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Caterina Sforza: la “leonessa di Romagna”

Durante la prima metà del ’400 le lotte per la supremazia degli Stati regionali italiani ripresero nuovo vigore: più tardi però, soprattutto per impulso di papa Niccolò V, dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453), prese vita una comune iniziativa di pace, per stipulare la quale Venezia e Milano si incontrarono a Lodi il 4 aprile 1454. 

Furono così sospese le operazioni militari e Francesco Sforza venne riconosciuto duca di Milano.

La pace attuata con prontezza fu allora accompagnata da un complesso di alleanze che dettero luogo alla cosiddetta “Lega Italica” (1455), un patto promosso da Milano, Venezia e Firenze, subito approvato dal pontefice e dagli altri Stati, volti a esaltare la posizione di equilibrio delle forze politiche italiane della metà del XV secolo.

Ma nonostante l’equilibrio realizzato piuttosto precariamente, la più concreta situazione politica italiana della seconda metà del ’400 fu costellata di inquietudini e instabilità, macchiata dal sangue di molte e frequenti congiure, pur se
al tempo medesimo rimase piuttosto fedele all’equilibrio instaurato in precedenza dalla suddetta Lega.

Proprio in tal complesso e variegato panorama Caterina Sforza si inserì con grande vigore, facendosi valere a volte come titolare di un legittimo potere, in altri casi come indocile pedina di progetti e accordi disegnati e sanciti al di fuori della sua volontà, ma sempre riuscendo a imporsi come protagonista delle vicende a lei coeve.

Ma vediamo meglio chi fu Caterina Sforza, questa grande donna, impavida, guerriera e forte. Quella donna che seppe porre in luce le sue doti teorico-politiche e organizzative, che le consentirono di raccogliere successi a volte vistosi e in certo modo non effimeri.  

Storicamente viene considerata una delle figure femminili più coraggiose del Rinascimento, tanto da essere stata definita “leonessa di Romagna”.

P.S. A tutti quelli che sono interessati all'argomento, consigliamo la lettura del libro "Le grandi donne del Medioevo" di Ludovico Gatto.

1. La nascita e il primo matrimonio

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Caterina nacque a Milano nel 1463 e fu figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani, gentildonna di corte.

La sua esistenza seguì il corso riservato alla gran parte delle figlie dei signori italiani e il matrimonio per lei deciso con Girolamo Riario (nella foto, Girolamo è al centro), nipote di papa Sisto IV della Rovere, rientrò nel progetto di alleanze ad ampio spettro perseguito dal duca di Milano.

Le nozze con il conte di Imola e Forlì furono celebrate nella primavera del 1477; Caterina aveva quattordici anni.

Pochi mesi prima – il 26 dicembre 1476 – era stato assassinato il padre Galeazzo Maria Sforza e l’anno successivo – il 26 aprile 1478 – Girolamo Riario fu coinvolto nella congiura dei Pazzi, che in Firenze condusse alla morte di Giuliano de’ Medici ma non riuscì ad annientare l’egemonia della famiglia dominante.

Furono queste solo due delle cospirazioni nelle quali la nostra nobildonna fu inizialmente coinvolta, seppure indirettamente, e che furono destinate a segnare in modo indelebile la sua giovane vita e il suo futuro.

2. Il possesso di Castel Sant’Angelo

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Dalla sua unione con il Riario nacquero sei figli, ma il matrimonio con il conte si rivelò tutto sommato un fallimento sotto il profilo sentimentale.

E nonostante tale stato di fatto non rappresentasse un’eccezione nel panorama delle nozze, dettate a quel tempo soprattutto da interessi politici ed economici, la troppo netta differenza di personalità dei due coniugi produsse spesso una duplicità di condotta pubblica che non giovò affatto alla saldezza del principato del Riario.

Fu il caso, ad esempio, delle sommosse successive alla scomparsa di papa Sisto IV – 12 agosto 1484 – quando in Roma i Colonna sobillarono il popolo ad assaltare e a saccheggiare le proprietà dei della Rovere e dei Riario.

Girolamo e Caterina, allora in attesa del quinto figlio, si trovavano a Paliano al momento del trapasso del pontefice, ma logicamente si affrettarono a rientrare nell’Urbe, dove il Riario deteneva la carica assai importante di castellano di Castel Sant’Angelo (nella foto).

