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Costantinopoli 1453: la caduta di Bisanzio

Nella primavera del 1453 un enorme esercito ottomano convergeva presso le mura della città cristiana di Costantinopoli per sferrare il colpo di grazia al morente impero bizantino.

Per oltre un secolo gli ottomani, un popolo turco originario dell’Asia centrale, erano progressivamente avanzati sottraendo territori, manodopera e risorse ai bizantini.

Tutto ciò che rimaneva dell’impero romano d’Oriente era ormai solo Costantinopoli, la capitale, che ora il sultano Maometto II intendeva conquistare per l’islam.

Dietro le mura difensive lo attendeva Costantino XI, che aveva passato la vita a resistere agli ottomani ed era determinato a combattere fino alla fine. L’imperatore bizantino si trovava di fronte a un esercito di almeno 100mila uomini.

Al confronto, le forze cristiane erano ridotte: si trattava di un contingente misto di ottomila soldati tra greci, veneziani e genovesi, più alcuni aragonesi e castigliani.

Senza dimenticare che la difesa organizzata dal sovrano era minata dalle storiche dispute religiose tra la popolazione greco-ortodossa e i cattolici fedeli al papa.

La lunga lotta tra gli ottomani e l’impero bizantino si concluse così il 29 maggio del 1453, quando Costantinopoli fu conquistata dalle truppe di Maometto II al termine di uno dei più grandi assedi della storia.

 

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1. Mura inespugnabili

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La principale risorsa difensiva di cui disponeva Costantino era la città stessa.

Con la sua approssimativa forma triangolare e un perimetro di diciannove chilometri, la capitale era circondata dall’acqua su due lati, mentre il terzo, lungo sei chilometri, era protetto dalle più formidabili fortificazioni mai conosciute dal mondo medievale.

Costruite nel V secolo d.C., le mura teodosiane erano composte da cinque strati difensivi: una doppia cinta con 192 torri, un fossato e due zone esposte che il nemico era costretto ad attraversare costantemente sotto tiro.

Nei suoi 1.100 anni di storia la capitale aveva vissuto numerosi assedi, e nessun aggressore era riuscito a superare quella serie di barriere; nel 1204 i crociati avevano conquistato Costantinopoli prendendo d’assalto le fortificazioni marittime ma non le mura teodosiane.

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Costantino poteva contare poi su uno specialista di assedi genovese, Giovanni Giustiniani Longo, giunto espressamente per occuparsi delle operazioni difensive.

Dall’alto delle mura gli assediati potevano vedere davanti a loro l’accampamento ottomano che si estendeva lungo tutta la costa; una distesa infinita di uomini, tende, animali e provviste. La cosa più allarmante era che il nemico aveva puntato contro la città un numero di cannoni senza precedenti.

Maometto II ne aveva fatti portare una settantina, tra cui uno di dimensioni enormi, il basilisco, che veniva da Edirne, una città a 225 chilometri di distanza, e che era stato progettato non solo per bombardare le mura ma anche per terrorizzare la popolazione.

Il 2 aprile si sentirono risuonare i primi spari. La guerra era iniziata. Nella foto sotto, interno delle mura di Teodosio. Si può vedere il camminamento merlato e una delle torri.

 

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2. Sotto i colpi dell’artiglieria

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L’effetto dei bombardamenti fu micidiale. Le mura, che pure avevano resistito a secoli di attacchi, cominciarono a sgretolarsi. Per gli assediati gli effetti psicologici furono altrettanto gravi dei danni materiali.

Il rumore e le vibrazioni delle batterie di cannoni, le nuvole di fumo e l’impatto devastante dei proiettili gettavano nello sgomento anche i combattenti più esperti.

La popolazione civile considerava quegli eventi drammatici un segno dell’apocalisse e si rifugiava a pregare nelle chiese. La cinta muraria che aveva protetto la città per mille anni sembrava diventata improvvisamente obsoleta.

Il bombardamento andò avanti per giorni. Ma dopo lo shock iniziale i difensori ripresero coraggio e Giustiniani improvvisò una soluzione ingegnosa di fronte alla potenza distruttiva dei cannoni.

