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Antibiotici: 5 cose che dobbiamo sapere

Di antibiotici ne assumiamo troppi, e questo ci si ritorce contro: ogni anno in Europa muoiono 25 mila persone per malattie causate da batteri divenuti resistenti a questi farmaci. 

Una razionalizzazione delle somministrazioni potrebbe portare a un risparmio per la collettività pari a 413 milioni di euro. Addirittura, come ha confermato anche l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), «alcuni germi patogeni importanti hanno già sviluppato livelli di resistenza che arrivano quasi al 100%, con il rischio di non riuscire più a curare molte infezioni batteriche».

La resistenza batterica ha cominciato a diffondersi sempre più, sino a diventare una vera e propria piaga sociale e sanitaria. Tutto questo è accaduto perché con l’antibiotico è cambiato il paradigma concettuale dell’uso del farmaco.

Essendo sempre stato deificato e investito di proprietà terapeutiche superiori a quelle di qualunque altro farmaco, se ne è abusato fino alla somministrazione “preventiva” contro eventuali future malattie batteriche, all’autoprescrizione per evitare di ammalarsi o per “affrettare” la guarigione e al larghissimo uso nel settore zootecnico o in agricoltura, dove addirittura gli antibiotici vengono impiegati come promotori di crescita.

Ma vediamo 5 cose molto interessanti da sapere sull'uso degli antibiotici, ricordando infine che, una volta accertata la necessità di ricorrere al suo uso (sotto prescrizione del medico e solo nei casi necessari), è molto importante la sua corretta somministrazione, in riferimento al dosaggio e secondo le indicazioni riportate sul foglietto illustrativo.

1. Il consumo in cifre

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Secondo l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) in Italia le dosi assunte giornalmente da un adulto ogni 1000 abitanti sono passate dalle 24,5 del 1999 alle 27,6 del 2007, per diminuire nuovamente nel 2012, come risulta dai dati del rapporto Osmed, attestandosi a 21,1 dosi.

Nei primi nove mesi del 2013 la spesa farmaceutica nazionale totale (pubblica e privata) è stata pari a 19,5 miliardi di euro, di cui il 74,7% è stato rimborsato dal SSN. La spesa farmaceutica territoriale pubblica è stata pari a 8.799 milioni di euro (148,1 euro pro capite), con una riduzione del -3,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

I consumi in regime di assistenza convenzionale sono in significativa crescita, con incrementi sia del numero di ricette, che delle confezioni, rispettivamente del +3,2% e del +2,6%; in media ogni giorno sono utilizzate 1.002,4 dosi ogni mille abitanti in crescita del +1,8% rispetto all’anno precedente, e sono state dispensate 839 milioni di confezioni (circa 14 confezioni per abitante). 

Il consumo in Italia è più basso soltanto di quello di Francia e Cipro (in questi due paesi però viene incluso anche il consumo ospedaliero), ed è più elevato di quello di tutti gli altri paesi europei, in alcuni casi di oltre il 100%. Inoltre, mentre in Italia nel periodo 1999-2007 i consumi sono aumentati del 13%, nello stesso periodo in Francia si sono ridotti del 16%.

Ma non è finita qui: l’Italia risulta essere il paese dell’Unione europea con il più elevato consumo di antibiotici in formulazione iniettabile, corrispondenti a quasi il 3% del consumo totale. Francia e Belgio, che hanno consumi totali paragonabili a quelli dell’Italia, hanno un consumo di formulazioni iniettabili da 3 a 6 volte inferiore a quello italiano.

Il nostro è anche uno dei tre paesi con il maggiore consumo di 8 dei 20 antibiotici più comunemente prescritti in formulazioni parenterali (ceftriaxone, lincomicina, cefonicid, cefotaxime, tiamfenicolo, netilmicinaampicillina+inibitore) e il terzo paese con maggior consumo per due dei primi quattro antibiotici maggiormente prescritti in formulazione parenterale (gentamicina, ceftriaxone, cefazolina e lincomicina), che da soli coprono oltre il 50% dell’uso delle formulazioni iniettabili in Europa.

2. Pericolo cancro?

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L’uso prolungato di antibiotici può aumentare, persino raddoppiare, il rischio di cancro al seno nelle donne: la notizia, apparsa nel 2004 sul Journal of the American Medical Association, aveva destato scalpore e innescato un
vivace dibattito nel mondo accademico, soprattutto perché i meccanismi d’azione non erano ben chiari e i dati avrebbero potuto generare allarmismo.

Sono seguiti però altri studi che hanno sostanzialmente confermato questa correlazione. Uno dei più recenti, pubblicato sulla rivista Cancer Epidemiology, biomarkers & prevention nel settembre 2013, ha individuato persino un legame tra assunzione di antibiotici e cancro secondario sempre alla mammella.

I ricercatori che nel 2004 erano giunti a quelle preoccupanti conclusioni, inseriti nel team del dipartimento di epidemiologia dell’università di Washington, avevano messo a confronto le condizioni rilevate nel corso di 17 anni di 2266 donne di età maggiore di 19 anni, tutte con un cancro invasivo al seno, e di un gruppo di 7953 donne sane: chi aveva assunto antibiotici per più di 500 giorni presentava il rischio doppio di ammalarsi di tumore al seno.

