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Fake news? Ecco come tenerle a bada

Novembre 2017. Una foto impazza su Facebook. Ritrae alcuni noti politici italiani, tra cui Laura Boldrini e Maria Elena Boschi, a un funerale.

La didascalia, che recita «Guardate chi c’era a dare l’ultimo saluto a Totò Riina?», lascia intendere che alcune delle più alte cariche dello Stato abbiano presenziato ai funerali di un efferato capomafia.

Peccato che la foto si riferisca alle esequie di un nigeriano ucciso in Italia l’anno prima.

Così i politici smentiscono e la natura fraudolenta dell’immagine viene svelata, ma non prima di aver ricevuto migliaia di like ed essere stata altrettante volte condivisa.

Perché tante persone ci sono cascate? Perché le fake news – come sono chiamate le notizie false diffuse soprattutto dal Web – catturano milioni di individui che sembrano non avere alcun senso critico?

Secondo una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha analizzato 126 mila notizie diffuse su Twitter dal 2006 al 2016, le fake news impiegano 19 ore a raggiungere 1.500 utenti su questa piattaforma, mentre quelle vere 60 ore.

Le bufale più veloci riguardano la politica. Seguono quelle su terrorismo, disastri ecologici, mondo della finanza e della scienza. Perché questa differenza?

Secondo i ricercatori del MIT, le storie false appaiono più “nuove” e suscitano maggiore emotività rispetto alle storie vere e sono quindi cliccate e condivise di più.

Secondo gli esperti, le fake news, ossia le bufale, prosperano perché fanno leva sulla nostra emotività, predisposta a dare credito a ciò che sostiene le nostre convinzioni e a farci simpatizzare con chi la pensa come noi.

Ecco come tenerle a bada!

 

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1. Bugie e “camere di risonanza”

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«Non sempre la rete riesce a garantire la veridicità e la correttezza delle notizie che contribuisce a divulgare», afferma Francesco Nicodemo, esperto di comunicazione e innovazione digitale, autore del libro Disinformazia (Marsilio, 2017).

«Allo stesso tempo spesso non si riesce a distinguere nettamente quali siano gli esperti su un tema e quali no.
Il risultato è che non di rado vengono condivisi link di cui non è stata verificata l’attendibilità né la veridicità.
Quando una notizia falsa inizia a circolare, grazie all’ingranaggio messo in moto dalle condivisioni, alimentato dai
like e amplificato dalle visualizzazioni, diventa praticamente impossibile arrestarne l’effetto cascata.
Buona pratica sarebbe che si verificasse sempre la fonte. Tuttavia, l’immediatezza gioca contro la verifica e il desiderio spasmodico di
condividere impedisce qualsiasi attività di controllo.
Inoltre, non è semplice aiutare le persone a distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è senza tralasciare un aspetto rilevante: non è detto che alla fine il lettore voglia
concordare con le conclusioni a cui si è giunti, se esse contraddicono le sue convinzioni e la sua visione delle cose».

Uno dei motivi per cui molte persone condividono notizie palesemente infondate, infatti, è che queste confermano le loro opinioni al di là della corrispondenza con la realtà.

In altre parole, alcune persone credono alle fake news perché fa loro piacere credervi.

In questo senso, uno dei concetti principali per capire il fenomeno della diffusione di notizie false è quello delle echo chambers o “camere di risonanza”, termine con il quale ci si riferisce ad ambienti digitali che proliferano soprattutto nei social network dove si ritrovano tutti quelli che la pensano in un certo modo e condividono determinate idee.

Specifica Nicodemo: «Il problema delle echo chambers è che rinchiudono gli utenti in mondi autoreferenziali, dove in pratica non è consentito esprimere opinioni alternative».

 

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2. Fact-checking

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La conseguenza è che le proprie credenze sono rafforzate al punto da dare l’illusione del “tutti la pensano come me”».

Un esempio clamoroso è quanto accaduto nel 2016 nel Regno Unito in occasione del referendum sulla Brexit.