Con l’aiuto della popolazione costruì delle barriere fatte di pietre, arbusti e grandi quantità di terra, sormontate da barili che fungevano da merlatura. I terrapieni così ottenuti riuscivano ad ammortizzare con sorprendente efficacia l’impatto dei proiettili di pietra, che sembravano dei sassi lanciati nel fango.

Piccoli manipoli d’assalto uscivano di notte per rimuovere le macerie e impedire così ai nemici di servirsene per costruire ponti. Se gli ottomani lanciavano un attacco a sorpresa, venivano accolti a colpi di archi, balestre e armi manuali. Maometto II doveva agire rapidamente.

Non poteva mantenere all’infinito il suo grande esercito sotto le mura. Le sue truppe non erano giunte lì solo per combattere la guerra santa, ma anche con l’intenzione di saccheggiare una città considerata immensamente ricca. Le speranze di Costantino XI ruotavano attorno all’arrivo di un contingente navale dalla penisola italica.

Ma il 12 aprile a presentarsi nelle acque davanti alla città fu invece un’imponente flotta ottomana, di recente costruzione, inviata per bloccare le rotte di rifornimento marittimo della capitale bizantina.

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Una settimana più tardi tre grandi velieri genovesi raggiunsero la bocca del Bosforo carichi di provviste e di uomini. Era chiaro che non sarebbero passati facilmente. La flotta ottomana, composta da galee basse e veloci, si precipitò immediatamente a intercettarli, ma dai ponti e dagli alberi degli alti velieri si abbatté sulle imbarcazioni turche una formidabile pioggia di frecce che impedì l’abbordaggio.

Maometto II osservava con un misto di rabbia e impotenza come le sue navi venivano umiliate dai genovesi, che riuscirono a entrare nel porto bizantino del Corno d’Oro. L’accesso fu subito richiuso con una gigantesca catena. Nella guerra psicologica i cristiani interpretarono questi eventi come un segno divino della loro imminente vittoria, mentre nell’accampamento ottomano il morale calò.

Tuttavia i cannoni continuavano a sparare, gli assediati dovevano lavorare senza sosta per riparare le mura e per respingere gli attacchi notturni dei nemici, e le perdite umane e la stanchezza cominciavano a farsi sentire.

Maometto II, ancora piccato per la sconfitta navale, era determinato ad annientare la flotta cristiana alla fonda nel Corno d’Oro. Le navi turche effettuarono varie incursioni nel tentativo di rompere la catena e penetrare nel porto, ma senza successo. Malgrado ciò, il sultano poteva ancora fare affidamento sulla superiorità numerica delle sue truppe, per cui decise di risolvere il problema con un piano audace.

Fece allestire in gran segreto una lunga passerella di tronchi di legno unti di grasso tra il porto ottomano e la parte alta del Corno d’Oro, sulla quale fece trasportare a forza di braccia settantadue imbarcazioni nel cuore della notte. La mattina del 22 aprile i difensori di Costantinopoli scoprirono inorriditi che le galee ottomane erano nel porto, pronte a dare battaglia alle navi cristiane.

Qui sotto, l’ultimo rifugio. L’interno di Santa Sofia, dove si rifugiarono molti abitanti della città di fronte all’avanzata finale degli ottomani. Dopo la conquista il complesso fu trasformato in una moschea. Oggi è tornato a essere un luogo sacro dell’islam.

 

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3. Una guerra interminabile

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Le due flotte si affrontarono da un lato all’altro del Corno d’Oro. Costantino capì che doveva contrattaccare e pianificò una sortita notturna per distruggere le imbarcazioni nemiche.

Con il favore delle tenebre alcune navi veneziane e genovesi attraversarono il porto per lanciare l’assalto. Ma quando ormai erano vicine all’obiettivo, vennero accolte a colpi di cannone: il loro piano era stato scoperto.

L’attacco si concluse con un disastro, varie unità della flottiglia vennero affondate, molti marinai cercarono di salvarsi raggiungendo a nuoto la riva, ma lì furono fatti prigionieri dagli ottomani. Il giorno successivo Maometto II fece impalare ventinove di loro davanti alle mura della città.

