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Come difenderci da chi vuole manipolare la nostra mente

La saggezza popolare lo dice da sempre: la bellezza è negli occhi di chi guarda, gli elettori sanno che cosa votare, il cliente ha sempre ragione…

Vero? Fino a un certo punto.

Perché il cliente è condizionato dall’ambiente in cui si trova, l’elettore dalla propaganda politica e perfino le idee che abbiamo in testa, anche se le reputiamo “nostre”, possono esserci state inculcate in modo più o meno calcolato dall’esterno.

Come? E che cosa possiamo fare per difenderci?

Ecco cosa ci consiglia Moran Cerf, ex hacker e neuroscienziato franco-israeliano, docente alla Kellogg School of Management (Usa) e protagonista di molti esperimenti che gettano luce in modo sorprendente sul funzionamento del nostro cervello e sulla possibilità di manipolarlo. O di potenziarlo fino a renderci superumani.

 

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1. Dai computer al cervello

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Non è un caso che a parlarci di questi argomenti sia Moran Cerf, un ex hacker (nella foto accanto).

«Come tutti i ragazzi della mia generazione, sono cresciuto negli anni ’80 con i computer», racconta Cerf.

«Quando avevo cinque anni uscì il Commodore 64, e io passavo il giorno intero a programmare i giochi con in quali – alla fine – giocavo». Dopo i primi passi da dilettante, Cerf entrò come hacker nell’esercito israeliano, poi si dedicò per qualche anno alla consulenza sulla sicurezza informatica.

E infine decise di tornare all’università, dove incontrò Francis Crick, il premio Nobel coscopritore della doppia elica del Dna, che nel frattempo si era spostato dalla biologia alle neuroscienze.

«Anche lui era un hacker», dice Cerf, «nel senso che durante la guerra aveva fatto parte di un gruppo di intelligence a Bletchley Park, a Londra, con lo scopo di decifrare i codici nemici.
Crick sapeva come elaborare i segnali, e questo lo ha aiutato quando ha decrittato la sequenza del Dna. Quindi anch’io mi convinsi che potevo applicare con successo la mia esperienza di hacker in altri settori, in particolare alle neuroscienze»
.

Uno degli sviluppi recenti delle neuroscienze riguarda il modo in cui le persone si appassionano alle cose. «Quando due persone parlano tra loro e sono in sintonia, nei loro cervelli ci sono aree che si sincronizzano e danzano insieme. Se c’è qualcun altro nella stanza che non segue, invece, il suo cervello si comporta in maniera autonoma e diversa», dice Cerf.

«Analogamente, il cervello delle persone che sono coinvolte in una medesima esperienza, per esempio che stanno guardando un film, tende ad assomigliarsi tanto più quanto più l’esperienza è coinvolgente. L’attività cerebrale in questi casi si può registrare con una tecnica chiamata Eeg (elettroencefalogramma), che è relativamente poco costosa».

Questo può essere molto utile in alcuni settori, come il marketing e la politica. Per esempio si può far vedere un video a un gruppo di persone, e verificare se è coinvolgente o no. E questa è già una prima arma che consente a chi produce spot di veicolare i messaggi in modo più efficace. Ma è solo l’inizio.

 

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2. Strategia della paura

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Alcune reazioni, infatti, sono veramente universali: quando ci si trova di fronte a un Leonardo o a un Michelangelo, tutti i cervelli reagiscono allo stesso modo.

Altre reazioni, invece, dipendono dallo spettatore. «In alcuni casi uomini e donne reagiscono in modo diverso», chiarisce Cerf.

«Abbiamo fatto un esperimento durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, organizzando gruppi che guardavano video di Hillary Clinton e di Donald Trump, e abbiamo visto che – se nel video c’era qualcosa di offensivo – le donne reagivano in modo simile a prescindere dallo schieramento politico, cioè che fossero democratiche o repubblicane».

Così diventa possibile creare spot indirizzati a gruppi specifici di spettatori. Non solo. «Ci sono cose che ci influenzano più di quello che pensiamo», enfatizza Cerf.

«Emozioni come la paura, il sesso, il disgusto ci colpiscono anche se pensiamo di dominarle. Quando vediamo un politico che fa leva sulla paura, per esempio, possiamo anche pensare che non abbia effetto su di noi, ma ce l’ha, e possiamo misurarlo».

La possibilità di manipolare può spingersi oltre. L’ex hacker si scalda: «Posso metterti in una stanza a vedere un video, e farti entrare in testa un messaggio anche se non vuoi. Per esempio, se osservi un contenuto in gruppo, sei influenzato dalle altre persone. Quindi posso creare l’ambiente giusto per penetrare nel tuo cervello più di quanto tu voglia».

Esistono anche tecniche più raffinate, basate su reazioni individuali: «Ci sono momenti in cui il cervello ha bisogno di una pausa, e lì fa cadere la guardia», spiega Cerf.

«Ogni persona ha i suoi momenti di pausa, ma leggendo l’attività cerebrale è possibile individuarli e sfruttarli: in quel momento, infatti, si è più vulnerabili. Allora si può immaginare un televisore capace di accedere ai dati del cervello, e quindi di modificare il discorso di un politico per trasmettere il messaggio voluto nei momenti di debolezza di chi ascolta».

Un altro momento in cui siamo più vulnerabili è durante il sonno: «Se immetto un’idea nella tua testa mentre dormi, in particolare nelle fasi di sonno profondo, al mattino sarai convinto di averla elaborata tu, e la difenderai», arguisce Cerf.

 

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3. A prova di fumatore

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La tecnica è così efficace che può essere usata per convincere un fumatore a smettere. Come?