Molti sostenitori del remain (“rimaniamo in Europa”) sono rimasti sorpresi dalla vittoria del leave (“usciamo dall’Europa”) perché, frequentando digitalmente solo persone che la pensavano come loro, si erano illusi che gli oppositori fossero molti di meno.

Il fenomeno delle echo chambers favorisce la polarizzazione delle opinioni, ossia la tendenza a collocarsi emotivamente su posizioni estreme e contrapposte come se non ne esistessero di intermedie.

Un esempio clamoroso di polarizzazione è il fenomeno del cosiddetto partyism, termine coniato dal politologo Carl Susstein per indicare quell’istintiva avversione nei confronti di chi si riconosce nella fazione politica opposta alla propria.

Gli atteggiamenti osservati possono dare origine addirittura a comportamenti assimilabili a quelli motivati dal razzismo e condizionare le decisioni in molti ambiti della vita, dagli amici alla famiglia, al lavoro.

Una soluzione potrebbe essere un’efficace azione di fact-checking, termine che indica un’attività di verifica su dati o affermazioni fatta in tempo reale. 

Tuttavia, le retti che sono rare e talvolta inutili. In parte perché le bugie si diffondono con una rapidità tale che nessuna rettifica riesce a tenere loro testa. In parte, perché le persone credono a ciò che preferiscono credere.

In termini informatici, si dice che il fact-checking è meno veloce del clickbaiting, termine con il quale si fa riferimento a quei contenuti (articoli, fotografie ecc.) che nascono con l’intento di catturare velocemente l’attenzione degli utenti inducendoli a cliccare sui link che portano a determinati siti web.

Rispetto al fact-checking il clickbaiting è più attraente. A scapito della verità.

 

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3. Troll e complottisti

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A peggiorare il tutto, c’è il fenomeno dei troll, termine con il quale si indica chi lascia in rete delle esche per far “abboccare” le persone, provocandone reazioni aggressive.

I troll vogliono provocare, creare scandali, causare confusione.

Quando vi si incappa, è facile cadere nella loro trappola, reagendo emotivamente e avviando scambi verbali spesso inutili. L’aggressività non favorisce certamente il raggiungimento della verità.

Altro contributo alle fake news viene dai complottisti che proliferano in rete. Le loro informazioni sono più rapide a diffondersi perché sostenute da un fervente attivismo di tipo propagandistico.

Contro i complottisti la spiegazione razionale può essere ininfluente perché la forza del complottismo non si basa tanto sull’applicazione del metodo scientifico né sulla ricerca di prove empiriche, ma su credenze e supposizioni che diventano dogmaticamente vere.

D’altronde le principali teorie complottiste provano a spiegare eventi e avvenimenti talmente enormi che non si riescono facilmente a comprendere, come l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

La tecnica per rendere virale una teoria complottista è insinuare il dubbio: non si propone apertamente una teoria diversa, ma si cerca di “contagiare” il prossimo insinuando il dubbio, creando panico, sovrapponendo incertezza alle certezze ufficiali.

La teoria complottista riguardante la Xylella, per esempio, un batterio nocivo agli ulivi che si è diffuso soprattutto in Puglia, dove quest’albero costituisce una risorsa preziosa, ha subito un’impressionante accelerazione da quando il 19 marzo 2015 l’attrice Sabina Guzzanti ha pubblicato un post su Facebook in cui venivano esposti i capisaldi di questa teoria cospirazionista: il batterio sarebbe estraneo alla regione, costruito in laboratorio e diffuso volutamente allo scopo di vendere insetticidi e nuovi alberi Ogm.

Il post ha avuto svariati milioni di visualizzazioni, migliaia di like, condivisioni e commenti. La Procura di Lecce ha aperto un’inchiesta, nonostante un’indagine dell’Ente europeo per la sicurezza alimentare abbia accertato il ruolo endogeno della Xylella nelle terre colpite.

 

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4. Come possiamo difenderci?

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La psicologia cognitiva insegna che cercare di smentire le false idee in cui qualcuno crede profondamente può solo rafforzarle, con quello che viene chiamato “effetto boomerang”.

