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Emilio Segrè: il fisico italiano premio Nobel che ha cambiato il mondo

Animato da sempre dalla passione per la fisica, Emilio Segrè esplorò la realtà addentrandosi nella ricerca di frontiera.

L’incontro con personaggi come Enrico Fermi ed Ernest Lawrence lo convinsero a sondare l’ignoto.

Salvador Dalí era già celebre per le sue opere surrealiste quando una sera Emilio Segrè, di passaggio da New York, lo invitò a cena per conoscerlo finalmente di persona, sapendo che anche l’artista spagnolo si trovava in quella città.

Il pittore accettò con piacere e si presentò con uno dei suoi tipici “look” stravaganti. Anche Segrè, dal canto suo, gli riservò un’accoglienza “surrealista”: sorprese Dalí spuntando all’improvviso da dietro una colonna.

La cena, come racconta lo stesso Segrè nella sua autobiografia, fu, se possibile, ancora più singolare: l’artista gli raccontò di aver dipinto nel 1956 una “Anti-protonic Assumpta” (un olio su tela adesso conservato al museo d’arte moderna di Fukushima, in Giappone), ovvero una Madonna antiprotonica, spiegando che l’assunzione in Cielo di una donna di materia poteva verificarsi solo nel caso in cui questa subisse l’annichilazione di una sua omologa di antimateria (foto sotto).
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Segrè, che aveva vinto il premio Nobel nel 1959 per la sua scoperta dell’antiprotone (l’analogo di antimateria del protone) e che quindi sul tema era particolarmente competente, non poté che prendere atto del bizzarro modo di Dalí di leggere e interpretare il mondo.

Ma non lo considerò un folle, perché anche lui era spinto nelle sue ricerche dalla stessa curiosità. D’altra parte lo scienziato italiano era così: affrontava tutto con l’entusiasmo di un bambino e con una grande voglia di divertirsi.

Ma chi era Emilio Segrè,  il fisico italiano premio Nobel che ha cambiato il mondo? Scopriamolo insieme.

 

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1. LA RICERCA DI FRONTIERA

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La sua passione per la fisica fu evidente fin dall'infanzia.

Nato a Tivoli, in provincia di Roma, il primo febbraio 1905 da famiglia ebrea, Segrè scrisse ad appena sette anni un libricino intitolato “Appunti di fisica”.

Da adolescente continuò poi a leggere testi sull’argomento, trovati in casa o regalati da parenti e amici.

Diversamente da quanto ci si potesse aspettare, all'università inizialmente decise di iscriversi alla facoltà di ingegneria, pensando potesse aprirgli più sbocchi professionali e anche perché riteneva di non aver bisogno di studiare fisica conoscendo bene la materia.

Fu un incontro fortuito con Franco Rasetti, uno dei principali fisici italiani dell’epoca, durante una gita in montagna, a mettere il giovane Emilio per la prima volta in contatto con l’ambiente della ricerca di frontiera.

Con Rasetti strinse una bella amicizia e nei loro incontri discussero spesso di quella materia che appassionava entrambi. Nel settembre del 1927 Rasetti gli propose di andare a Como e partecipare a un importante congresso di fisica in onore dei cento anni dalla nascita di Alessandro Volta.

Qui Segrè per la prima volta si trovò al cospetto degli studiosi di cui aveva letto e sentito parlare: Niels Bohr, Max Born, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Max Planck, Robert Millikan, Ernest Rutherford e molti altri. A Como mancava solo Albert Einstein.

L’emozione fu tale che Segrè decise di lasciare ingegneria per diventare studente di fisica. Spinto da Rasetti, e grazie all’intervento di Orso Mario Corbino, direttore dell’Istituto di fisica a Roma, Segrè divenne il primo studente di Enrico Fermi.

Erano entrambi giovanissimi: Fermi aveva 26 anni ed era già professore, Segrè ne aveva 22. Sotto la guida del primo, nel luglio 1928, ad appena un anno dalla sua decisione di cambiare facoltà, arrivò alla laurea.