Costantino rispose esponendo sui bastioni i cadaveri di vari prigionieri ottomani. Questo susseguirsi di attacchi e contromosse proseguì senza sosta nei giorni seguenti. Maometto ordinò ai suoi uomini di scavare delle gallerie sotto la cinta muraria.

Ma Costantino aveva al suo servizio, oltre a Giustiniani, un ingegnere minerario scozzese di nome Johannes Grant, che venne incaricato di rispondere a questa manovra. I cavatori cristiani riuscirono a penetrare nei tunnel nemici e a distruggerli dopo una feroce battaglia sotterranea.

Molti soldati ottomani morirono sepolti nel crollo. Così, dopo due settimane di frenetica attività, il sultano decise di rinunciare all’operazione. Tuttavia la situazione di Costantinopoli era sempre più disperata.

L’imperatore inviò un manipolo di marinai veneziani a esplorare le coste della Grecia con una rapida imbarcazione, alla ricerca di qualche altra flotta di supporto. Ma fu tutto vano. I marinai discussero se fare ritorno alla città sotto assedio o mettersi in salvo proseguendo la navigazione.

Scelsero con coraggio la prima opzione: superarono il blocco nemico e annunciarono all’imperatore che non sarebbe arrivato nessun sostegno esterno. Per i difensori di Costantinopoli si trattava ormai di vincere o di morire. Il sovrano ringraziò i marinai per il loro valoroso gesto e cominciò a piangere amaramente per la disperazione.

Ma all’inizio di maggio il morale era basso anche nell’accampamento ottomano. I comandanti erano in disaccordo su come procedere e le truppe stavano diventando impazienti. Il sultano decise di lanciare un’offerta di pace: i bizantini potevano pagare un ingente tributo oppure andarsene dove meglio credevano.

Costantino sentiva sulle sue spalle tutto il peso della storia cristiana della città. Probabilmente pensava che tanto sangue versato rendesse ormai impossibile una conclusione pacifica e che non ci si potesse fidare di Maometto II.

La risposta dell’imperatore fu categorica: «Darti la città non dipende né da me né da alcuno dei suoi abitanti. Abbiamo deciso di nostra spontanea volontà di combattere piuttosto che farci risparmiare la vita».

Nella foto sotto la fortezza di Rumeli Hisari. Fu costruita da Maometto II nel 1452 a nord di Costantinopoli, sulla sponda europea del Bosforo.

 

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4. L’assalto finale

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Era ormai chiaro che i contendenti si sarebbero battuti fino alla morte e che l’assedio si stava avvicinando a un punto critico. L’atmosfera da entrambe le parti era febbrile.

Secondo un’antica profezia, Costantinopoli non avrebbe mai potuto essere espugnata con la luna crescente. La notte del 24 maggio, quando la luna entrò in fase calante, molta gente cominciò ad allarmarsi.

Chi aveva gli occhi puntati al cielo rimase di sasso: solo una parte del satellite era visibile. Si trattava semplicemente di un’eclissi parziale, ma la circostanza fu interpretata come un terribile presagio, compromettendo gli sforzi di Costantino di mantenere alto il morale degli assediati.

Il giorno dopo, per risollevare gli spiriti, l’imperatore ordinò che fosse portata in processione una delle immagini più importanti della Madonna presenti in città. Ciononostante le cose non fecero che peggiorare. Una violenta tempesta si abbatté sui partecipanti al rito, l’icona scivolò dalle spalle dei portatori e cadde nel fango.

La mattina dopo si videro strani giochi di luce intorno alla cupola centrale di Santa Sofia. Gli abitanti terrorizzati credevano che Dio avesse abbandonato definitivamente Costantinopoli al suo destino. Una delegazione si recò presso l’imperatore per supplicarlo di fuggire e organizzare la riconquista dalla Grecia. Costantino rifiutò di nuovo.

Il 27 maggio Maometto decise che era il momento di passare all’assalto finale e iniziò a preparare psicologicamente i suoi uomini alla durezza dello scontro che li attendeva. Per tre notti di fila fece accendere dei falò lungo la linea del fronte.

Dalle mura i difensori potevano vedere un anello di fuoco davanti all’accampamento nemico, da cui sentivano alzarsi dei canti ritmati. I cristiani portarono le loro immagini sacre sui bastioni delle mura per farsi coraggio e invocare la protezione divina.

