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Confucio: un saggio che predicava l’amore cinque secoli prima di Cristo

Nell’antico Stato di Lu, nel Nord della Cina, un guerriero giunto alla scuola di un venerabile maestro chiese perché mai avrebbe dovuto imparare altro che non fosse l’uso della spada.

Con essa avrebbe potuto tagliare un bambù, affilarlo e renderlo un’arma per trafiggere un drago.

Il maestro rispose invece che la spada era nulla senza la conoscenza e che se il guerriero sa affilare un bambù, il saggio sa poi mettergli una punta di ferro e farne una freccia da scagliare lontano.

Quel maestro aveva nome Confucio. Secondo la tradizione, sua madre, una concubina di appena 15 anni di nome Yan, venne visitata in sogno da una creatura fantastica.

Era una chimera dai mille colori, zoccoli di cavallo, corpo di cervo, accompagnata dagli Spiriti Antichi. Essi le rivelarono che avrebbe avuto un figlio, destinato a grandi opere e a essere un re, ma senza trono.

La donna era la concubina di un anziano nobile decaduto di nome Shuliang He. Il bambino sin dall’infanzia però non mostrò mai attrazione per le orme paterne, né per le armi. Erano infatti la conoscenza e il sapere i suoi soli interessi.

Ma chi era veramente Confucio, il saggio che predicava l’amore cinque secoli prima di Cristo? Scopriamolo insieme.

 

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1. Una scuola aperta anche ai poveri

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Kong Fuzi - “maestro Kong” - nome usato dai primi missionari Gesuiti giunti in Cina e latinizzato poi in Confucio nacque nel 551 a.C. col nome di battesimo Qiu, nello Stato di Lu, durante il periodo conosciuto come “Delle Primavere e degli Autunni” (771-477 a.C.), durante il quale la Cina era divisa in diversi Stati feudali in continua lotta fra loro.

Poche sono le fonti che raccontano l’infanzia del saggio filosofo, ma si sa che apparteneva alla famiglia Kong, nobile clan caduto però in disgrazia, e perse suo padre all’età di 5 anni.

Il giovane Confucio dovette così sin da giovanissimo studiare e lavorare sodo per guadagnarsi un posto nella società cinese del tempo.

Divenne un modesto funzionario incaricato del mercato dei bovini e degli ovini. I suoi studi però gli permisero di occuparsi anche dei riti matrimoniali e funerari dei nobili del posto, arrivando poi ad occupare il ruolo di giudice nei tribunali dello Stato di Lu.

La sua fama di erudito cresceva rapidamente nelle varie province, permettendogli di conoscere sempre più a fondo le necessità della gente, soprattutto di quella più povera. Nel contempo fondò una scuola aperta a tutti coloro che erano desiderosi di imparare.

Per quei tempi questo era rivoluzionario, dato che le normali scuole erano aperte a pochi discepoli e solo appartenenti alla nobiltà. Confucio invece non faceva distinzione alcuna tra i suoi allievi, insegnando loro la Storia, le arti, i riti e le tradizioni antiche.

Li spingeva a osservare con senso critico tutte le cose, coinvolgendoli in dibattiti anche accesi sul senso della vita e sullo scopo a cui deve ambire l’uomo. A poco a poco il suo nome cominciò a circolare nel Paese. Sotto, una mappa della Cina durante l'"Epoca degli Stati belligeranti".

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Un importante ministro, affascinato dalle sue conoscenze, chiese a Confucio di fargli da insegnante e così la sua scuola cominciò ad avere studenti sempre più eccellenti. La corte dello Stato di Lu allora, apprezzando l’operato come erudito di Confucio, decise di finanziare i suoi studi.

Il maestro, per approfondire le sue conoscenze lasciò il suo paese per recarsi nella capitale Luoyang, centro di cultura e di tradizioni dell’intera Cina. Qui Confucio prese a studiare i riti e le cerimonie, visitando i luoghi più importanti della città, come il Palazzo della Luce e il Tempio Ancestrale.

A corte Confucio incontrò il curatore dell’archivio reale, un grande saggio di nome Li Er. Questi però non condivideva le idee del giovane filosofo, ammonendolo dall’avere troppa fiducia negli uomini che mai imparano dal passato e dai loro errori.

Inoltre, lo mise in guardia, poiché gli uomini come lui, d’intelletto audace, finivano sempre per inimicarsi i potenti. Poco dopo però Li Er abbandonò il suo ruolo nell’archivio reale, ritirandosi dal mondo e diventando un eremita. Sarà conosciuto come Lao Tzu, il fondatore del Taoismo e uno dei più grandi maestri di vita della storia cinese.

