Il 9 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara che le autorità sanitarie cinesi hanno individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo, per il quale nessuno possiede anticorpi, provvisoriamente chiamato 2019-nCoV e classificato poi con il nome di SARS-CoV-2.
Il virus è associato a un focolaio di casi di polmonite registrati a partire dal 31 dicembre 2019 nella città di Wuhan, nella Cina centrale, forse collegati alla frequentazione di un mercato ittico e di animali.
Ma uno studio dell’Università di Milano (Ospedale Sacco) su 52 genomi del virus colloca l’origine dell’epidemia tra ottobre e novembre.
L’11 febbraio 2020, l’OMS annuncia che la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19: “Co” sta per corona, “vi” per virus e “d” per disease (in inglese, malattia), mentre “19” indica l’anno in cui si è manifestata (2019).
Gli scienziati sono al lavoro per produrre un vaccino efficace, ma per usarlo su larga scala sarà necessario attendere i lunghi tempi della sperimentazione.
Nel frattempo occorre tenere la guardia alta, seguendo meticolosamente le regole di comportamento, nostro unico strumento di difesa.
1. Il virus dilaga
Alla metà di marzo sono più di 100 i Paesi del mondo colpiti dal virus, in tutti i continenti, con l’Italia tra le prime nazioni, dopo la Cina, a subire un rapido aumento dei contagi: l’OMS dichiara la pandemia.
Il mondo deve avere fiducia nella scienza, informarsi in modo corretto e cambiare molte abitudini. Ma come andrà a finire?
Sulla base dei dati che oggi (fine marzo 2020) possediamo, quali scenari di evoluzione si possono prevedere per la COVID-19?
Così ha risposto uno dei massimi esperti mondiali di teoria delle reti complesse applicata alla diffusione delle malattie, il fisico Alessandro Vespignani, direttore del Network Science Institute alla Northeastern University di Boston (USA):
«La probabilità che si esaurisca in fretta come la SARS del 2003 è ormai quasi nulla. Il virus potrebbe invece estinguersi dopo avere contagiato molte persone, ma dobbiamo fare in modo che questo accada in un tempo lungo per non fare collassare, nel frattempo, i sistemi sanitari.
A questo servono gli interventi di mitigazione (chiusura temporanea delle scuole, rinvio o cancellazione degli eventi di massa ecc.), dato che l’epidemia è ormai globale e il contenimento è sempre più difficile oltre che, a questo punto, inutile.
Inoltre», continua lo scienziato, «dobbiamo considerare che, almeno nel nostro emisfero, stiamo andando verso la stagione calda: l’estate potrebbe essere un periodo non favorevole per questo tipo di virus, a causa delle temperature elevate e dell’umidità che ne rallentano la proliferazione. In certe zone il contagio potrebbe pertanto scendere sotto la soglia epidemica durante la stagione estiva.
Ma non possiamo saperlo con certezza perché si tratta di un virus nuovo. Infine, non è escluso che il virus si possa cronicizzare come altri coronavirus che circolano nell’uomo e tra uno o due anni potrà essere combattuto sempre più efficacemente con farmaci, oltre che prevenuto con un vaccino».
Mettendo da parte le polemiche su eventuali falle nel sistema di gestione dei primi ricoverati, perché in Italia ci sono stati “da subito” così tanti contagi?
Risponde Vespignani: «Quando si comprende che emerge un cosiddetto “cluster”, com’è accaduto a febbraio nel Nord Italia, cioè che vi sono dei casi non importati da altri Paesi, si cerca il più possibile di tracciare la rete di contatti. Vengono pertanto a galla improvvisamente tutte le trasmissioni di virus che all’inizio erano state silenti e non osservate, che si sommano via via a quelle nuove.
Ma questa situazione sta emergendo ora un po’ dappertutto nel mondo e non costituisce solo un caso italiano. Come evidenziano vari studi, purtroppo la probabilità che il sistema di sorveglianza riesca a intercettare i casi è in media intorno al 40 per cento, a seconda dei Paesi.
Vuol dire che tutti i casi non intercettati cominciano a trasmettere il virus per diverse settimane, magari generando manifestazioni cliniche (per fortuna) senza complicazioni, e non emergono finché non si notano pazienti che destano sospetti e ai quali vengono effettuati i test».
2. Il virus sotto la lente, perché è facile il contagio e i sintomi comuni
Isolati per la prima volta a metà degli anni ’60, i coronavirus sono una grande famiglia di virus comuni sia nell’uomo sia in molte specie animali, tra cui cammelli, bovini, gatti e pipistrelli.
Si chiamano così perché sulla loro superficie hanno una frangia di punte disposte come una corona. Negli animali causano soprattutto sintomi gastrointestinali, nell’uomo in prevalenza malattie respiratorie.
Esistono sette specie di coronavirus in grado di infettare l’uomo, di cui quattro si trovano ovunque e causano malattie respiratorie lievi o moderate, come per esempio il comune raffreddore.