La sera del 28 maggio si riunirono per l’ultima volta a Santa Sofia, in una dimostrazione di unità che finalmente riconciliava ortodossi e cattolici. Tutti si abbracciarono e poi tornarono ai loro posti. Costantino e Giustiniani schierarono le truppe tra le mura interne ed esterne e chiusero le porte della città. La gran parte della popolazione civile si radunò nella chiesa di Santa Sofia per pregare.

Poco prima dell’alba del 29 maggio, in mezzo al fragore di tamburi, corni e campane, gli ottomani cominciarono ad attaccare a ondate, cadendo come mosche ai piedi delle mura. I difensori mantennero le loro posizioni per ore, ma il fattore numerico cominciava a far sentire il suo peso.

Qui sotto, Costantinopoli assediata. Uno degli affreschi che decorano l’esterno del monastero di Moldovita (Romania), dipinti nel 1537, ricostruisce l’assedio di Costantinopoli da parte degli avari nel 626. La presenza di cannoni tra gli assedianti così come tra i difensori dimostra che l’autore aveva in mente l’assedio ottomano del 1453.

 

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5. Un finale tragico

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Alla fine fu la sfortuna a piegare le difese cristiane. Dopo giorni di combattimenti, Giustiniani fu gravemente ferito.

Comprendendo che non era più in grado di combattere, chiese a Costantino il permesso di ritirarsi. L’imperatore accettò con riluttanza.

Quando i soldati videro il loro comandante lasciare la battaglia, sprofondarono nello scoramento e iniziarono a correre verso le porte della città. Gli ottomani riuscirono a passare oltre le mura e presero d’assalto le strade cittadine, uccidendo e saccheggiando senza sosta.

Le porte di Santa Sofia furono aperte con la forza e tutti coloro che si trovavano all’interno furono ridotti in schiavitù. Maometto II fece il suo ingresso trionfale in città. Costantino cadde probabilmente in battaglia e il suo corpo non fu mai trovato.

Secondo alcuni storici, l’assedio e la presa di Costantinopoli segnarono la fine del Medioevo. Rappresentarono l’entrata definitiva degli ottomani nell’arena europea e dimostrarono il progresso della tecnologia della polvere da sparo. La cristianità sprofondò nel cordoglio.

Costantinopoli era stata una delle culle del cristianesimo, e in molti credevano che la sua gloria sarebbe stata imperitura. Le cronache dell’epoca rivelano che molte persone ricordavano chiaramente dove si trovavano quando avevano saputo della tragedia.

«Ma che dire della notizia terribile or ora giunta su Costantinopoli?» scrisse l’umanista e futuro papa Enea Silvio Piccolomini. «La mia mano, mentre scrive, trema, l’animo mio inorridisce».

Si potrebbe dire che la caduta della città causò all’epoca un impatto paragonabile a quello che gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno avuto per il nostro tempo.

Qui sotto, Maometto II entra in città. L’olio di Jean-Joseph Benjamin-Constant ricostruisce il trionfo finale del sultano.
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CRONOLOGIA
1453, IL GRANDE ASSEDIO
26 gennaio
Arriva a Costantinopoli l’esperto di assedi genovese Giovanni Giustiniani, chiamato da Costantino XI.
2 aprile
L’esercito ottomano, composto da 100mila uomini, dà avvio all’assedio e al bombardamento della città.
12 aprile
Una flotta turca costruita appositamente per l’occasione inizia il blocco navale di Costantinopoli.
20 aprile
Una flottiglia genovese aggira il blocco navale e riesce a penetrare nel Corno d’Oro, portando appoggio ai cristiani.
21 maggio
Dopo settimane di assedio, Maometto II offre all’imperatore Costantino XI un accordo di resa, che questi rifiuta.
29 maggio
Prima dell’alba gli ottomani iniziano l’assalto finale. In tarda mattinata hanno ormai conquistato Costantinopoli.

Nella foto sotto, veduta aerea del quartiere di Sultanahmet con la chiesa di Santa Irene in primo piano, Santa Sofia nel mezzo e la Moschea Blu sullo sfondo.

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