Dopo la sua esperienza nella capitale, Confucio fece ritorno nello Stato di Lu, scoprendo però che esso era dilaniato da una guerra civile. Il signore regnante venne cacciato e, per i suoi legami con la vecchia corte, anche Confucio con alcuni discepoli fu costretto all’esilio e fuggì verso Nord, oltre il monte Tai.

Sotto, ritratto di Confucio realizzato nel periodo della dinastia Yuan (1279-1368).

 

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2. Lontano dalla politica

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L’esilio portò il maestro a spostarsi nello Stato di Qi, dove restò colpito dalla luminosa cultura che circolava in quelle terre e decise di applicare i suoi insegnamenti fra la gente del posto.

La saggezza e le conoscenze di Confucio fecero si che subito il suo nome giungesse al Duca Onorevole, il signore di quei territori, lo invitò a corte.

La schiettezza e la moralità delle sue parole lo portarono però presto a inimicarsi alcuni dei ministri e dei dignitari del duca, che vedevano in lui un pericoloso rivale.

Questo spinse Confucio a rifiutare il ruolo di governatore offertogli dal nobile signore, lasciando così poco dopo il paese. Decise allora di tornare nella sua terra natale, scoprendo però che nulla era cambiato, se non addirittura peggiorato.

Il nuovo signore ammetteva comportamenti licenziosi e stravolgeva gli antichi riti e le tradizionali cerimonie. Le risorse dello Stato venivano sperperate con parate, balli ed eccessi vari, al punto da sdegnare profondamente Confucio.

Il maestro rifiutò ogni contatto con la politica e visse lontano dalla vita pubblica, alla ricerca della conoscenza e dell'insegnamento. Cominciò a occuparsi anche della compilazione di libri, con lo scopo di raccogliere, preservare e trasmettere il sapere antico.

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Nel selezionare testi e argomenti il maestro sceglieva solo ciò che era virtuoso e che poteva fungere da esempio per la vita sociale. Gli anni trascorsero quindi tra studio, riflessione e insegnamento, senza più che la corrotta politica del suo tempo riuscisse ad interessarlo.

Ma l’indifferenza tra Confucio e la classe politica non fu reciproca. Alcuni ministri del regno infatti cercarono di attirarlo nella loro fazione, senza però riuscire mai ad allettare in alcun modo il saggio filosofo.

Il ministro Yang Wu, però, non voleva arrendersi e un giorno con un sotterfugio obbligò Confucio a recarsi da lui in visita. Il furbo ministro, infatti, fece recapitare a casa sua un maiale: secondo il protocollo del tempo un dono imponeva una visita di ringraziamento.

Così Confucio dovette recarsi a casa di Yang Wu dove il politico lo sottopose a un quesito. Gli chiese se lui, ministro, possedendo un tesoro dovesse tenerlo per se o non dovesse invece distribuirlo ai più bisognosi.

Confucio rispose ovviamente che fosse più giusto rendere partecipi gli altri di ciò che si possiede, ma nel dirlo comprese la metafora che lo riguardava: lui aveva un tesoro di conoscenze e lo teneva per se.

Ma prima che il saggio decidesse di accettare l’invito a partecipare al governo del regno, una nuova lotta intestina fece cadere Yang Wu in disgrazia. Nonostante i cambiamenti a corte, Confucio fu convinto a restare nella cerchia del nuovo duca, Zhou, detto Duca Risoluto.

Al nuovo signore, Confucio insegnò il giusto modo di condurre le cerimonie e i riti, i comportamenti sociali corretti e incoraggiò il diffondersi del sapere tanto che l'intero Paese beneficiò di questo nuovo clima politico.

Per i suoi meriti Confucio venne così nominato assistente del ministro ai lavori pubblici. Il nuovo incarico permise al maestro di essere spesso al cospetto del duca, al punto da influenzarne le idee e le opere con la sua saggezza.

 

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3. Un dono per corrompere

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Un giorno il signore chiese al saggio maestro di dettargli una regola di buon governo.

«E difficile essere un regnante e non è facile essere un suddito», rispose Confucio.

Allora il duca chiese di conoscere cosa non avrebbe mai dovuto fare per essere un buon regnante.

«Colui che governa e non accetta opposizioni», spiegò il maestro, «non può essere corretto se è nell'errore e per questo il suo regno è destinato alla rovina». Un buon regnante, quindi, non deve rifiutarsi di ascoltare opinioni diverse dalla sua.

