Celti è il nome dato inizialmente dai Greci e dalle altre genti d’Europa a quelle popolazioni originarie della Boemia e della Germania meridionale che nel corso del primo millennio a.C. si diffusero verso ovest, nell’odierna Francia (da loro chiamata Gallia) e nelle isole britanniche, e verso sud stanziandosi in Spagna (Celtìberi), in Italia centrosettentrionale, in Grecia e in Asia Minore dove diedero il nome ad una regione, la Galazia (o Galatia). I Romani preferirono chiamarli con il nome di Galli, mentre presso i Greci erano anche conosciuti come Galàtai o Gàlati (vale a dire abitanti della Galazia). Il loro nome originario era Keltòi, Celti.
Il termine celti compare per la prima volta negli scritti del geografo greco Ecateo di Mileto, Ἑκαταῖος Μιλήσιος nel 500 a.C.: egli parla di "Nirax, una città celtica" e di "Massalìa (Marsiglia), città della Liguria nella terra dei Celti" (Fragmenta Historicorum Graecorum). Quando Greci ed Etruschi, nel VI secolo a.C., cominciarono ad interessarsi all'Europa continentale, vi trovarono già insediate queste popolazioni, dall'Atlantico fino ai territori a nord delle Alpi.
I Celti, essenzialmente per la mancanza di una tradizione scritta, hanno sempre suscitato nelle altre antiche popolazioni un profondo interesse misto ad uno sconosciuto ed inesplorato timore. Il loro nome, le loro gesta, le loro credenze e i loro costumi, sono sempre stati avvolti come da un alone di mistero e di leggenda; le loro stesse origini si perdono nella nebbia della protostoria europea. Sono sempre stati considerati barbari, violenti e arretrati. L'incarnazione di una civiltà violenta e avvezza all'alcool, destinata a soccombere all'efficienza romana. Ma nuovi studi dipingono una realtà abbastanza diversa.
Oggi parleremo di questo popolo misterioso e poco conosciuto, della sua cultura, capace di rivaleggiare con quella dell'Antica Roma, per scoprire, infine, che abbiamo ereditato tante cose "dall'intellighenzia" della civiltà celtica . Scopriamolo insieme.
1. I Celti ed il loro stereotipo
I Celti hanno origine indoeuropea. Giunsero in Europa in varie ondate, fra il 3500 e il 1500 a.C. muovendosi dalle regioni centrali dell’Asia e attraversando il Caucaso e il Medio Oriente. Nell'immaginario collettivo, supportato da numerose scelte cinematografiche e letterarie, il guerriero celtico è visto come un uomo capellone, sudicio e incrostato, avvolto in rozzi panni in tartan. Un ignobile abitante di foreste selvagge oltre i confini dell'Impero Romano, influenzato da sacerdoti sanguinari, i druidi, che lo incitano a condurre una futile campagna di resistenza contro un popolo superiore. L'incarnazione di una civiltà violenta e avvezza all'alcool, destinata a soccombere all'efficienza romana.
L'odierno stereotipo dei Celti sarebbe parso familiare ai Romani, anche perché furono proprio loro a crearlo: lo storico Cassio Dione scriveva che gli indigeni delle isole britanniche si nutrivano di radici e cortecce ed erano in grado di sopravvivere per giorni interi immersi in acque paludose emergendo di tanto in tanto per respirare. Anche i Galli che abitavano l'attuale Francia, venivano considerati poco civilizzati: Homo Celticus d'oltralpe era sempre pronto alla battaglia a fianco di muscolose guerriere dagli occhi blu, vestite di pelli animali, se non completamente nude.
In versione casalinga era spesso alticcio e solito portare i pantaloni, anziché la toga. Questo avveniva nella cosiddetta Gallia Narbonense o Bracata mentre più a nord, nella Gallia Transalpina o Comata la situazione era persino peggiore. Le popolazioni più settentrionali ignoravano completamente le buone maniere, soprattutto a tavola. Si narra di lotte all'ultimo sangue per accaparrarsi il cosciotto di maiale più succulento e poiché gli aristocratici non di radevano per vezzo, "i loro baffi erano così unti e intrisi di sporcizia che le bevande filtravano a malapena tra avanzi e peluria", racconta lo storico Diodoro Siculo.