Fu tuttavia Caterina a entrare nell’Urbe in prima persona accompagnata dalle truppe del condottiero Paolo Orsini, a prendere possesso del Castello, a organizzare praticamente dal nulla la difesa e a espellere dalla rocca coloro la cui fedeltà non fosse del tutto certa e acclarata.

Il Riario invece, titolare della castellania, mostrando un carattere mutevole e ben diverso da quello della consorte, coraggiosa e abituata a non avere una funzione di tipo decorativo, si accampò pavidamente fuori della cinta muraria della città.

Caterina rimase asserragliata in Castel Sant’Angelo per due settimane, difendendo i diritti e l’onore del marito che, nel frattempo, accettò di scendere a patti con il Sacro Collegio dei cardinali in cambio di denaro, del titolo di capitano generale della Chiesa e della conferma dei suoi possessi di Imola e Forlì.

Umiliata e delusa, la coraggiosa combattente lasciò allora Roma insieme con Girolamo il 26 agosto 1484.

3. La morte di Girolamo Riario

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Non fu tuttavia quella l’unica occasione in cui la Sforza si dimostrò più coraggiosa, dignitosa e lungimirante del marito, acuta nell’analisi degli avvenimenti e ben risoluta nell’identificare possibili soluzioni alle crisi che venivano a
presentarsi.

Quando infatti nel 1487 il potere di Girolamo Riario cominciò a vacillare sotto i colpi di una grave crisi economica e fiscale, e a causa della ritrovata e consolidata alleanza fra la Chiesa e Firenze, conseguenza del matrimonio di Franceschetto Cybo, figlio di papa Innocenzo VIII, con Maddalena de’ Medici, fu Caterina a prendere ancora una volta nelle sue mani le redini della delicata situazione e a recarsi a Milano, ove chiese l’appoggio significativo dello zio Ludovico Sforza (nella foto).

Il timore che la parentela stretta da Lorenzo il Magnifico – da anni nemico di Girolamo Riario –  con il pontefice ligure potesse mettere a rischio la propria sopravvivenza e il futuro dei figli, sollecitò ancora Caterina a stipulare con Ludovico il Moro un vero e proprio “baratto di Stato”.

Così, accanto a un potentato di analoga estensione all’interno dei domini sforzeschi, la nobile milanese si mostrò pronta a concedere i possedimenti romagnoli allo zio per frenare sia le ambizioni del papa, sia i progetti di Lorenzo de’ Medici.

Il 14 aprile 1488 a Forlì, Girolamo Riario cadde vittima di una congiura attuata da un gruppo di suoi collaboratori con l’appoggio di Firenze.

Nonostante il popolo non appoggiasse il progetto delittuoso, la Sforza si rinchiuse con i suoi figli nella rocca di Rivaldino, ponendosi ancora una volta a capo di una resistenza tenace e determinata. 

Narra il grande storico fiorentino Machiavelli che al castellano di Rivaldino, intenzionato a impedire alla contessa di entrare nella rocca minacciando di uccidere i suoi figli, l’impavida donna avesse risposto in modo risoluto e sfrontato di avere «seco il modo a rifarne degli altri».

La sua prontezza e l’arrivo delle truppe sforzesche, appena due settimane dopo la morte di Girolamo Riario, risolsero la situazione critica a favore della Sforza, che rimase saldamente al potere come reggente del figlio Ottaviano e sotto la supervisione del cardinale Raffaele Riario Sansoni, cugino del giovane Riario.

4. Il secondo matrimonio

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L’ultimo decennio del XV secolo fu invero molto tormentato per la contessa, e la scomparsa di Lorenzo il Magnifico (nella foto) nel 1492 contribuì a infrangere definitivamente l’equilibrio sancito dalla Lega Italica quasi quarant’anni prima.

Le conseguenze più immediate furono la discesa in Italia del re francese Carlo VIII e la contemporanea espulsione dei Medici da Firenze.

Uscita fortunosamente indenne dalla spedizione fallimentare del sovrano transalpino, Caterina incrinò tuttavia i suoi rapporti con i sudditi a causa del forte legame sentimentale che instaurò con Jacopo Feo, uno scudiero di corte divenuto il suo favorito ed elevato a un rango eccessivamente alto per lui.

Questo episodio appare in realtà come una nota stonata nell’ambito di un concerto armonioso e complesso, ove poteva sembrare che non vi fosse spazio per inutili languori amorosi. 

