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Antonio Vivaldi, la “rockstar” del violino

Se Salisburgo vuol dire Mozart e Vien­na vuol dire Strauss, Venezia vuol dire Vivaldi.

La sua figura è indissolubilmente legata alla città lagunare, di cui è una sorta di testimonial.

Le quattro stagioni, una tra le composizioni di musica barocca più conosciute al mondo, risuona nei video promozionali e nei concerti per turisti a caccia dell’atmosfera del Settecento veneziano.

È invece raro che le musiche di Vivaldi siano eseguite nei teatri della città: la famosissima Fenice e il Malibran.

Tutto il contrario di quello che accadeva a Venezia tre secoli fa, quando il Prete rosso (Vivaldi era prete, e aveva i capelli rossicci) era davvero una star.

Ma chi era veramente Antonio Vivaldi, la “rockstar del violino”? Scopriamolo insieme!

CRONOLOGIA
Una vita per la musica

  • 4 marzo 1678: Vivaldi nasce a Venezia. È affetto (pare) da asma bronchiale.
  • 1688: Inizia a studiare il violino con il padre, Giovanni Battista, e si avvia al sacerdozio.
  • 1696: Diviene violinista sovrannumerario nella cappella della Basilica di San Marco.
  • 23 marzo 1703: Vivaldi è ordinato sacerdote; da allora è detto Prete rosso.
  • 1° settembre 1703: Diviene insegnante di violino all’Ospedale della Pietà.
  • 1704: Ottiene la dispensa dal celebrare la messa per motivi di salute.
  • 1718: Conosce Anna Girò, che diventa sua protetta, per la quale comporrà 15 opere.
  • 1723: Inizia a comporre i concerti del Cimento dell’armonia e dell’invenzione.
  • 1740: Si trasferisce a Vienna, alla corte di Carlo VI. Qui muore l’anno successivo.

1. Popolare

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Dimenticato subito dopo la sua morte e riscoperto solo nel Novecento, in vita Antonio Vivaldi conobbe un successo comprensibile soltanto se si immagina la Venezia di allora, una città in cui la musica e il teatro musicale erano seguiti quanto oggi il cinema hollywoodiano.

«Era una persona di grande presenza scenica» racconta la musicologa inglese Micky White, archivista dell’ex Ospedale della Pietà, dove insegnò Vivaldi.

«Quando era in una stanza polarizzava l’attenzione. Inoltre era un virtuoso del violino e la sua fama personale accompagnava la fama della sua musica». La musica a Venezia faceva parte della vita di tutti i giorni.

Francesco Sansovino, figlio del celebre architetto, scrisse nel suo libro Venetia città nobilissima et singolare (1663): “La musica ha la sua propria sede in questa città".

«Soprattutto, a Venezia c’era l’opera. Proprio qui, nel Settecento, con l’apertura dei teatri pubblici, divenne un divertimento per tutti» continua l’esperta. Ma non dobbiamo immaginare serate mondane tra abiti frusciami e mormorii sommessi.

«Nelle sale non c’erano le sedie in platea, solo qualcuna per le signore. Era un viavai continuo». In città c’erano una ventina di teatri per circa 140mila persone: uno ogni 350 abitanti.

«La gente passava da un teatro all’altro nella stessa sera e la musica era un collettore sociale, che univa strati diversi della popolazione attraverso il divertimento.

Vivaldi aveva ben chiaro questo aspetto “social” della musica e decise di sfruttarlo, cercando di creare composizioni che soprattutto andassero incontro ai gusti del momento: era un entertainer.

Con l’opera, però, non aveva le mani libere». In questo genere, infatti, i compositori dovevano fare i conti con i capricci di dive e castrati. 

«I cantanti ponevano molte condizioni nella scelta dei brani da eseguire. Solo l’incarico di maestro presso la Scuola di musica dell’Ospedale della Pietà (nella foto) permise a Vivaldi di esprimere pienamente il suo genio.

2. Con le ragazze

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Proprio l’Ospedale della Pietà ha un ruolo importante in questa storia.

Nonostante il nome, in quell’ospedale non si curavano malattie: era un orfanotrofio (il nome “ospedale” deriva da “ospitare”).

Fondato nel 1346, era il più importante dei quattro “ospedali” femminili di Venezia.

«Vi trovavano assistenza, oltre agli orfani, i bambini poveri. Negli ospedali per ragazzi si imparava un mestiere, mentre in quelli femminili si riceveva un’educazione musicale; le ragazze di maggior talento rimanevano lì per tutta la vita» racconta White.

«All’Ospedale della Pietà arrivavano circa quattro bambine al giorno, orfane o abbandonate, un fatto non raro nella Venezia dell’epoca. Siccome non c’era spazio per tutte, molte venivano mandate in altri luoghi pii o in residenze di campagna.