I Celti erano in realtà una costellazione di tribù tenute insieme da una lingua comune, da forme artigianali, strutture militari e credenze religiose sufficientemente unitarie da essere riconosciute. Per tale motivo è più corretto parlare di cultura celtica che di gruppo etnico. Socialmente erano divisi in tribù e villaggi fortificati pressoché autonomi (gli Oppida), comandati da aristocratici, i quali venivano di preferenza costruiti su ripide zone collinari (i cosiddetti Hillfort). Tributavano grande onore a cantori, poeti, filosofi, indovini e ai sacerdoti, i Druidi. Caratteristica spiccata della loro religiosità era il culto dei morti, la fede nell’immortalità dell’anima e la credenza in una triade di dei, che influiranno notevolmente nel Cristianesimo di Stato attuato secoli dopo dall’imperatore romano Costantino.
Aspetto centrale della cultura celtica fu la musica, il canto, la scultura e l’artigianato di manufatti in oro, argento e rame, tra i quali oggetti ornamentali e torques, una sorta di collane rigide che i guerrieri portavano al collo. A differenza della contemporanea arte greco-romana che cercava di rappresentare la realtà, quella celtica fu soprattutto un’arte decorativa dove le forme viventi erano spesso stilizzate ed abbondavano gli elementi simbolici che avevano spesso una funzione magico-religiosa.
2. Gli scavi archeologici fanno emergere un quadro diverso
A più di 2000 anni dalla conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare, che con le sue legioni sterminò e ridusse in schiavitù due terzi della popolazione, lo stereotipo di tribù barbariche accampate in squallide capanne di fango e paglia, in trepida attesa di essere civilizzate non è ancora stato superato. Tuttavia, gli archeologi hanno dimostrato che i Celti furono tra le civiltà più progredite del mondo antico: nel periodo di massima espansione il loro dominio si stendeva dalle Highlands scozzesi al Mar Egeo e realizzavano capolavori artistici e tecnologici.
Nel VI secolo a.C., quando Roma era ancora un villaggio sconosciuto sulle rive del Tevere, in Borgogna, una principessa celtica abitava in un palazzo in legno dalle pareti gialle, circondata da ricchezze prodotti d'importazione. I suoi gioielli e oggetti d'uso quotidiano provenivano da ogni angolo del mondo allora conosciuto: monili in vetro e ambra del Baltico, girocolli in oro massiccio del Mar Nero, un carro da guerra dotato di uno snodo simile al servosterzo e, persino un'urna da vino di fattura italica da 1100 litri di capacità.
Nel 55 a.C., quando Cesare arrivò in Bretagna, le popolazioni autoctone vivevano in confortevoli abitazioni in legno, calde e ben isolate, che poco avevano da invidiare alle case greche e romane e i nobili sorseggiavano vino rosso gustando olive del Mediterraneo. Si trattava senza dubbio di passatempi elitari, sebbene gli standard di vita fossero generalmente piuttosto elevati, come confermò nelle ricerche lo storico greco Timagene raccontando di popolazioni in salute e dal portamento elegante. "In queste terre si incontrano uomini e donne dignitosi seppur in povertà, mai malridotti o vestiti di stracci". Non erano certo le tribù di selvaggi descritte da Cesare nel De Bello Gallico.
Le legioni romane incontrarono, invece, una realtà ben diversa caratterizzata da silvicoltura e agricoltura all'avanguardia, tant'è che i Galli furono in grado di fornire agli invasori 100 tonnellate di grano al giorno in tributi da ben 8 anni. Anche la Britannia, terra da sempre circondata da un'aurea di mistero, si rivelò sorprendentemente civilizzata sebbene i resoconti inviati a Roma indicassero tutt'altra realtà: "I Britannici pensano di poter chiamare città le loro fitte boscaglie protette da rozze fortificazioni e fossati" scrisse Giulio Cesare a Cicerone e il filosofo, a sua volta, scriveva a un amico che l'espansione a nord non avesse "prospettive economiche al di là dell'approvvigionamento di schiavi, individui incivili senza alcuna conoscenza in campo letterario e musicale".
