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Cosa mangeremo nel 2028?

Prima del 1928, le gomme da masticare non esistevano.

Il gelato ha acquisito la moderna consistenza soffice verso la fine degli anni Trenta, grazie a una ricetta americana (prima era duro come… il ghiaccio!).

Le caramelle effervescenti sono una novità degli anni Cinquanta.

Ed è alla fine degli anni Novanta che Red Bull ha introdotto quel gusto inconfondibile, leggermente medicinale, che ormai contraddistingue tutti gli energy drink.

Il cibo che consumiamo, dunque, è in continua evoluzione e nascono sapori sempre nuovi: facciamo un salto temporale e andiamo a vedere che cosa assaggeremo tra dieci anni.

 

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1. NEL 2028 IL CIBO SARÀ.... ADATTO AL NOSTRO GENOMA

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Oggi, sappiamo che è importante mangiare sano per mantenerci in buona forma fisica.

La correlazione tra regime alimentare e salute è stata dimostrata per la prima volta verso la metà dell’Ottocento dal chirurgo scozzese Joseph Lind, medico di bordo sulle navi, al quale va il merito di aver condotto una delle prime prove cliniche controllate di sempre.

Il suo studio dimostrò che gli agrumi proteggevano i marinai dallo scorbuto: questa importante scoperta condusse all’inserimento obbligatorio di limoni e lime nelle razioni alimentari degli equipaggi, e dimostrò che i cibi giusti possono salvare innumerevoli vite.

Oggi, praticamente ogni ingrediente della nostra dieta è stato analizzato nel dettaglio: eppure, per rimanere in tema, tanti di noi si sentono ancora in alto mare.

Anche quando ci si attiene alle raccomandazioni ufficiali, alcuni sembrano trarre energia da certi cibi, considerati sani, mentre altri, consumandoli, si sentono gonfi e affaticati.

Nel 2015, un’équipe di scienziati israeliani ha misurato i valori della glicemia in 800 persone per diversi giorni, scoprendo, con stupore, che la risposta biologica individuale ad alimenti identici variava enormemente.

Alcune persone evidenziavano un picco glicemico dopo aver mangiato gelato zuccherato, mentre in altre, i livelli di glucosio nel sangue aumentavano soltanto dopo il consumo di riso ricco di amido: questi dati erano in contraddizione con quanto si era tradizionalmente pensato fino ad allora.

La gestione idiosincratica dei vari principi nutritivi da parte di organismi diversi sembra dovuta alle nostre caratteristiche genetiche, al microbiota intestinale e alle variazioni nella fisiologia dei nostri organi interni.

Test clinici come quelli, pionieristici, condotti da Lind ci hanno fornito linee guida indicative nel campo della nutrizione, ma le ricerche in materia tendono a presumere che tutte le persone siano uguali, senza considerare la grande variabilità e le esigenze specifiche degli individui.

Nei prossimi 10 anni, la disciplina emergente della “nutrizione personalizzata” si affiderà a test genetici per rispondere agli interrogativi ancora senza soluzione e offrire consigli nutrizionali efficaci su base individuale.

Alcune società, che forniscono servizi di “nutrigenetica”, effettuano già analisi del DNA per garantire consulenze personalizzate che, però, non sempre sono affidabili. Entro il 2028, ne sapremo molto di più sulle nostre caratteristiche genetiche.

Jeffrey Blumberg, professore di scienze e politiche nutrizionali presso la Tufts University, in Massachusetts, è uno dei maggiori sostenitori della nuova disciplina: si dice certo che i test genomici spalancheranno nuovi orizzonti anche nel campo della nutrizione.

“Sarò in grado di dire a ciascun individuo quali frutti, quali verdure e quali cereali mangiare, ed esattamente quanto spesso”, ha affermato. Lo svantaggio? Cucinare per tutta la famiglia diventerà certamente più complicato!

Nella foto sotto, cibi e sapori sono in continua evoluzione. La gomma da masticare è un’invenzione del XX secolo.

 

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2. NEL 2028 IL CIBO SARÀ.... INGEGNERIZZATO, PER DIVENTARE INCREDIBILMENTE PIÙ NUTRIENTE

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Nel campo del marketing alimentare, “naturale” è una parola di gran moda: eppure, praticamente nessuno dei prodotti che consumiamo quotidianamente esiste in natura, così come lo conosciamo.

