviere.

Gli Alpini furono invidiati e imitati da tutti! Alla fine del XIX secolo, l’istituzione del corpo degli Alpini suscita grande interesse in tutta Europa. Nasce, di fatto, il primo corpo speciale di un tipo tutto nuovo, un’autentica élite militare altamente specializzata.

Così altri Stati ci imitano: la Francia forma gli Chasseurs Alpins (1888), l’Austria-Ungheria i Kaiserjäger (1895), la Germania l’Alpenkorps bavarese (1915), la Polonia i Cacciatori delle alti valli.

Analogamente, brigate o divisioni di montagna prenderanno vita, più tardi, anche in Svizzera, in Cecoslovacchia, in Spagna, in Romania e in Turchia.

Al di fuori dello scacchiere europeo, in Cile si organizza un “Distaccamento audace” specializzato nelle operazioni di alta montagna e in Argentina (Paese formato al 50% da famiglie di origine italiana) si formano due distaccamenti da montagna e una Scuola andina (sul modello della Scuola alpina di Aosta).
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I NUMERI
Nel 1892, curiosamente, il bilancio del ministero della Guerra prevede una spesa per singolo alpino inferiore a quella media prevista per il resto delle truppe nelle varie specialità militari.
115.000.000 di lire: è la spesa destinata alle Forze armate italiane
5.000.000 di lire: il costo riservato, nello stesso anno, al corpo degli Alpini
570lire: il costo annuo per ogni singolo militare italiano
410lire: il costo annuo per ogni alpino
14.000: è il numero totale degli ufficiali del Regio Esercito
259.000: è il numero complessivo dei sottufficiali e dei militari italiani nelle varie armi e specialità
450: sono gli ufficiali degli Alpini
9.700: sono i soldati semplici e i sottufficiali del corpo degli Alpini

 

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