Nel 2011, gli scavi archeologici presso l'odierna cittadina di Silchester, Calleva Atrebatum in epoca romana, hanno fatto emergere un quadro diverso. Al di sotto delle rovine di Calleva è stato rinvenuto un'insediamento precedente: si tratta di un "oppidum", una città fortificata, le cui strade erano tutte orientate verso i solstizi. E' una tra le scoperte più sensazionali dell'ultimo decennio che toglie ai Romani il credito di aver importato tale tipologia di insediamento in terra britannica.
Le fortificazioni celtiche erano ben collegate tra loro da un'eccellente rete stradale a pedaggio. Si tratta di un'ulteriore verità sulla civiltà celtica omessa dai Romani, tant'è che ancora oggi i libri di scuola attribuiscono a questi ultimi il merito di aver creato le prima vere e proprie vie di comunicazione. I numerosi carri rinvenuti nelle tombe celtiche, dallo Yorkshire alla Renania, erano chiaramente progettati per percorrere strade lastricate, non certo tortuosi sentieri.
3. Una cultura complessa
Il loro presunto analfabetismo costituisce una delle più grandi menzogne riguardanti i Celti. Sebbene Cesare affermasse che i druidi consideravano un sacrilegio mettere per iscritto i propri insegnamenti, egli aggiunse che in quasi tutti i settori della vita pubblica e privata, veniva correntemente utilizzato l'alfabeto greco. Ne sono sicuramente una conferma i censimenti redatti dagli scribi e i numerosi accessori per la scrittura rinvenuti dagli archeologi.
I druidi praticavano sacrifici umani propiziatori che, seppur inaccettabili secondo gli standard odierni, ben poco si allontanavano dalla macabra passione dei Romani per i combattimenti tra gladiatori o dalle mutilazioni e dagli stermini perpetrati durante le campagne militari. L'immagine dei druidi in veste bianca, misteriosi praticanti dell'arte divinatoria in tempi preistorici è pura fantascienza, oltre ad essere cronologicamente scorretta. Essi erano "l'intellighenzia" della civiltà celtica.
In Gallia, Cesare conobbe il druido Diviziaco, scienziato, studioso e diplomatico che venne persino ospitato da Cicerone sul Palatino e parlò davanti al Senato romano. Personaggi come Diviziaco non erano altro che il risultato del sistema di istruzione più avanzato di tutta l'Europa occidentale dell'epoca. La formazione di un sacerdote o una sacerdotessa durava più di 20 anni (quasi come il corso di studi che oggi si snoda dalla scuola primaria al dottorato universitario). Il curriculum prevedeva un'accurata preparazione in matematica, scienza, politica, storia, religione e diritto. Si trattava di un sistema basato sulla meritocrazia, l'accesso alla formazione non era precluso ai giovani di umili origini a patto che i familiari trovassero il modo di provvedere al sostentamento dello studente.
Grazie ad un'ottima conoscenza della geometria, i druidi erano riusciti a orientare luoghi di culto e città in corrispondenza di determinati eventi astronomici e a ipotizzare un sistema continentali di curve solstiziali. Queste ultime permettevano di stabilire l'esatta posizione di una strada, di un insediamento, di un campo di battaglia e, addirittura, di individuare il miglior itinerario da seguire per spostarsi durante le migrazioni tribali. Applicando il sistema greco di latitudine e longitudine in Gallia prima e in Britannia poi, i Celti furono sostanzialmente capaci di creare una precisa mappa del mondo allora conosciuto.
4. I Celti erano tecnici geniali
I Celti assimilarono e continuarono da maestri sommi le tecniche originarie dell’area mediterranea. Essi sapevano non solo damascare, ma anche fabbricare le più sottili lamine di ferro assai prima dell’invenzione del laminatoio. Sembra padroneggiassero anche la fusione del ferro dolce, un’arte che si credeva portata alla perfezione solo verso la fine dell’ottocento. Poiché lo stagno era per quei tempi relativamente caro, inventarono una specie di ottone, e al posto dello zinco, allora sconosciuto allo stato puro, impiegavano il minerale oggi noto come Smithsonite.
