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Diabete 2: si può vincere con la prevenzione

Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia cronica che si potrebbe, in molti casi, evitare. 

Lo dicono gli studi e le evidenze scientifiche. Eppure, in Italia, ne soffre oltre il 4% della popolazione adulta.

Azioni mirate e concrete da parte del Servizio sanitario porterebbero non solo a guadagnare salute, ma anche, in ultima analisi, a risparmiare risorse.

Il diabete è causato da una scarsa produzione dell’ormone dell’insulina o dal malfunzionamento di questo ormone nel controllare il livello di glucosio nel sangue.

Ci concentriamo qui sul diabete mellito di tipo 2, il più di uso: riguarda oltre il 90% dei casi, colpisce soprattutto gli adulti e più gli uomini che le donne.

Lo stile di vita è fondamentale: per questo è importante un’azione da parte del Servizio sanitario, per diffondere abitudini più sane in tutta la popolazione. E qualcosa si inizia fare: ma è ancora poco.

1. Cosa è il diabete

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Il diabete mellito è una malattia cronica, legata alla carenza o all’incapacità di utilizzare correttamente l’insulina, l’ormone che regola l’utilizzo del glucosio.

Non ci soffermeremo sul diabete di tipo 1, più raro e che si manifesta prevalentemente durante l’infanzia e l’adolescenza. Ci concentreremo invece sul diabete mellito di tipo 2: la forma più frequente e tipica dell’età matura. 

Nel diabete di tipo 2 l’organismo non produce sufficienti quantità di insulina oppure l’insulina non agisce come dovrebbe. Questo provoca un anomalo aumento dei livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia).

Il diabete si manifesta in genere dopo i 40 anni e i soggetti più a rischio sono gli obesi. Sono sempre più frequenti però i casi di diabete di tipo 2 anche tra bambini e adolescenti in sovrappeso.

Esistono dei farmaci orali per il controllo del diabete di tipo 2. Agiscono riducendo l’assorbimento di glucosio, stimolando la produzione di insulina da parte del pancreas o migliorandone l’utilizzo.

Diversamente da quanto avviene nel diabete di tipo 1, la somministrazione di insulina nel diabete di tipo 2 è l’extrema ratio. Per gestire la malattia, è molto importante controllare periodicamente (il che non significa ogni giorno) la glicemia ovvero la concentrazione di glucosio nel sangue.

Devono essere controllati anche i livelli di colesterolo e la pressione. Se si è obesi o in sovrappeso è fondamentale dimagrire. L’alimentazione corretta e l’attività sica costante sono i primi e i più utili strumenti di prevenzione e di cura.

Alla diagnosi di diabete si arriva quando, in almeno due differenti controlli, la glicemia supera determinati livelli che cambiano a seconda che l’esame sia fatto a digiuno o dopo aver assunto dosi di glucosio sotto controllo medico.

Il diabete a lungo andare può provocare dei danni, soprattutto di tipo vascolare. Aumentano i rischi di infarto, per la formazione di placche arterosclerotiche sulle pareti arteriose. Sono frequenti danni alla retina: il sangue poco ossigenato che arriva agli occhi può danneggiare le cellule visive.

I reni spesso funzionano peggio, sempre a causa della cattiva circolazione. Sintomo tipico è poi il piede diabetico: piedi e gambe perdono la sensibilità, la circolazione anche qui non funziona a dovere, si rischiano gravi lesioni che faticano a guarire e possono degenerare in cancrena.

Più in generale il diabete espone al rischio accresciuto di infezioni e altri disturbi a carico delle fibre nervose periferiche.

2. Città: è uno dei problemi

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I diabetici - e la cosa è molto importante - sono spesso persone in sovrappeso od obese che già soffrono di ipertensione e alti livelli di colesterolo.

Per questo motivo il diabete di tipo 2 si potrebbe - anzi si può - in molti casi evitare: uno stile di vita più sano diminuisce l’incidenza di questa malattia nelle persone a rischio.

Ma la buona volontà del singolo non basta. Le statistiche dimostrano che il diabete è più di uso tra le fasce di popolazione più svantaggiate dal punto di vista sociale ed economico e i casi aumentano all’avanzare dell’età.

Servono politiche di informazione e di prevenzione, diffuse su larga scala e che raggiungano proprio le persone che più difficilmente riescono a informarsi da sole o a sapere qual è lo stile di vita più salutare.

La lotta al diabete di tipo 2 deve dunque partire da scelte consapevoli delle istituzioni (enti centrali, enti locali, aziende sanitarie). Entro il 2050 metà della popolazione mondiale abiterà in un’area urbana.

Già oggi, in Italia, quattro cittadini su dieci vivono in una delle neo-costituite città metropolitane. L’urbanizzazione della popolazione ha comportato e comporta un radicale cambiamento dello stile di vita e delle abitudini.

Si è generalmente più sedentari, l’attività fisica diminuisce, l’alimentazione spesso peggiora, per la vasta disponibilità di cibi poco sani (ricchi di zuccheri, sale e grassi) a buon mercato.

Il diabete germina e si diffonde in questo humus. E costituisce ormai in Italia la seconda malattia più costosa per il Servizio sanitario nazionale. Nel 2010 per curare i diabetici in Italia veniva utilizzato quasi il 15% della spesa sanitaria.

Un paziente diabetico senza complicazioni costa 800 euro all’anno. Ma arriva a costarne no a 36.000 in presenza di gravi malattie correlate.

Risulta evidente dunque che - anche a prescindere da considerazioni di tipo morale - è nell’interesse economico dei governi tenere sotto controllo la malattia ed evitarla ove possibile. Ed è possibile: lo dimostrano diversi studi.