Tre specie invece, isolate nel nuovo millennio, sono virus animali che hanno infettato l’uomo e si sono poi diffusi tra le persone causando malattie gravi o comunque preoccupanti:
- SARS-CoV, responsabile dell’epidemia di Sindrome respiratoria acuta grave (SARS) nel 2002-03 in Cina,
- MERS-CoV, che causa dal 2012 la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) in Arabia Saudita e zone limitrofe, e
- il nuovo SARS-CoV-2, diffusosi ormai ovunque dalla Cina, proveniente probabilmente dai pipistrelli, e poi passato all’uomo.
Perché è facile il contagio? Il SARS-CoV-2, come tutti i coronavirus umani, si trasmette da una persona infetta a un’altra soprattutto tramite la saliva e il muco (tosse, starnuti, mani contaminate e poi portate su bocca, naso e occhi).
Il virus è trasmesso anche da soggetti infettati ma asintomatici o con sintomi lievi e ciò rende la malattia più infettiva e subdola rispetto alla SARS che veniva trasmessa solo nella fase sintomatica.
Per valutare quanto sia potenzialmente contagiosa una malattia infettiva si usa il parametro statistico R0, cioè il “numero di riproduzione di base”: se per esempio R0 è 2, significa che in media un singolo malato infetterà due persone; quando il valore è inferiore a 1, l’epidemia può autoestinguersi o essere contenuta.
Nel caso della COVID-19, si stima un R0 di circa 2,5 mentre per l’influenza stagionale il valore scende a 1,5 e nel morbillo, per citare una malattia molto contagiosa, sale a 15.
Ma quali sono i sintomi comuni? I sintomi di COVID-2019 sono simili a quelli dell’influenza: febbre sopra 37,5 °C, tosse, raffreddore, mal di gola, spossatezza.
Quando peggiorano, la malattia può evolvere in polmonite interstiziale le cui complicazioni possono richiedere il ricovero in terapia intensiva per sindrome da distress respiratorio acuto che può essere letale.
È la polmonite, di fatto, la responsabile ultima di molti dei decessi legati alla COVID-19.
3. Non è la solita influenza e chi rischia di più
Anche se i sintomi possono sembrare quelli dei virus influenzali o di comuni virus respiratori (ce ne sono 250), la COVID-19 è una malattia più preoccupante perché è maggiore la percentuale di casi impegnativi o gravi.
Lo dicono i numeri: secondo i dati dell’OMS, l’80 per cento delle persone contagiate guarisce dalla malattia senza bisogno di particolari trattamenti, circa il 14 per cento sviluppa invece sintomi gravi di polmonite con difficoltà respiratoria, circa il 5 per cento dei pazienti (soprattutto sopra i 60 anni) necessita della terapia intensiva e tra questi si verificano i decessi (3,5 per cento circa di tutti gli ammalati).
Per fare un confronto, l’Istituto superiore di sanità stima che il tasso di letalità dell’influenza stagionale nel nostro Paese (ossia il rapporto tra morti totali e contagiati) sia inferiore allo 0,1 per cento.
Chi rischia di più? Le persone anziane, soprattutto se soffrono di problematiche pregresse come pressione alta, disturbi cardiovascolari o diabete, sono più a rischio di sviluppare la forma severa della malattia.
Molti virologi, inoltre, sono preoccupati per quello che può accadere nelle zone più povere e malnutrite del pianeta, per esempio in Africa, dove la popolazione già soffre di malattie infettive come malaria, tubercolosi o AIDS che la rendono molto fragile.
Serve un vaccino! Anche contro il SARS-CoV-2, che essendo un virus non può essere debellato con gli antibiotici, l’arma più efficace sarebbe il vaccino, che però è uno strumento di prevenzione da somministrare alla popolazione a rischio prima che sia esposta all’infezione.
Quando potrà essere pronto? «Nella migliore delle ipotesi ci vorrà almeno un anno», rispondono i virologi, i quali spiegano: «I vaccini che si stanno sperimentando dovranno seguire il percorso predefinito di fase 1 (test di tossicità), fase 2 (dosaggio, modalità di somministrazione) e fase 3 (efficacia clinica)».
Ci sono diversi gruppi nel mondo, compreso l’Italia, che stanno studiando numerosi vaccini contro SARS-CoV-2, con differenti tecniche. A Pomezia, per esempio, grazie a un accordo tra Advent IRBM e Oxford University, si sta lavorando su un adenovirus di scimmia già utilizzato per un vaccino anti Ebola.
4. Verso una cura
Non esistono, al momento, farmaci specifici contro i coronavirus patogeni per l’uomo.
Gli scienziati sperano che dal plasma o dalle immunoglobuline (anticorpi) di persone guarite dalla malattia si possano ricavare in laboratorio specifici anticorpi (monoclonali) protettivi, capaci di neutralizzare l’infezione: in Cina sono in corso alcuni studi.