Da lì a diventare uno dei celebri “ragazzi di via Panisperna” il passo fu brevissimo. Nel gruppo, ognuno di loro aveva un soprannome.

Segrè ne aveva addirittura due, particolarmente indicativi del suo carattere: “prefetto delle biblioteche”, perché era curatore della biblioteca universitaria e appassionato di letteratura, e “basilisco”, perché nei momenti di arrabbiatura era in grado di “incenerire” con un solo sguardo, come l'omonimo rettile mitologico.

Nella fotografia sotto, da sinistra: Franco Rasetti, Enrico Fermi ed Emilio Segrè in toga.

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2. NELLA “MECCA” DELLA FISICA

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Costretto a interrompere il lavoro di ricerca con i “ragazzi di Via Panisperna” per prestare servizio di leva nell’esercito italiano fra il 1928 e il 1929, rientrò in seguito a Roma lavorando con il gruppo di Fermi.

In questo periodo collaborò anche con il fisico tedesco Otto Stern (che avrebbe vinto il premio Nobel per la fisica nel 1943) ad Amburgo e ad Amsterdam con l’olandese Pieter Zeeman (già premio Nobel per la fisica nel 1902) grazie a una borsa di studio della Rockfeller Foundation.

Dal 1932 al ’36 occupò la carica di assistente alla cattedra del noto fisico Orso Mario Corbino. Il 2 febbraio di quell’anno si sposò con l’ebrea tedesca Elfriede Spiro e, cercando un posto di lavoro più stabile, approdò a Palermo, dove divenne professore e direttore dell’istituto di fisica della locale università. Nel capoluogo siciliano restò fino al 1938, anno in cui furono emanate le leggi razziali. A quel punto non gli restò che scappare dall’Italia.

Si recò negli Stati Uniti, dove, all’Università di Berkeley, in California, trovò ad accoglierlo Ernest Lawrence, noto per l’invenzione del ciclotrone, un acceleratore di particelle in cui l’azione combinata di un campo magnetico statico e di un campo elettrico variabile a radiofrequenza accelerava le particelle facendole muovere lungo una traiettoria a spirale (per questa invenzione, a Le prime tracce rilevate nel Bevatron, un acceleratore di particelle del Lawrence Berkeley National Laboratory, che portarono alla scoperta degli antiprotoni Lawrence venne assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1939).

D’altra parte, Lawrence conosceva già Segrè. L’anno prima, nel 1937, il fisico italiano aveva visitato il suo laboratorio, il Berkeley Radiation Laboratory, e aveva prelevato un campione di molibdeno proveniente dal ciclotrone, incuriosito dalla particolare radioattività emessa dal materiale.

L’analisi sperimentale, supportata dallo sviluppo di un modello teorico, portò Segrè a scoprire il primo elemento chimico sintetizzato artificialmente: il tecnezio. Il molibdeno del campione era stato infatti bombardato all’interno del ciclotrone con nuclei di deuterio (è un isotopo dell’idrogeno, il cui nucleo è composto da un protone e un neutrone): il risultato era stata appunto la trasformazione in tecnezio.

Quando nel 1938 Segrè ritornò a Berkeley, Lawrence gli offrì un posto da “research assistant” al Radiation Lab. Il lavoro con strumentazione all’avanguardia come il ciclotrone permise a Segrè di trovare nuovi elementi chimici, come l’astato, e altri isotopi, fra cui il “temibile” plutonio-239: quest’ultimo verrà poi utilizzato per fabbricare “Fat Man” (uomo grasso), la bomba atomica che annienterà la città giapponese di Nagasaki il 9 agosto 1945.

Qui sotto, il diagramma del ciclotrone (una macchina usata per accelerare fasci di particelle elettricamente cariche) tratto dal suo brevetto del 1934. Sotto, il gruppo di fisici di Berkeley, in California, che lo ha realizzato.

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3. FORTI MOTIVAZIONI

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Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale e il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in risposta all’attacco a sorpresa da parte delle forze armate giapponesi, con il bombardamento aereo di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941, Segrè, dal 1943, fu coinvolto nel Progetto Manhattan (programma di ricerca e sviluppo statunitense che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche).