«Malgrado i meccanismi biologici attraverso cui agiscono gli antibiotici possano alterare il rischio anche per altre forme di cancro – avevano scritto i ricercatori – abbiamo preso in considerazione il tumore al seno perché è stato oggetto del solo altro studio epidemiologico di questo tipo condotto fino ad ora e perché si tratta di un cancro molto diffuso tra le donne, con oltre un milione di casi diagnosticati ogni anno nel mondo».

E qui il riferimento è ad uno studio finlandese, con il quale gli autori hanno dimostrato che le donne sotto i 50 anni che avevano fatto uso di antibiotici per un certo tempo al fine di curare infezioni urinarie, avevano un rischio doppio di sviluppare cancro al seno rispetto a quelle che non avevano fatto uso.

3. I danni alla microflora intestinale

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Ancora prima, e qui si va indietro fino al 1981, la rivista medica inglese The Lancet pubblicò il primo studio che ipotizzava come gli antibiotici potessero aumentare il rischio di cancro, riducendo la capacità della microflora intestinale di metabolizzare le sostanze nutritive e protettive ingerite attraverso il cibo e soprattutto i vegetali.

Purtroppo è difficile confrontare i dati dei paesi occidentali, dove si fa un grande uso di antibiotici e c’è un’alta incidenza di cancro, con quelli dei paesi in via di sviluppo, dove c’è una bassa incidenza di tumore al seno poiché in quei paesi si fatica ad avere dati ufficiali sull’incidenza dell’uso di antibiotici.

Ma quali sono i meccanismi biologici d’azione osservati dai ricercatori? Sono soprattutto effetti sulla funzione immunitaria e infiammatoria e sulla microflora intestinale.

«La risposta immunitaria e infiammatoria – spiegano i ricercatori – può essere coinvolta nello sviluppo del cancro, nella sua progressione, nella formazione di metastasi attraverso l’angiogenesi (la proliferazione di vasi sanguigni che alimentano il tumore) o altri meccanismi complessi. Alcune classi di antibiotici, come per esempio le tetracicline e i macrolidi, hanno effetti sulla risposta immunologica oltre ad avere una funzione antibatterica».

Prendiamo per esempio le citochine, gruppi di proteine e peptidi solubili; hanno un ruolo importante nelle risposte immunitarie e infiammatorie, possono stimolare l’angiogenesi e la sintesi degli estrogeni e questo in alcune donne con caratteristiche particolari può incrementare il rischio di cancro.

4. Gli effetti collaterali e il business

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Alle spese relative ai consumi sono poi da aggiungere i costi, sia in termini economici che di salute pubblica, degli effetti collaterali che si manifestano in chi assume antibiotici.

Tra il 2002 e il 2009 sono state segnalate oltre 8800 reazioni avverse con 118 morti. Gli effetti collaterali, riportati anche sui foglietti illustrativi o sulle schede tecniche dei diversi antibatterici, vanno dall’anemia emolitica alla perdita di coscienza, passando per difficoltà della respirazione o della deglutizione, anafilassi e orticaria, artrite e artralgia, trombocitopenia, nefrite interstiziale acuta, segni di disfunzione epatica, infezioni micotiche, ipoglicemia, disturbi psicotici, depressione, parestesia, disturbi visivi, alterazioni dell’udito, flebite, polmonite allergica, epatite, disturbi o rotture ai tendini, disturbi della coordinazione muscolare.

Il problema di fondo è soprattutto l’abuso degli antibiotici, in special modo in età pediatrica. Quando ancora non c’era la versione pediatrica di questi farmaci, ci si andava piano a somministrarli. Poi sono stati sdoganati e le prescrizioni sono aumentate vertiginosamente, così come sono aumentati i tempi dell’assunzione.

Le aziende farmaceutiche hanno un gran peso nell’andamento delle prescrizioni dei farmaci e questo avviene ormai a livello globale. Il meccanismo è dettato dal business, dalle finalità di guadagno: più farmaci si vendono, più le aziende farmaceutiche si assicurano margini di guadagno.

Ai tempi di Fleming e della penicillina le cose non erano molto diverse. Per la scoperta della penicillina, Fleming vinse il premio Nobel nel 1945 e, alla fine della guerra, insieme agli americani liberatori in Italia arrivò anche questo primo antibiotico. Fin qui nulla di strano, anzi. Gli americani, forti del loro potere economico, in un batter d’occhio riuscirono a commercializzare questo farmaco, che inizialmente aveva costi altissimi.

Ebbe un’enorme diffusione su un mercato che lo aspettava come la manna dal cielo. Nei primi trattamenti gli antibiotici venivano utilizzati in dosi molto ridotte ma, quando si riuscì ad averli a prezzi più bassi e soprattutto in quantità maggiori, le dosi quotidiane cominciarono ad aumentare nella speranza di abbreviare ulteriormente il decorso della malattia infettiva. I successi di queste nuove cure, inaugurarono quella che fu definita l’era degli antibiotici.