Il Duca Risoluto, apprezzando sempre più l’impegno a corte di Confucio, lo nominò Maestro di Cerimonie e lo volle al suo fianco quando incontrò alcuni emissari del confinante Stato di Qi.

Da un secolo infatti i due Stati combattevano fra loro e in quel momento sembravano giunti a un possibile accordo di pace. Ma Confucio si dimostrò scettico verso questa ipotesi, ritenendo improbabile che le ostilità ripetutesi da 100 anni potessero cessare così all’improvviso.

I suoi sospetti si fecero concreti quando all’incontro tra i due duchi, quello di Qi presentò nella sua delegazione non soltanto i dignitari, ma anche un drappello armato di barbari del Nord. Lo scopo di costoro era quello di intimidire il Duca Risoluto durante le trattative, in modo da dettare condizioni favorevoli allo stato di Qi.

Ma Confucio, come Maestro di Cerimonie, fece valere le regole del protocollo ufficiale, che vietava la presenza di armi durante un incontro diplomatico.

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Ottenne così, nonostante le resistenze del duca di Qi, non solo l’allontanamento dei barbari ma anche di strappare importanti concessioni territoriali per lo Stato di Lu. Grato di ciò, il Duca Risoluto nominò Confucio Ministro della Giustizia, permettendogli così di applicare i suoi precetti di vita nell’amministrazione della legge.

Un caso su tutti mostrò la risolutezza e la saggezza del maestro. Un padre si presentò a Confucio, avendo deciso di denunciare il suo stesso figlio per disobbedienza. Dopo lunghe riflessioni e consultazione di leggi e consuetudini, Confucio respinse le richieste di quel padre e assolse suo figlio.

Il duca chiese allora spiegazioni su questa sentenza che non rispettava le gerarchie tradizionali.

«Se il figlio sbaglia è perché suo padre non è stato in grado di educarlo», spiegò Confucio, affermando che si è sempre responsabili dei propri sottoposti: anche chi governa è responsabile del comportamento dei propri sudditi. Una regola quindi che va applicata a tutti gli uomini, senza distinzioni di classe e di età.

Sempre più affascinato e influenzato dagli insegnamenti del maestro, il duca chiese consiglio a Confucio su come mettere fine ai disordini interni allo Stato. Infatti, lo Stato di Lu era minacciato dall'ostilità dei tre clan dominanti verso il potere ducale.

Saldi nelle loro città fortificate, i clan imponevano spesso condizioni al duca, gettando discordia nel Paese. Confucio affermò che andava imposto ai clan di rinunciare ai pilastri della loro protervia, ossia proprio le città fortificate.

Il primo clan accettò, mentre il secondo mosse guerra al duca venendo piegato solo dopo duri scontri. Il terzo si arroccò nella sua città, costringendo l'esercito ducale a un lungo e snervante assedio.

Queste decisioni, sebbene alla fine si rivelarono fruttuose, esposero Confucio all ostilità di buona parte della corte: come gli aveva insegnato il maestro Lao Tzu, troppa fortuna crea nemici. Sotto, Confucio e i suoi discepoli.

 

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4. I discepoli rinnegati

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Il suo favore a corte tramontò definitivamente in seguito a un dono per il duca inviato dal vicino Stato di Qi.

Sessanta cavalli e ottanta danzatrici vennero offerte al signore di Lu, causando le proteste di Confucio, che vedeva in questo regalo una trappola.

Il duca invece di ascoltarlo accettò il dono e pian piano cominciò a trascurare i suoi doveri di regnante, distratto dai suoi sollazzi con le belle danzatrici. Confucio allora si dimise dal suo incarico, nonostante le proteste del duca.

L’allontanamento dalla corte portò come conseguenza l'esilio dalla sua terra natia. Cominciarono anni difficili, nei quali il maestro vagò di Stato in Stato, seguito da alcuni dei suoi discepoli, sempre alla ricerca di conoscenza e del modo in cui applicare i suoi insegnamenti.

Non scese mai a compromessi e perciò respinse le proposte di lavoro che ricevette. Alcune corti lo richiesero come consigliere di guerra, ma egli non accettò mai di usare la sua saggezza per altro che non fosse la ricerca del benessere degli uomini, non la loro distruzione.

Tuttavia, molti dei suoi discepoli non furono altrettanto saggi. Parecchi di loro, infatti, accettarono incarichi e ruoli pubblici, facendo sì che diversi Stati cinesi potessero vantare nelle loro corti la presenza di ministri confuciani.