«Di notte, nella fase di sonno profondo, si fa annusare al fumatore prima l’odore della nicotina, e subito dopo quello di uova marce.

In questo modo si creano connessioni nel cervello per cui, al risveglio, al fumo è associata un’esperienza sgradevole. Se, allora, si chiede al fumatore se vuole fumare, risponderà di no.

E se gli si chiede perché, comincerà a spiegare. E più lui spiega, più nel suo cervello si creano connessioni che rafforzano questa sua convinzione, che in realtà non è sua ma è stata impiantata dall’esterno. La stessa tecnica si può usare per convincere una persona a comprare qualcosa».

Risultati ancora più radicali si possono ottenere con una tecnica più invasiva, che consiste nel collegare direttamente un cervello a un computer.

«Per questo tipo di esperimenti chiediamo l’aiuto di pazienti ricoverati in ospedale, ai quali viene rimossa parte della calotta cranica perché devono subire un intervento. Se sono d’accordo, impiantiamo alcuni elettrodi che permettono di studiare il comportamento dei singoli neuroni», spiega Cerf.

«Per esempio abbiamo scoperto che ci sono neuroni che codificano pensieri specifici, dunque possiamo fare in modo che, se una persona pensa “mamma”, l’immagine di sua madre appaia su uno schermo. Lo stesso vale nel caso di altri volti noti – per esempio quello di Marilyn Monroe – o per neuroni associati ad altri pensieri».

Con queste tecniche diventa dunque possibile guardare i pensieri uno a uno e mapparli, per poi impiantarli nel cervello di un altro individuo o in un computer... Fantascienza?

«Già vediamo che può funzionare con gli animali, per esempio con i ratti. Un ratto può svolgere una ventina di azioni. Può dormire, svegliarsi, mettersi in movimento, girare a sinistra o a destra, avere appetito. Con poche variabili, possiamo descrivere tutto quello che sa e trasferirlo su un ratto appena nato. Possiamo, cioè, trasferire la sua memoria».

Non è solo teoria: è stato dimostrato per mezzo di un labirinto creato in laboratorio. «Una volta che un ratto sa come muoversi al suo interno, si può mappare quello che succede nel suo cervello e trasferire l’informazione in un altro ratto. Negli esperimenti, vediamo che il nuovo ratto riesce a orientarsi anche se non ha mai visto il labirinto, perché la conoscenza è stata trasferita nella sua mente».

 

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4. Trapianto di memoria

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Oggi come oggi, non è pensabile di realizzare un esperimento simile con le persone.

Non solo per ragioni etiche, ma soprattutto perché il cervello umano è complesso e ci sarebbero troppe opzioni possibili.

Con il perfezionamento delle tecniche, però, lo scenario potrebbe cambiare. «Alcuni imprenditori come Elon Musk e Brian Johnson si stanno già muovendo», racconta Cerf.

«Si stanno seguendo due tracce principali. Una consiste nel trovare il modo di agire senza un intervento chirurgico, per mezzo di chip da frammentare e mischiare al cibo, in modo che le parti possano muoversi nel corpo e ricomporsi nel cervello. Un altro approccio è quello di focalizzarsi sui pazienti che richiedono un intervento chirurgico.
Negli Stati Uniti ce ne sono migliaia che hanno un chip nel cervello a causa del morbo di Parkinson: a queste persone si può offrire un circuito sperimentale aggiuntivo, che consenta alla loro mente, per esempio, di accedere a tutti i contenuti di Wikipedia e di comunicare tra loro senza parole.
Così migliaia di persone possono diventare immediatamente superumane e rispondere a ogni quiz che trovi risposta su Wikipedia».

A fine luglio, Musk ha presentato i piani di un chip da inserire nel cervello, per collegarsi allo smartphone con il pensiero. Per Cerf, il futuro è dietro l’angolo, e bisogna essere preparati.  «Quando tutto questo accadrà, l’impatto sulla società sarà enorme», avvisa.

«Perché fino a quando posso hackerare il tuo computer, posso rubarti l’email e il conto in banca. Posso causarti disagi, ma tu sei sempre tu. Se invece riesco a penetrare nel tuo cervello, posso trasformarti in qualcosa di diverso da te. E questo è destabilizzante. Posso spingerti a votare una persona invece che un’altra, e tu lo faresti senza porti alcuna domanda sul perché l’hai fatto. Non te ne renderesti conto e penseresti che è una tua scelta, perché sto hackerando la tua anima»

 

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5. Informarsi per difendersi

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Nella storia, i manipolatori ci sono sempre stati. Ma ora, con il supporto della scienza, il rischio di abusi aumenta a dismisura.

«Molte grandi aziende stanno assumendo i migliori neuroscienziati nel tentativo di comprendere quali sono i momenti in cui le persone sono più predisposte all’acquisto, o quelli in cui sono più influenzabili da uno spot», avverte Cerf.

«Per questo è importante parlarne. La scienza c’è già, adesso, e gli scienziati non sono le persone più adatte a fermarla. Gli scienziati sono incentivati a scoprire come funziona il mondo, e mettere questa conoscenza a disposizione di tutti».

Che cosa fare, allora? Ci sarà sempre un hacker a salvarci? «Certamente sì», risponde Cerf sorridendo.

«Però senza troppe illusioni, perché anche un hacker può essere hackerato. In quanto esseri umani, tutti abbiamo gli stessi punti deboli. Ma più informazioni abbiamo, meno siamo vulnerabili rispetto a chi non le ha. Per questo, chi ha letto questo articolo sarà un po’ più forte di prima. Non saremo mai immuni, ma informandoci avremo qualche arma in più per difenderci».

 

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