La frutta e gli ortaggi che oggi troviamo sulle nostre tavole sono il risultato di migliaia di anni di selezione, e spesso, rispetto alla versione originale selvatica, appaiono completamente trasformati.

Un tempo, per esempio, le carote erano bianche e sottili, le pesche assomigliavano a ciliegie e avevano un gusto tendente al salato, le angurie erano piccolissime, rotonde, dure e amare e le melanzane sembravano uova.

Con gli anni, sono stati selezionati i tratti più gustosi e di miglior resa, e questo, unitamente alle pratiche di coltivazione intensiva, talvolta è andato a scapito del valore nutritivo.

Nel corso dell’ultimo secolo, i valori di proteine, calcio, fosforo, ferro, riboflavina (la vitamina B12) e vitamina C si sono ridotti drasticamente nei nostri prodotti ortofrutticoli: le verdure di oggi contengono circa due terzi dei minerali di un tempo.

Entro il 2028, però, la genetica e la scienza biomolecolare saranno probabilmente riuscite a ripristinare l’equilibrio, prelevando DNA da un organismo e inserendolo in un altro, ed eliminando così l’esigenza di ricorrere a generazioni di incroci selettivi per ottenere le caratteristiche desiderate.

Lo scorso anno, ricercatori australiani hanno presentato una banana con un elevato tenore di provitamina A, un importante principio nutritivo solitamente non contenuto nella frutta.

Per crearla, gli scienziati hanno ricavato materiale genetico da una specifica tipologia di banana proveniente da Papua Nuova Guinea, naturalmente ricca di provitamina A, e poi li hanno trasferiti a una comune varietà del frutto.

Una pratica più controversa è impiantare DNA proveniente da organismi completamente diversi per creare varietà impossibili da ottenere con il breeding selettivo: al mais, per esempio, è stata aggiunta metionina, un nutriente fondamentale non naturalmente presente nei cereali, ottenuta da DNA batterico.

I codici genetici, poi, possono essere modificati per far sì che sviluppino “superpoteri”: nel 2008, alcuni ricercatori hanno creato carote ingegnerizzate per favorire l’assorbimento del calcio da parte dell’organismo umano.

Esistono centinaia di esempi di queste incredibili “creazioni” vegetali: patate, grano e riso ad alto contenuto proteico; olio di lino ricchissimo di grassi “buoni”, omega-3 e omega-6; pomodori contenenti antiossidanti, prima reperibili solo in una pianta nota come bocca di leone; e lattuga in grado di fornire ferro in forma altamente digeribile.

Nel corso del prossimo decennio, il numero di prodotti arricchiti di nutrienti è destinato a esplodere: accuratissime tecnologie di editing del DNA (in particolare, una tecnica nota come CRISPR-Cas9, nella foto in alto a sinistra) già consentono la modifica del codice genetico vegetale con una precisione senza precedenti.

Prepariamoci, allora: le mele saranno ancora più sane, come quelle di un tempo, ma senza il gusto di amaro di allora, le arachidi non scateneranno reazioni allergiche, le lenticchie avranno un contenuto proteico equivalente alla carne. Una vera e propria rivoluzione: un po’ come quando le carote sono diventate arancioni!

Nella foto sotto, la Golden Banana ha una colorazione più tendente all’arancio rispetto alla banana tradizionale (quella sotto), grazie agli elevati livelli di provitamina A. Queste varietà ingegnerizzate potrebbero servire a migliorare il valore nutritivo della dieta tradizionale in Uganda, costituita in gran parte da questo frutto.

 

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3. NEL 2028 IL CIBO SARÀ.... DIVERSO DA TUTTO CIÒ CHE SIAMO ABITUATI A MANGIARE

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Quando nell’industria alimentare si creano prodotti inediti, nascono nuovi, inaspettati sapori.

La Silicon Valley, già famosa perché attirava le menti tecnologicamente più brillanti, sta diventando un hub globale, alla guida di una rivoluzione in procinto di arrivare sulle nostre tavole.