Venne infatti chiamato da Julius Robert Oppenheimer, direttore scientifico dei laboratori di Los Alamos, dove si lavorava allo studio e alla progettazione dell’ordigno che avrebbe dovuto far vincere la guerra agli USA.

Qui Segrè, noto per le sue doti di eccellente sperimentatore, venne posto subito a capo di un laboratorio. La notizia della morte della madre, vittima di un rastrellamento nazista, gli venne data dallo stesso Oppenheimer nel giugno del 1944.

Pochi mesi dopo, a ottobre di quell’anno, morì anche suo padre. Segrè, che quindi non poté mai più rivedere i suoi genitori, non si perse d’animo e anzi continuò a lavorare con rinnovato vigore al progetto per fermare la bestia nazista, tanto da ottenere la responsabilità delle misurazioni della radiazione gamma (la radiazione elettromagnetica più potente) emessa durante il primo test nucleare del progetto: il cosiddetto “Trinity Test”.

L’esplosione della bomba, soprannominata “Gadget” (aggeggio, gingillo), avvenne alle 5.29 del 16 luglio 1945 in una località desertica non lontana da Socorro, New Mexico. Qui sotto, Fat Man fu la terza bomba atomica approntata nell’ambito del Progetto Manhattan, a cui partecipò anche il fisico Emilio Segrè.

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Gli effetti furono così devastanti che gran parte degli strumenti di misura andò distrutta, ma Segrè e il suo gruppo furono comunque capaci di ricavare i dati utili per capire la quantità di energia rilasciata dall'esplosione sotto forma di raggi gamma.

La Storia racconta che la seconda e la terza bomba non vennero nemmeno “provate”, ma furono direttamente sganciate sul Giappone poco più di due settimane dopo il “Trinity Test”.

Segrè stesso sostenne di aver aderito al Progetto Manhattan con grande entusiasmo, proprio perché gli offriva la possibilità di contribuire a porre fine al conflitto e, soprattutto, alla distruzione del regime nazista di Hitler.

Ma anche perché, ammise durante un’intervista rilasciata a Enzo Biagi, nessuno di coloro che operava nei laboratori di Los Alamos si era davvero fatto domande sulle conseguenze di quello che stavano realizzando.

Qua sotto, il Memorial Glade, al centro del campus di Berkeley, in California. Fu qui che Segrè fece le scoperte più importanti che gli valsero il Nobel.

 

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4. UNA MENTE IN MOVIMENTO

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Alla fine della guerra, dopo un'esperienza in un altro ateneo, nel 1952 rientrò all’università californiana di Berkeley.

Qui cominciò a lavorare assiduamente con Owen Chamberlain – che aveva già conosciuto nel 1942 a Berkeley e con cui aveva collaborato anche a Los Alamos – a caccia dell’antiprotone, l’antiparticella del protone.

Il risultato arrivò nel 1955, grazie all’impiego del Bevatron, un sincrotrone per protoni (un sincrotrone è un acceleratore in cui campi magnetici ed elettrici lavorano in sincronia per accelerare le particelle lungo una traiettoria circolare) che poteva raggiungere energie sufficienti per “rilevare” finalmente queste particelle.

Nel 1959, Segrè e Chamberlain si videro assegnare il premio Nobel per la fisica per questa loro scoperta (foto in alto a sinistra).

Ecco la scoperta da Nobel: l’idea che esistesse una forma di materia con caratteristiche speculari rispetto alla materia ordinaria venne per la prima volta dal fisico inglese Paul Dirac in seguito alla formulazione della celebre equazione che prende il suo nome, che descrive il moto degli elettroni tenendo conto non solo della meccanica quantistica, ma anche della teoria della relatività speciale.

L’equazione di Dirac, pubblicata nel 1928, era l’estensione relativistica dell’equazione d’onda di Schrödinger, formulata nel 1925, con cui il fisico austriaco Erwin Schrödinger aveva descritto per la prima volta il moto di una particella in termini di evoluzione temporale di un’onda. Sotto, un incontro a Copenaghen tra fisici nel 1937. In seconda fila, il secondo da destra, è Emilio Segrè.