Avveniva subito una prima selezione, affidata alle ragazze più grandi. Si testava se la bambina aveva la stoffa della musicista e poi veniva inquadrata in base alle sue qualità musicali: c’erano le “figlie di coro”, le più esperte "privilegiate di coro”, e le “maestre di coro”, le potenti insegnanti che di fatto prendevano le decisioni».

Le insegnanti, racconta ancora White, «erano i veri capi della Pietà. Furono loro a caldeggiare la conferma di Vivaldi come maestro del coro, con il quale avevano un rapporto di grande intesa».

Se Vivaldi arrivò a firmare il numero record di 750 composizioni (per lo più lavori strumentali, più un centinaio di cantate, musica sacra e una quarantina di melodrammi), si deve anche a quella decisione.

Una volta insediatosi alla Pietà, gli fu garantita la possibilità di disporre a piacimento delle musiciste e delle cantanti dell’orfanotrofio. E le malelingue finirono per dire che quel prete non era rosso solo di capelli, ma anche di passione.

3. Padre manager

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Vivaldi arrivò all’Ospedale nel 1703 come maestro di violino.

A quel tempo lavorava da qualche anno come violinista aggiunto nella cappella dogale della Basilica di San Marco (dal 1696) e contemporaneamente si preparava a diventare sacerdote (fu ordinato nel 1703).

Dall’anno successivo divenne anche maestro di viola inglese e nel 1705 fu incaricato di comporre ed eseguire concerti. Le musiche composte alla Pietà venivano poi eseguite nelle sale da musica e nei teatri, come il Sant’Angelo.

Vivaldi rappresentò qui la sua prima opera nel 1705 e nel 1714 divenne impresario del teatro. Ma, precisa ancora White, «il vero manager era il padre, che aveva il fiuto del businessman».

Non per niente la parabola di Vivaldi è interamente legata al padre, musicista anch’egli, che curò gli affari del figlio per tutta la vita, morendo solo cinque anni prima di Antonio.

Eppure, anche se molto richiesto, Vivaldi non divenne ricco. Un musicista era considerato poco più di un cameriere all’epoca, e riceveva una paga modesta.

Dall’ingresso alla Pietà fino al 1720 la musica sarà la sua occupazione principale. Smise quasi subito di celebrare la messa, a quanto pare per motivi di salute, ma intrattenne con l’Ospedale un rapporto, diciamo così, "flessibile".

Fra il 1709 e il 1711 ad esempio pare scomparire. Qualcuno sostiene che sia stato licenziato per un periodo, altri che abbia viaggiato un paio d’anni, cosa che in effetti fece spesso nell’ultima parte della sua vita.

Si deve proprio a un suo temporaneo trasferimento a Mantova come musicista di corte dal (1718 al 1721) l’incontro con la cantante Anna Girò, all’epoca ancora bambina, che divenne la sua protetta e preferita.

Questo rapporto speciale con Anna, come quello privilegiato con le coriste della Pietà, rinfocolò i dubbi sulla castità del Prete rosso.

Forse i suoi allontanamenti dall’Ospedale furono il frutto di amicizie un po’ troppo intime con qualche corista? Non si sa. Di certo, la sua fama gli garantì sempre di riprendere l’attività alla Pietà.

4. Nemici potenti e fine di un’epoca

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Come tutti i musicisti di successo del Settecento, Vivaldi ebbe tenaci detrattori.

Primo fra tutti Benedetto Marcello, (1686- 1739), nella foto.

L’odioso personaggio di "Aldiviva” (quasi anagramma di Vivaldi) ne il teatro alla mala, libello polemico scritto da Marcello nel 1720, è ispirato proprio al Prete rosso.

«Il motivo dell’astio nei suoi confronti era semplice» spiega White. «Vivaldi non era di origini nobili e in più avvicinava il popolo alla musica: due cose inaccettabili per Marcello. In più, c’era l’invidia.

Questo atteggiamento di sufficienza verso Vivaldi è arrivato fino a oggi: non a caso il conservatorio di Venezia è intitolato a Benedetto Marcello, che oggi quasi nessuno conosce, e non a lui».

Eppure la fama di Vivaldi, tre secoli fa, andò oltre la laguna. «Fu un vero innovatore nel modo di comporre, come nelle scelte ardite riguardo alla strumentazione. Perfino Johann Sebastian Bach studiò e trascrisse i suoi lavori».

Tra Faltro anche Bach fu dimenticato e riscoperto; e la riscoperta del tedesco contribuì a quella del veneziano. Così come era sbocciata, la fama di Vivaldi sfiorì.