Una start-up che al momento suscita grande interesse è “Impossible Foods”, ideatrice di un burger senza carne che però sfrigola in padella, sa di manzo e “sanguina” perfino.

Progettate per essere anche sostenibili e a basso impatto ambientale, le futuristiche polpette sono preparate con proteine del frumento, olio di cocco, proteine della patata e aromatizzanti.

Poi c’è un ingrediente segreto: l’eme, ovvero la molecola in grado di legarsi all’ossigeno conferendo al sangue il caratteristico colore rosso e alla carne, pare, l’inconfondibile sapidità. Il gruppo eme utilizzato da “Impossible Foods” viene estratto dalle piante e lavorato per fermentazione.

Il settore è in piena espansione, e ci sono già concorrenti come “Beyond Meat” e “Moving Mountains” pronti a lanciare burger simili; le prossime creazioni saranno bistecche e “pollo” di origine vegetale.

E non è finita qui: altre imprese all’avanguardia stanno sperimentando prodotti come latte e uova di origine non animale. Presto, avremo l’occasione di apprezzare carne “meat-free” e latticini privi di latte!

Oltre un decennio fa, il famoso chef Heston Blumenthal servì un avveniristico piatto noto come “Sound of the Seas”: per esaltare il gusto della pietanza a base di pesce, ai commensali veniva fatta ascoltare, durante il pasto, la registrazione dell’infrangersi di onde marine.

D’altronde, la sinestesia non è certo un concetto nuovo e si sa che il gusto viene influenzato dagli altri sensi: un dessert servito in una ciotola rotonda, invece che in un piatto squadrato, sembra più cremoso; sibili o ronzii di fondo fanno apparire quanto si assaggia meno dolce; e le patatine non vengono percepite come croccanti se per qualche motivo, non sentiamo il rumore che fanno mentre le sgranocchiamo.

La “neurogastronomia” è una scienza emergente che associa le ultime scoperte in campo neurologico e alimentare, e nel 2028, avrà acquisito parecchia importanza.

Invece delle melodie di James Blunt, ad accompagnare i pasti nel nostro ristorante preferito, tra 10 anni, ci saranno probabilmente nebbie aromatiche, delicati effetti sonori e illuminazione controllata, tutti ottimizzati per rendere la nostra esperienza gustativa più efficace possibile.

A casa, poi, potremo indossare cuffie per realtà aumentata che, sovrapponendo immagini digitali a quelle del mondo reale, ci proporranno un sereno paesaggio marino come sfondo virtuale per il nostro pranzetto a base di pesce, o le selvagge praterie texane quando il menu prevede costolette grigliate.

Negli anni a venire, anche i pasti pronti subiranno una trasformazione: tra le novità troveremo vernici spray commestibili, barrette proteiche a base di alghe, birra fatta con le acque reflue, e perfino leccalecca pensati per curare il singhiozzo.

Non sappiamo ancora con certezza che cosa ci sarà, in futuro, sugli scaffali dei supermercati (esisteranno ancora i supermercati?), dato il segreto commerciale che tutela il lavoro delle multinazionali del cibo; ma già abbiamo avuto notizia, per esempio, della prossima disponibilità di cioccolato e gelato che non si sciolgono quando salgono le temperature.

Anche le nanotecnologie avranno un ruolo importante: i ricercatori stanno mettendo a punto nanoparticelle in grado di “riattivare” in bocca il gusto dei cibi a distanza di tempo, e all’inizio di quest’anno, un’équipe di chimici ha creato minuscoli frammenti magnetici che si legano ai composti di sapore meno gradevole contenuti nel vino, eliminandoli, per restituirci soltanto il miglior aroma di un buon rosso.

Nel 2028, i libri di cucina conterranno ricette molto particolari. Analizzando i cibi in base alle loro caratteristiche organolettiche, si possono combinare gli ingredienti per dare origine a esperienze gustative inedite.

Nel 2016, ricercatori della Società Internazionale di Neurogastronomia hanno dato dimostrazione di un menu con dei mix di ingredienti mai provati prima, pensati per persone che, in seguito a chemioterapia, non sentivano più né odori né sapori.

Una delle specialità più apprezzate è stata la tarte tatin di clementine con pesto di pistacchio e basilico, decorata con una pallina di gelato all’olio d’oliva.