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Analizzando la sua equazione, Dirac predisse l’esistenza degli antielettroni (noti anche con il nome di positroni), particelle che dovevano avere la stessa massa degli elettroni, ma carica elettrica opposta, ovvero positiva. La riprova della loro esistenza arrivò molto presto: nel 1932, grazie agli esperimenti del fisico statunitense Carl Anderson.

Da quel momento, in molti iniziarono a chiedersi se esistessero antiparticelle anche di tutte le altre particelle, anche se alcuni nutrivano dubbi su questa ipotesi.

Ci vollero la curiosità e la tenacia di Segrè e Chamberlain per arrivare a dimostrare nel 1955 – ben ventitré anni dopo la scoperta del positrone – che la previsione di Dirac si applicava non solo agli elettroni, ma a tutte le specie di particelle, a partire proprio dai protoni.

Dopo vari incarichi di prestigio, la scrittura di una biografia del suo maestro Enrico Fermi (Enrico Fermi, fisico, 1970), un secondo matrimonio dopo la morte della prima moglie e un breve periodo di insegnamento anche in Italia, Segrè tornò negli Stati Uniti, dove morì per un attacco di cuore il 22 aprile 1989.

La sua autobiografia, il cui titolo originale è A mind always in motion (una mente sempre in movimento), uscì postuma, nel 1993. È la storia di un giovane ed entusiasta appassionato di fisica che ha cambiato il mondo.

Qua sotto, le prime tracce rilevate nel Bevatron, un acceleratore di particelle del Lawrence Berkeley National Laboratory, che portarono alla scoperta degli antiprotoni.

 

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5. UN GRUPPO GENIALE

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Nel 1926, grazie all’impegno di Orso Mario Corbino, all’epoca direttore dell’Istituto di fisica dell’Università di Roma, Enrico Fermi diventa titolare della prima cattedra di fisica teorica istituita in Italia.

A partire da quel momento, Fermi, sempre affiancato da Corbino, inizia a raccogliere attorno a sé un gruppo di giovani fisici, sia teorici sia sperimentali, per trasformare l’Istituto in un moderno centro di ricerca.

È così che nasce il gruppo nominato “i ragazzi di via Panisperna”, dal nome della strada romana dove appunto aveva sede l’Istituto di fisica. In pochi anni il gruppo arrivò a comprendere, assieme a Fermi e a Segrè (il primo studente a laurearsi con lui), fisici del calibro di Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Ettore Majorana e Bruno Pontecorvo, oltre al chimico Oscar D’Agostino.

Inizialmente dedicato allo studio della spettroscopia atomica e molecolare, nel tempo il gruppo si interessò sempre di più alle ricerche di fisica nucleare e subnucleare, che dal punto di vista sperimentale portarono alla scoperta dei neutroni lenti e al loro impiego per la creazione di nuovi isotopi radioattivi e dal punto di vista teorico alla formulazione del modello di decadimento radioattivo beta (quello in cui viene emesso un elettrone, o particella beta).

Furono proprio questi studi a portare all’assegnazione del premio Nobel a Enrico Fermi, nel 1938. Nello stesso anno, prima la morte di Orso Mario Corbino e poi l’entrata in vigore in Italia delle leggi razziali approvate dal governo fascista presieduto da Benito Mussolini convinsero Fermi ad abbandonare il Paese (sua moglie era ebrea) e il gruppo a disperdersi, chiudendo quella splendida e gloriosa parentesi di ricerca fondamentale svolta interamente in Italia.

Gli unici a non espatriare – a parte Majorana, scomparso in circostanze misteriose, sempre nel 1938 – furono l’unico chimico del gruppo, Oscar D’Agostino, ed Edoardo Amaldi, che dopo la guerra contribuì alla fondazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), del Centro Europeo di Ricerche Nucleari (CERN) di Ginevra e dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Nella foto sotto, da sinistra: Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi.

 

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