La sua rapida popolarità era legata a una stagione irripetibile per la musica italiana. La moda dell’epoca dei pastiches, sorta di collage di opere di diversi compositori, aveva garantito la circolazione del suo nome.

Ma ormai altri centri musicali si stavano affermando: Roma, Bologna, e soprattutto Napoli, dove stava nascendo un nuovo genere d’opera. D’un tratto la sua musica era passata di moda.

Ormai vecchio per quei tempi (aveva 60 anni) se ne andò a Vienna nel 1737, cercando fortuna presso la corte di Carlo VI, che aveva amato la sua musica al punto da invitarlo nella capitale.

Ma il desiderio di Antonio di diventare musicista di corte si spense con la morte dell’imperatore, nel 1740. Un anno dopo morì anche lui, in miseria dopo aver svenduto per pochi soldi una parte dei suoi preziosi manoscritti.



5. Un archivio da 120 Cd

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La più grande raccolta di partiture autografe di Vivaldi (450) non si trova a Venezia ma a Torino, alla Biblioteca Nazionale Universitaria (nella foto), raccolta nei fondi intitolati a Mauro Foà e a Renzo Giordano (i figli dei due mecenati che acquistarono le collezioni).

E fu scoperta per caso, perché agli inizi del Novecento del compositore si era quasi persa la memoria.

Era il 1926 quando il direttore del Collegio Salesiano di Casale Monferrato interpellò alcuni esperti, fra cui il musicologo Alberto Gentili (1873-1954), affinché valutassero una collezione di partiture settecentesche, lascito del marchese Marcello Durazzo, che si intendeva vendere per finanziare un restauro.

Gli esperti trovarono fra le carte 14 opere di Vivaldi e si adoperarono affinché l'Università le acquisisse. Si notò presto che la collezione era incompleta. Ma ulteriori ricerche permisero di risalire nel 1930 al possessore del resto della collezione, un congiunto dei genovesi Durazzo.

L'uomo, dopo una lunga mediazione, acconsentì a vendere la seconda parte della collezione, acquistata in questo caso dal padre del piccolo Renzo. I due fondi, distinti nell'intitolazione per rispettare la memoria dei figli dei due mecenati, furono riuniti.

Si spiega così perché i manoscritti si trovino a Torino oggi, ma non perché si trovassero a Casale e a Genova in precedenza. Risalendo l'albero genealogico dei Durazzo si scopre che il conte Giacomo fu ambasciatore d'Austria a Venezia dal 1764 al 1784.

In questi venti anni acquisì, non si sa in che modo, i manoscritti che da quel momento seguirono le sorti della famiglia spostandosi con essa. Il ritrovamento dei manoscritti contribuì alla riscoperta di Vivaldi, che però avvenne solo dopo il 1945, a 20 anni dal ritrovamento delle carte.

Questo perché Gentili era ebreo: colpito dalle leggi razziali del 1938, fu interdetto dagli incarichi accademici. Dalla volontà di eseguire l'immensa collezione di partiture, negli Anni '90 nacque - con la consulenza del musicologo italiano Alberto Basso - la "Vivaldi edition".

A oggi sono stati incisi 50 Cd (su circa 120 previsti) dalla casa discografica Naive (info su www.naive.fr).






Note

Acustica perfetta?

Dove un tempo sorgeva l'antico Ospedale della Pietà e la cappella nella quale Vivaldi compose ed eseguì la maggior parte delle sue musiche, sorge oggi l'Hotel Metropole.

Al suo interno sono visibili le colonne della chiesa e uno scalone un tempo parte dell'Ospedale.

La Cappella della Pietà, invece, fu demolita quando si costruì l'attuale chiesa, agibile dal 1760, vent'anni dopo la morte del Prete rosso, e completata solo nel 1906.

La leggenda vuole che l'architetto Giorgio Massari nel progettare la chiesa avesse raccolto numerose indicazioni sull'acustica fornitegli proprio da Antonio Vivaldi.

Questo creò la fama della chiesa della Pietà come sala dall'acustica perfetta. Non c'è nulla di più falso.

Quando Antonio Vivaldi era in vita certo doveva sapere della costruzione della chiesa, poiché dovette assistere alle imponenti opere di demolizione che coinvolgevano l'area.

Ma non esiste nessun documento che confermi un suo intervento relativo all'acustica interna. Inoltre i moderni rilevamenti dimostrano come l'acustica della chiesa sia tutt'altro che perfetta.

La professoressa White ci ha svelato l'esistenza di alcuni ganci in ferro all'interno della chiesa, ancora visibili sebbene difficilmente rintracciabili, che servivano già nel Settecento per issare i tendoni in maniera tale da modificare il volume interno e quindi l'acustica.

Il fatto che la Chiesa della Pietà e il nome di Massari siano legati al nome di Vivaldi è solo una trovata turistica.

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