Ma già lo stesso Fleming, nel 1946, metteva in guardia dall’eccessivo trionfalismo, affermando a un congresso che l’idea che la penicillina fosse qualcosa di miracoloso era errata e rischiava anche di fare molto danno. Ma l’ebbrezza generata dalla facile cura e, soprattutto, la reale possibilità di enormi profitti, indusse a non tenere conto di quei profetici ammonimenti. In quegli anni Waksman isolò con il medesimo metodo un farmaco destinato a cambiare radicalmente la prognosi degli ammalati di tubercolosi, la streptomicina, e di seguito furono formulati tanti altri antibiotici.

Ma proprio in questo clima di enfasi, già nel 1952 fu isolato un ceppo di Shigella, resistente ai più comuni antibiotici di allora. La cosa venne sottovalutata, anche perché nessuno osava mettere in dubbio il percorso trionfale della medicina e dell’industria.

La resistenza batterica ha cominciato a diffondersi sempre più, sino a diventare una vera e propria piaga sociale e sanitaria. Tutto questo è accaduto perché con l’antibiotico è cambiato il paradigma concettuale dell’uso del farmaco.

Essendo sempre stato deificato e investito di proprietà terapeutiche superiori a quelle di qualunque altro farmaco, se ne è abusato fino alla somministrazione “preventiva” contro eventuali future malattie batteriche, all’autoprescrizione per evitare di ammalarsi o per “affrettare” la guarigione e al larghissimo uso nel settore zootecnico o in agricoltura, dove addirittura gli antibiotici vengono impiegati come promotori di crescita.



5. Dati scioccanti e le alternative agli antibiotici

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In lotta perenne contro i batteri e le infezioni: lo eravamo agli inizi del secolo scorso, quando la comunità scientifica esultò per la scoperta della penicillina, lo siamo oggi a fronte di 25 mila morti ogni anno in Europa (5 persone ogni 100 mila) per malattie causate da batteri divenuti resistenti agli antibiotici. Un paradosso? No, la realtà.

Questo dato scioccante è scritto, nero su bianco, nel primo rapporto della Transatlantic taskforce on antimicrobial resistance (Tatfar) pubblicato nel settembre 2012. Ma già nel 1998 un parere ufficiale del Comitato economico e sociale dell’Unione europea definiva la resistenza agli antibiotici «una minaccia per la salute pubblica».

Negli Stati Uniti non va meglio: stando ai dati dei Centers for Disease Control and Prevention, ogni anno oltre 2 milioni di persone contraggono infezioni dovute a batteri restistenti agli antibiotici e 23mila muoiono.

Oggi il fenomeno ha assunto proporzioni che qualcuno definisce addirittura ingovernabili. La ragione sta nell’abuso che si è fatto di questi farmaci, utilizzati sia sull’uomo sia sugli animali in maniera estensiva e spesso niente affatto selettiva. «Sviluppare nuovi farmaci non sarà sufficiente per contenere il fenomeno dell’antibiotico-resistenza» afferma la Tatfar. «I microbi troveranno sempre il modo per sfuggire alla loro azione».

Quel che è certo è che la prospettiva non è rassicurante e la priorità individuata dalla comunità medica, benché solo di recente, è quella di ridurre drasticamente la somministrazione dei farmaci in questione. Ma è dunque possibile sostituire gli antibiotici?

Nella stragrande maggioranza dei casi non sono necessari e possono essere sostituiti da sostanze naturali come ad esempio la propoli, che possiede spiccate proprietà antibatteriche naturali, oppure l’argilla verde, che svolge un’azione antibatterica come quella della famosa muffa di Fleming e che può essere assunta sia per via interna, sia attraverso i vecchi cataplasmi.

Un ortaggio dalle proprietà antibiotiche portentose è l’aglio, negli ultimi anni oggetto di studi scientifici rigorosi che ne hanno riconosciuto la proprietà antibatterica, simile a quella dei più comuni antibiotici. Con una differenza: non provoca antibioticoresistenza. Varie piante possiedono un’azione batteriostatica e anche battericida: gli agrumi, specie il limone, l’echinacea, l’astragalo, il corbezzolo e tante altre, come il timo o il rosmarino.

Se poi vogliamo prodotti ancora più efficaci dobbiamo rivolgerci agli oli essenziali, che hanno proprietà antibatteriche spiccatissime, sia contro batteri gram positivi che gram negativi, conosciute peraltro da molti anni. I principali sono gli oli essenziali di origano, timo, cannella, geranio, melaleuca, limone. Le loro proprietà sono state testate attraverso quello che si chiama aromatogramma, equivalente dell’antibiogramma per gli antibiotici.

Con i rimedi omeopatici e la fitoterapia si può inoltre aiutare chi gli antibiotici li assume già, riducendone gli effetti collaterali. Ovviamente non bisogna dimenticare che ai rimedi naturali vanno assolutamente abbinati una corretta alimentazione e uno stile di vita sano, senza trascurare le relazioni affettive, anch’esse importantissime nella cura di una persona. Dunque: sani e guariti senza antibiotico si può.






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