Sapevano, inoltre, rivestire con lo stagno gli oggetti di rame e inargentarli, forse per primi al mondo, col mercurio, ricavando per distillazione questo elemento estremamente velenoso con la sicurezza di esperti alchimisti. Infine, sapevano cuocere il vetro ornamentale, bianco e colorato, e conoscevano lo smalto. Altrettanto avanzata doveva essere la loro tecnica di tessitura e tintura. Gli uomini portavano brache e maglioni aderenti, chiaramente lavorati ai ferri e donne comode vesti dello stesso materiale, in una varietà di colori impressionante.
Il fatto però che le opere più importanti arrivate fino a noi siano state create non da scultori e architetti bensì da incisori, ci induce a concludere che avessero conservato la loro avversione contro ogni tipo di bene pesante e legato ad un luogo, anche dopo l’introduzione dell’agricoltura intensiva. Tutti i loro averi dovevano essere mobili e facilmente e rapidamente asportabili: recipienti di pregio, monili e armi. Anche i più semplici oggetti di uso comune, dalle briglie alle spille, sono minuziosamente lavorati.
Gli strani volti che emergono dai capolavori di cesellatura sono ancora oggi misteriosi e l'arte celtica restò inintelligibile ai Romani. Naturalmente, posero la massima cura a fabbricare le armi. Le cotte di maglia dei principi celti, a giudicare dalle raffigurazioni su pietra che cene rimangono, sostengono degnamente il paragone con quelle dell’alto medioevo. E tuttavia "la sua ricchezza e la sua originalità si riflettono tuttavia nelle opere d'arte che rispecchiano una sensibilità molto diversa da quella del mondo greco-romano": "solo il calendario gallico, frutto di lunghi secoli di osservazioni astronomiche e di calcoli sapienti, testimonia in modo eloquente l'alto livello della scienza celtica".
5. Cosa abbiamo ereditato dai Celti?
a) Un'unione monetaria: I Celti gettarono, per così dire, le basi per l'unificazione economica dell'Europa. Ben prima della conquista romana, i Galli avevano stabilito un'unione monetaria con precisi tassi di cambio interni ed esterni. I rappresentanti delle diverse tribù si riunivano annualmente per rafforzare i rapporti tra le stesse, e le tribù confederate parlavano un'unica lingua e si occupavano congiuntamente della gestione delle vie di comunicazione.
b) Le prime città: I Celti fondarono le prime città Europee d'oltralpe, dei veri e propri insediamenti fortificati, le oppida. Nel I secolo a.C. le tribù, i cui antenati vivevano in fattorie isolate, iniziarono a riunirsi in villaggi ben strutturati. Queste proto-città erano dotate di lastricate e sistemi fognari ed erano suddivise in distretti a seconda della destinazione d'uso: residenziali, religiosi e industriali.
c) I Santi: Molti riti cristiani hanno origini celtiche. Le prime popolazioni iberiche cristiane chiamavano i santi "druidi". Santa Brigida, padrona d'Irlanda, era figlia di un druido. Il nome Brigida deriva, infatti, da una divinità celtica e la Santa viene celebrata il primo febbraio, in occasione di una della quattro festività celtiche principali, l'Imbolc.
d) Le mappe: I Celti avevano ben chiara la geografia del mondo fino ad allora conosciuto. Essi disegnavano delle mappe estremamente accurate che si snodavano tra luoghi sacri e leggendari per raggiungere i principali insediamenti della tribù.
e) L'istruzione: La clase colta celtica, i druidi, crearono la primissima forma di istruzione organizzata in Europa occidentale. I druidi erano esperti in astronomia, matematica, scienze politiche, storia e religione: ecco perché la formazione di un discepolo durava più di 20 anni. Alcune delle prime università fondate in Europa vennero gestite dai loro discendenti.