Invece l’irriflessiva condotta della nostra contessa, l’ambizione manifesta di Jacopo, la sua arroganza e il pericolo che i diritti del giovane Ottaviano potessero in certo modo essere violati, furono le cause di una nuova congiura che toccò questa volta da vicino Caterina, e che il 27 agosto 1495 tolse la vita a Jacopo.

L’esecutore materiale fu uno dei soldati di Ottaviano, l’ispiratore probabilmente il cardinale Riario Sansoni, mentre i Forlivesi furono i sostenitori convinti del complotto.

La vendetta della nobildonna fu ancora una volta terribile, ma se in occasione della morte di Girolamo Riario si era trattato di proteggere la legittimità del suo potere signorile, nel 1495 il sangue versato copiosamente si configurò come un abbandono irrazionale alla passione, e tale atteggiamento le alienò in via definitiva l’appoggio dei suoi sudditi, che in precedenza non le era mancato.

 



5. Il terzo matrimonio e la fine

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Verso la fine del 1496 la contessa conobbe Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici (nella foto), recatosi a Forlì per trattare l’acquisto di grano di cui Firenze aveva grande necessità.

Esponente del ramo cadetto della grande famiglia fiorentina, Giovanni non aveva ancora trent’anni, era bello, colto, brillante e conquistò Caterina, offrendole supporto e dialogo intellettuale, prima ancora che amore.

Il 6 aprile 1498 la signora di Imola e Forlì diede alla luce, all’età di trentacinque anni, il suo settimo figlio, al quale fu imposto il nome di Ludovico; cinque mesi dopo Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici morì alle terme di Bagno dopo una brevissima malattia, lasciando la consorte debole, sola e annientata dal dolore.

All’ultimo figlio neonato fu mutato allora il nome in quello di Giovanni, in onore e ricordo del defunto padre: e la storia lo conobbe presto e ripetutamente come Giovanni dalle Bande Nere, forse il più famoso condottiero dell’Italia rinascimentale.

Ancora una volta pertanto la personalità e l’azione della Sforza apparvero legate a vicende importanti e imprevedibili, destinate a fare di lei, per motivi militari, per vicende tattico-strategiche e diplomatiche o per sentimenti umani ma estranei alla vita e al funzionamento degli Stati, una figura di primo piano della fine del ’400.

L’avventura della Sforza si concluse all’alba del nuovo secolo, quando Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI, conquistò Imola e Forlì rispettivamente nel 1499 e nel 1500.

Condotta prigioniera a Roma, ove tanto tempo prima aveva ricoperto una ben più possente posizione di prestigio, rimase reclusa in Castel Sant’Angelo fino al 30 giugno 1501, quando Alessandro VI la liberò in cambio della rinuncia ai beni romagnoli.

Quindi trascorse ancora i suoi ultimi anni in Firenze accanto al figlio Giovanni, ormai entrato definitivamente a far parte della casata dei Medici, e per la cui tutela dovette lottare strenuamente. Lontani ormai i giorni dei sanguinosi campi di battaglia, Caterina diventò una assidua benefattrice del Convento delle Murate.

Nel 1509 si ammalò di un'infezione a un piede che nemmeno le sue ricette riuscirono a curare. Morì il 28 maggio e fu sepolta nell'oratorio del Convento delle Murate, a Firenze. Nel 1835, nel corso dei lavori, fu ritrovata la sua lapide, ma le ossa erano ormai disperse.

Giovanni, di appena undici anni, fu affidato alla tutela del pivano Francesco Fortunati e di Jacopo Salviati, genero del Magnifico. La figlia di Jacopo, Maria Salviati, e Giovanni de’ Medici si sposarono nel 1516: il loro erede, Cosimo, fu il primo granduca di Toscana.

L’eredità di Caterina Sforza sopravvisse nei secoli e rimase autentico il ricordo di una donna forte che seppe porre in luce le sue doti teorico-politiche e organizzative, che le consentirono di raccogliere successi a volte vistosi e in certo modo non effimeri.

Caterina Sforza fu una figura di grande rilievo nella società del suo tempo, valorosa combattente, dalla personalità eclettica e sanguigna, virago e demonio femminile, esperta in alchimie erboristiche (scrisse anche un trattato su questo argomento contenente oltre 500 procedimenti vari, dai cosmetici ai veleni mortali), violenta e risoluta con i nemici.






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