Forse la proposta più stravagante per esaltare l’esperienza alimentare è tentare di “hackerare” il sistema nervoso: negli Stati Uniti la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) sta progettando “interfacce neurali” impiantabili, allo scopo di potenziare i sensi umani trasmettendo direttamente al cervello informazioni audiovisive ad alta risoluzione, e potenzialmente anche odori e sapori.

Nella foto sotto, Impossible Foods è una società del settore alimentare che ha creato speciali hamburger vegetali. Queste pseudo-carni diventeranno probabilmente una presenza fissa nei nostri menu, a causa delle attuali preoccupazioni di natura etica, ambientale e di sfruttamento del terreno.

 

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4. NEL 2028 IL CIBO SARÀ.... PIÙ LEGGERO

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Diventiamo sempre più pesanti. Oggi, il 40 per cento circa di tutti gli adulti è sovrappeso in maniera più o meno grave, e il problema è in aumento ovunque nel mondo.

Le patologie legate all’obesità, come il diabete di tipo 2, si diffondono a un ritmo che sarà presto insostenibile per molti servizi sanitari. Inoltre, le prospettive future non sono affatto rosee.

Nessun paese, al momento, è riuscito a invertire la tendenza. I cibi preconfezionati e ad alta densità calorica sono sempre più facilmente reperibili ovunque e, salvo catastrofi internazionali come una carestia planetaria, o un conflitto globale, per risolvere il problema servirà qualche idea realmente innovativa.

Una soluzione a breve termine potrebbe essere riformulare il cibo “spazzatura” riducendo la quantità di grassi, zucchero, sale e calorie che contiene, senza però renderlo meno “gratificante”.

I dolcificanti artificiali esistono già, ma possono avere effetti collaterali spiacevoli e non sono idonei alla cottura. Altri prodotti sostitutivi come il sorbitolo, un alcool edulcorante, sono molto apprezzati dal punto di vista gustativo ma, in dosi abbondanti, possono causare flatulenza e diarrea.

I tecnologi alimentari, però, sono riusciti a rivestire di zucchero particelle minerali inerti, aumentando la superficie a contatto con la lingua in modo da poter usare meno zucchero per ottenere lo stesso effetto edulcorante.

A lungo termine, invece, per consentirci di mangiare senza sensi di colpa gli scienziati potrebbero arrivare a regolare perfino i nostri stessi meccanismi biologici. Infatti, pochi sanno che il nostro appetito è regolato con grande precisione: se esageriamo il lunedì, il martedì e mercoledì avremo meno fame.

Siamo “programmati”, dunque, per consumare una quantità di calorie praticamente identica al nostro fabbisogno effettivo: purtroppo, però, questo “termostato” dell’appetito è regolato in maniera un po’ troppo generosa, ed eccede la richiesta reale dello 0,4 per cento circa (ovvero, 11 calorie al giorno).

Senza interferenze esterne, dunque, ognuno di noi tenderebbe a consumare questo quantitativo eccedente – pari a un’arachide al giorno.

Non sembra molto, se non fosse che, in un anno, corrisponde a un aumento di peso di circa mezzo chilo: la nostra sfortunata tendenza a ingrassare con l’avanzare dell’età è forse la manifestazione evolutiva di questa sorta di “assicurazione” contro le carestie.

L’obiettivo attuale, dunque, è abbassare il “punto critico” della fame di 11 calorie o più: nel nostro organismo, sono in circolo molti ormoni che ci dicono quando mangiare e quando fermarci. Uno in particolare, il CCK, viene prodotto dall’intestino all’arrivo del cibo, per comunicarci la sensazione di sazietà.

Un altro, la leptina, viene invece rilasciato dal grasso corporeo e la sua funzione sembra essere quella di avvertire l’organismo una volta accumulate sufficienti scorte di adipe.

Il sistema è complesso e i tentativi di alterare individualmente i livelli ormonali finora non sono andati a buon fine: la speranza è di riuscire presto a districare la complessa matassa delle comunicazioni all’interno del sistema neuroendocrino e a creare integratori, farmaci o alimenti in grado di effettuare la regolazione che ci cambierebbe la vita.