Tuttavia, sembra che alcuni pazienti, giudicati guariti perché negativi ai test diagnostici e quindi dimessi dall’ospedale, si siano poi riammalati, anche se con sintomi più lievi rispetto al primo contagio o addirittura senza sintomi.
Significa che non si riesce a ottenere un’immunità forte dopo essere guariti dalla malattia? Non abbiamo dati sufficienti per dirlo e non è escluso che siano pazienti con una riemergenza clinica della stessa infezione.
Intanto continua la sperimentazione compassionevole di farmaci già usati contro Ebola, HIV, malaria e artrite reumatoide.
- Ecco come il virus entra nei polmoni
Il nuovo coronavirus, analogamente a quello dell’epidemia di SARS 2002/2003 con il quale condivide circa l’80 per cento del patrimonio genetico, riesce a penetrare nelle cellule epiteliali dei polmoni tramite il legame della sua proteina S di superficie (in inglese spike protein) a recettori cellulari presenti sulla superficie delle cellule.
Questi sono proteine, chiamate ACE2 (dall’inglese angiotensin-converting enzyme 2), che si trovano sulle cellule epiteliali e che sono riconosciute dalla proteina spike.
In questo modo il virus penetra nelle cellule polmonari e in circa il 20% delle persone scatena una infiammazione acuta dei polmoni (polmonite interstiziale), formando una cotenna di fibrina (proteina della coagulazione) sugli alveoli polmonari, cioè sulle piccole strutture responsabili dello scambio di gas respiratori tra il sangue e l’atmosfera.
Gli scambi gassosi vengono così ostacolati causando gravi difficoltà respiratorie che possono richiedere il ricovero in terapia intensiva.
5. Otto consigli per difenderci dal coronavirus
- Ecco otto consigli molto utili per difenderci dal coronavirus:
1. Laviamo spesso e accuratamente le mani per rimuovere il virus.
2. Evitiamo il contatto ravvicinato (meno di 1 metro) con chiunque.
3. Non tocchiamo occhi, naso e bocca con le mani.
4. Copriamo bocca e naso (nell’incavo del gomito o in un fazzoletto usa e getta) se starnutiamo o tossiamo.
5. Non prendiamo farmaci antivirali né antibiotici se non prescritti dal medico.
6. Puliamo le superfici con disinfettanti a base di cloro all’1% (candeggina) o contenenti alcol al 75% che uccidono il virus.
7. Usiamo la mascherina se siamo malati, sospettiamo di esserlo o assistiamo persone malate.
8. In caso di dubbi non rechiamoci al Pronto Soccorso: chiamiamo il medico di base e, se pensiamo di essere stati contagiati, il 112 o i numeri verdi regionali.
- Come lavare correttamente le mani
Bagnare le mani con l’acqua; applicare una quantità di sapone sufficiente per coprirle interamente; frizionare palmo contro palmo; intrecciare le dita tra loro; soffregare il dorso delle dita contro il palmo opposto; ruotare i pollici impugnandoli con il palmo opposto; ruotare le altre quattro dita nel palmo opposto; risciacquare con l’acqua; asciugare le mani con una salvietta monouso; chiudere il rubinetto senza toccarlo direttamente.
Note
Le parole chiave della COVID-19
- Focolaio epidemico
Aumento del numero di casi della malattia rispetto a quanto atteso all’interno di una comunità o di una regione circoscritta, com’è accaduto per esempio a febbraio in alcune aree del Nord Italia.
- Epidemia
Manifestazione frequente e localizzata, ma limitata nel tempo, della malattia, con una trasmissione diffusa del virus e numero dei casi che aumenta rapidamente nel breve periodo.
- Pandemia
Diffusione del nuovo virus per via aerea da uomo a uomo in più continenti o comunque in vaste aree del mondo. La trasmissione avviene alla maggior parte della popolazione.
- Letalità
Rapporto tra il numero dei decessi causati dalla malattia e quello dei malati in un certo lasso di tempo. Misura della gravità della malattia.
- Mortalità
Rapporto tra il numero di decessi causati dalla malattia e il numero di soggetti potenzialmente infettabili nello stesso periodo di osservazione. È una misura del rischio che il virus comporta.
- Incubazione
Periodo in cui l’infezione è presente nell’organismo senza mostrare sintomi. Termina quando il paziente ne avverte i primi.
- Quarantena
Isolamento e osservazione per la durata del periodo di incubazione (14 giorni per il SARS-CoV-2), dei contatti sani di un soggetto malato.
- Isolamento
Separazione, per il periodo di contagiosità della malattia, delle persone infette da quelle sane in un ambiente confinato (casa o ospedale).
- Caso confermato
Un caso confermato da un’analisi effettuata presso un laboratorio di riferimento (in Italia dell’Istituto Superiore di Sanità), anche in assenza di sintomi clinici.