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Dopo anni di esilio finalmente lo Stato di Lu, riconoscendo i grandi meriti di Confucio, lo richiamò e gli permise di tornare nella sua terra quando aveva quasi 70 anni.

Amaramente il Maestro constatò che quasi tutti i suoi discepoli, pur occupando ruoli importanti in diversi Stati, non applicavano più i suoi insegnamenti, piegati ai compromessi imposti dalla corrotta politica del tempo.

Non nutrendo più speranza che la sua saggezza potesse aiutare la vita pubblica, negli ultimi anni si dedicò unicamente allo studio e alla scrittura. La sua morte, come era stato per la sua nascita, fu preannunciata da sogni e segni.

La tradizione vuole che, nonostante l’età avanzata, decise di intraprendere un lungo viaggio per rispondere all’invito di un nobile che risiedeva in un lontano angolo della Cina. Al suo cospetto, Confucio venne chiamato a interpretare un sogno, decifrando il significato dell’animale sognato dal nobile uomo.

Era un unicorno e Confucio spiegò come questo animale fantastico annunciasse la nascita o la morte di un saggio. Poco dopo, infatti, il maestro morì. Ma prima di morire fu visitato un’ultima volta dal duca di Lu, il quale gli chiese ancora consiglio.

«Tre cose», spiegò Confucio, «un regnante non deve far mancare ai suoi sudditi: cibo, armi e fiducia. Ma fra esse la fiducia è più importante, poiché lega lo Stato al popolo». Morì nel 479 a.C., senza immaginare che il suo pensiero, lasciato in eredità a pochi discepoli, avrebbe attraversato i millenni.

Qui sotto, la tomba di Confucio a Qufu, in Cina.

 

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5. Il confucianesimo

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Poco ascoltato in vita, furono i posteri ad attribuire a Confucio i giusti onori.

La sua fama e il mito della sua saggezza crebbero nei secoli, fino all’età imperiale, quando il suo nome venne associato alla cultura (i testi confuciani infatti venivano utilizzati per formare i dignitari e i burocrati di età imperiale) e poi innalzato persino alla sfera religiosa.

La fortuna del confucianesimo durante l’Impero Cinese dipese dalla sua capacità di essere ritenuto e usato come strumento di egemonia. Infatti, esso riconosceva grande importanza alle gerarchie e ai ruoli sia istituzionali che familiari.

L’imperatore, attraverso la dottrina confuciana, legittimava il suo ruolo e il suo potere in una società rigidamente gerarchica. Il confucianesimo è allo stesso tempo tradizione, insegnamento, politica, spiritualità, educazione, morale, etica, letteratura, relazioni umane e Storia.

L’insegnamento e il pensiero di Confucio sono stati tramandati da una serie di opere, la più importante delle quali sono i “Dialoghi”, una raccolta di detti e aforismi del maestro raccolti dai suoi discepoli.

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Sebbene oggi il confucianesimo abbia profondi aspetti spirituali e quindi religiosi, non fu però così sin dalle origini. Solo con l’introduzione in Cina del Buddismo, III-II secolo d.C., figure come quelle di Confucio ma anche di Lao Tzu vennero in seguito divinizzate, dando così al loro pensiero e ai loro insegnamenti un profondo valore religioso.

Anche nell’insegnamento di Confucio i riti sono intesi come norme sociali e comportamentali più che religiose. I riti nel pensiero del Maestro hanno un’importanza fondamentale: su di essi si basa il ruolo sociale dell’individuo nel migliorare la vita della comunità.

Rispettando certe regole e realizzando questa ritualità si entra in una condizione di equilibrio e di perfezione, mettendo l’uomo in armonia col cielo, con le divinità, con i defunti e l’intero mondo spirituale. Per Confucio l’educazione morale dell’individuo è il primo compito dell’uomo saggio, destinato a rendere perfetto l’intero cosmo.

Sotto, preghiere appese in un tempio confuciano di oggi.

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Due sono le virtù assolute attorno alle quali ruota e si riassume l’intero pensiero e l’insegnamento di Confucio: “l’umanità’’ e “il comportamento”.
La prima si può tradurre come amore verso il prossimo e impegno di aiutare l’intera umanità. È la virtù che ingloba tutte le altre, quali il rispetto, la pietà, la solidarietà, l’amicizia, la compassione. Solo attraverso l’amore verso il prossimo e la ricerca del bene comune e universale si passa dallo stato di uomo a quello di persona superiore. Infatti, la regola aurea del confucianesimo è “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te", ripresa poi anche dal cristianesimo.

Sotto, un tempio confuciano a Taipei, capitale di Taiwan.

 

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