Nella foto sotto, la letpina è un ormone secreto dalle cellule adipose, che segnala il raggiungimento di depositi di grasso in quantità sufficienti. In futuro, saremo in grado di alterare i livelli ormonali per impedire l’aumento di peso.

 

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5. NEL 2028 IL CIBO SARÀ.... PIÙ CREATIVO

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In cucina, praticamente non esistono limiti alla creatività.

Si va dal gelato al gusto Weetabix fino alle palline di “ghiaccio” all’azoto liquido per i cocktail: gli chef amano sorprenderci, ma le loro creazioni più ardite raramente sono riproducibili a casa, perché richiedono competenze e attrezzature professionali.

Ci sono però novità in vista: intanto, i prezzi diventeranno più accessibili. Già oggi, l’attrezzatura necessaria per la cottura sotto vuoto a bassa temperatura, un tempo riservata a ristoranti sofisticati, costa meno di un set di pentole.

E nei prossimi anni, l’attualissimo spiralizzatore verrà surclassato dallo sferificatore palmare e dal sifone per spume. I cuochi casalinghi più ambiziosi, dunque, avranno di che divertirsi.

Per quelli meno dotati, invece, arriveranno in aiuto sous-chef robotici: potremo inviare messaggi al nostro cuoco automatico già nel tragitto lavoro-casa, per istruirlo sulle ricette da preparare. Il braccio robot provvederà a prendere dal frigo gli ingredienti giusti, tagliare a julienne le carote e disossare il pollo. Fantascienza?

Non proprio. “Moley Robotics”, una società britannica, ha già messo a punto una “cucina robotica” da commercializzare entro l’anno: comprende due bracci articolati, piani di cottura, forno e interfaccia tattile.

Il sistema è in grado di sminuzzare, frullare, mescolare, versare e ripulire, e non è goffo come i vecchi automi: ogni mano è azionata da 20 motorizzazioni, 24 articolazioni e 129 sensori, per riprodurre il movimento degli arti umani.

Le competenze specifiche vengono acquisite replicando i movimenti di cuochi in carne e ossa, e le ricette sono selezionabili da un catalogo modellato su iTunes. La velocità e la grande manualità della cucina robotica garantirà la qualità del risultato; i primi esemplari, però, costeranno più di 11mila euro!

Forse meglio aspettare qualche offerta speciale... La stampa in 3D ha trovato applicazioni anche nel mondo del food: oggi è possibile creare piatti complicatissimi, irrealizzabili con la sola perizia umana.

Le stampanti tridimensionali, già ampiamente utilizzate per gli oggetti più disparati, dai giocattoli ai pezzi di aeromobile, dalle protesi medicali ai capi di abbigliamento, fino ad arrivare a intere abitazioni, hanno varcato di recente anche la frontiera del cibo: dolci personalizzati possono essere progettati e realizzati utilizzando uno speciale “inchiostro” a base di zucchero, per costruire puzzle di caramelle incastrabili e animali gommosi o leccalecca dalle forme più strane.

Fino a poco tempo fa, la tecnologia di stampa 3D si affidava esclusivamente a prodotti a base di zucchero, ma oggi, è possibile utilizzare con successo anche ingredienti salati e freschi.

“Natural Machines” ha creato un sistema di questo tipo, che può essere caricato con ingredienti vari per produrre piatti particolarissimi e stupefacenti: cracker che sembrano coralli, patatine esagonali, pizze a forma di cuore e crostini cavi all’interno che, nelle minestre, si sciolgono.

Le macchine di “Natural Machines”, che offrono anche la possibilità di riciclare prodotti malriusciti e avanzi di preparazione, riutilizzabili per creare nuove “capsule”, potrebbero anche consentire di ridurre drasticamente i costi di imballaggio e trasporto.

Vi serve un ultimo incentivo? Pensate a come sarebbe stupire chi vi è caro servendo una cena romantica e concludendola con una torta al cioccolato personalizzata, dotata di una serie di “tracce” acustiche che, grazie a uno speciale “grammofono”, riproducono il brano musicale preferito del vostro ospite. Straordinario!

Nella foto sotto, lo chef di Moley Robotics si ispira ai professionisti della cucina: così potrete rilassarvi mentre lui lavora.

 

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