3. Conferme importanti dagli studi

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Negli anni Novanta a Malmö, in Svezia, è stato esaminato per cinque anni un campione di persone di mezza età ad alto rischio di diabete.

Il campione è stato diviso in due gruppi: al primo sono state fornite le cure mediche di base; al secondo gruppo invece sono stati dati programmi molto precisi sulla attività fisica da svolgere e sulla dieta da seguire.

Alla fine dei cinque anni, poco meno del 30% dei componenti del gruppo 1 aveva sviluppato il diabete. Mentre nel gruppo 2, quello con una dieta sana e una regolare attività fisica, i malati erano molti meno: circa il 10%. Una differenza decisamente significativa.

Uno studio analogo è stato svolto nello stesso periodo in Finlandia. Anche qui, il numero di casi di diabete è stato decisamente più alto - circa il doppio - nel gruppo di persone cui non era stata prescritta un’attività fisica regolare: corsa, cammino a passo sostenuto, nuoto, sci, giochi di squadra.

Altri studi si sono concentrati in particolare sulla dieta. La cosiddetta dieta mediterranea si è rivelata ancora una volta vincente: mangiare molta frutta e verdura, poca carne rossa, tanto pesce e cereali integrali e condire con olio di oliva è un ottimo modo per diminuire le possibilità di diventare diabetici o per tenere sotto controllo la malattia.

Per le politiche di prevenzione su larga scala ci sono due tipi di approccio: da una parte si possono individuare le persone a rischio e indirizzare le azioni su di loro; dall’altra si può invece mettere in campo una campagna informativa che riguardi l’intera popolazione e che si concretizzi poi in strumenti e azioni rivolti a tutti. Ebbene: la seconda strada è quella che dà i migliori risultati.

Uno studio inglese dimostra che spesso l’intervento solo sulle persone a rischio arriva troppo tardi: quando il diabete è quasi inevitabile. Bisogna invece partire prima, educando la popolazione generale a una alimentazione corretta e incentivando l’attività fisica.

E lo si può fare con moltissime politiche concrete: dalla tassazione più alta per il cibo e le bevande meno sane, a corsi di ginnastica a prezzi accessibili, all’organizzazione di attività che spingano a camminare in compagnia e a lasciare l’auto a casa.

Gli esempi non mancano ma sono ancora - almeno in Italia - limitati a pochi e piccoli casi virtuosi. E spesso ad esserne escluse sono proprio le fasce più a rischio: le persone più povere, meno istruite, più ai margini.

4. Passo dopo passo

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Mettere in campo iniziative semplici ed educative, invece, è molto facile.

Il Pedibus, nato in Danimarca all’inizio degli anni Novanta, inizia a diffondersi anche in Italia, da Nord a Sud.

I bambini vanno a scuola a piedi, tutti insieme, in alcuni casi organizzati in una specie di struttura coperta simile a un “autobus” senza ruote e senza motore, con tante fermate lungo il percorso per raccogliere gli scolari.

In alcuni casi hanno pettorine colorate e una corda cui attaccarsi e di adulti ne bastano un paio: uno davanti e uno dietro. Un modo divertente e sano per iniziare la giornata.

Per le persone più anziane l’equivalente del pedibus sono i Gruppi di cammino. Solo il 33% degli italiani adulti si definisce fisicamente attivo, secondo lo Studio PASSI 2013 dell’Istituto Superiore di Sanità.

E invece stili di vita corretti, tra cui l’attività fisica moderata, possono ritardare o ridurre l’insorgenza di molte malattie croniche degenerative, tra cui proprio il diabete.

Il cammino è un’attività fisica moderata di tipo aerobico e ha innumerevoli vantaggi per l’organismo: migliora la circolazione, il lavoro del cuore e l’apporto di ossigeno a tutti i tessuti, riducendo in tal modo il rischio di infarto e ictus.

Rafforza il sistema immunitario. Migliora la respirazione. Facilita il controllo del peso corporeo e di altri parametri fisiologici: la pressione arteriosa, la glicemia, il colesterolo.



5. L’esercizio fisico è trascurato

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La Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) ha pubblicato un documento che prende in considerazione 47 studi clinici, che hanno riguardato in tutto oltre ottomila pazienti.

Dimostrano che l’esercizio aerobico (camminata, corsa, bicicletta e nuoto), combinato con un allenamento di resistenza (esercizi di potenziamento con utilizzo di pesi o macchinari) migliora il controllo della glicemia nei pazienti con diabete.

Eppure, sottolinea la Fondazione, l’esercizio fisico non viene utilizzato quanto si dovrebbe e potrebbe nella cura e nella prevenzione di malattie croniche come il diabete.

I motivi sono diversi: spesso medici e pazienti non sono consapevoli dell’efficacia di questi interventi; ma anche i medici che sanno, a volte non hanno una sufficiente formazione pratica per poter indirizzare i malati o i soggetti a rischio.

Molte persone in fine sono restie a praticare attività fisica: è molto più semplice ottenere la cooperazione di un paziente nel seguire correttamente una cura farmacologica, che non convincerlo a essere costante negli esercizi prescritti.

La responsabilità principale però è da ricercare a monte: manca, prima di tutto, una seria politica di informazione e prevenzione.

Basti pensare, ad esempio, che nelle 149 pagine del Piano Nazionale delle Cronicità, approvato da poco dalla Conferenza Stato-Regioni, il termine “esercizio fisico” compare timidamente una sola volta: nel capitolo dedicato allo scompenso cardiaco.

Finché non verrà introdotto un profondo cambiamento culturale, sarà difficile vincere la battaglia contro il diabete e altre malattie di oggi.






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