Le nostre convinzioni fanno parte di noi e difficilmente accettiamo informazioni che scardinino il nostro sistema di idee, una volta che si è consolidato.

Le ricerche dimostrano che limitarsi a definire falsa una notizia non annulla gli effetti della disinformazione in chi vi è stato esposto. È necessario fornire una spiegazione alternativa che imponga all’attenzione del disinformato nuovi nessi di causa ed effetto.

Prima di tutto, dunque, è necessario concentrarsi sul messaggio positivo che si vuole portare e non sulla bufala da sbugiardare. In secondo luogo, non mettersi mai in opposizione allo schema di valori di chi ci sta di fronte.

In fine, bisogna ricordare che l’onere della prova sta a chi smentisce l’opinione condivisa dalla maggioranza degli scienziati e non il contrario.

Le fake news viaggiano tre volte più velocemente delle notizie vere! Secondo una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha analizzato 126 mila notizie diffuse su Twitter dal 2006 al 2016, le fake news impiegano 19 ore a raggiungere 1.500 utenti su questa piattaforma, mentre quelle vere 60 ore.

Le bufale più veloci riguardano la politica. Seguono quelle su terrorismo, disastri ecologici, mondo della finanza e della scienza. Perché questa differenza?

Secondo i ricercatori del MIT, le storie false appaiono più “nuove” e suscitano maggiore emotività rispetto alle storie vere e sono quindi cliccate e condivise di più.

Distinguiamo tra mis-informazione e dis-informazione. Secondo un rapporto pubblicato dal Consiglio d’Europa nel 2017, il termine fake news sarebbe troppo vago. A esso va preferito il termine information disorder, “disturbo informativo”.

All’interno di questa categoria gli autori distinguono fra mis-information, dis-information e mal-information.
- La mis-information si ha quando una notizia falsa viene diffusa in rete per superficialità senza intenzione di ledere nessuno.
- La dis-information comprende invece una intenzione nociva da parte di chi la produce o diffonde.
- Infine, la mal-information si ha quando vengono diffuse delle notizie vere, ma per provocare, nuocere o creare contrasti.

 

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5. Prima dello scandalo Facebook ci metteva in guardia

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Facebook ha elaborato un decalogo per riconoscere le notizie false che è stato diffuso in molti Paesi del mondo. Eccolo:

  • 1) Non fidarti dei titoli: le notizie false spesso hanno titoli altisonanti scritti in maiuscolo e con molti punti esclamativi.
  • 2) Guarda l’URL: un URL fasullo o simile a quello di una fonte attendibile può indicare che la notizia è falsa. Molti siti di notizie false si fingono siti autentici cambiando in misura minima gli URL.
  • 3) Fai ricerche sulla fonte: assicurati che la notizia sia scritta da una fonte di cui ti fidi e che ha la reputazione di essere attendibile.
  • 4) Fai attenzione alla formattazione: su molti siti di notizie false, l’impaginazione è strana o il testo contiene errori di battitura.
  • 5) Fai attenzione alle foto: le notizie false spesso contengono immagini e video ritoccati. A volte invece le immagini sono autentiche, ma fuori contesto. Puoi fare una ricerca dell’immagine o della foto per verificarne l’origine.
  • 6) Controlla le date: le date degli avvenimenti contenuti nelle notizie false sono spesso errate e la loro cronologia può non avere senso.
  • 7) Verifica le testimonianze: controlla le fonti dell’autore per assicurarti che siano attendibili. Prove mancanti o il riferimento a esperti di cui non viene fatto il nome possono indicare che la notizia è falsa.
  • 8) Controlla se le altre fonti hanno riportato la stessa notizia: se gli stessi avvenimenti non vengono riportati da nessun’altra fonte, la notizia potrebbe essere falsa.
  • 9) La notizia può essere uno scherzo: a volte è difficile distinguere le notizie false da quelle satiriche o scritte per divertire. Controlla se la fonte è nota per le sue parodie e se i dettagli e il tono ne rilevano lo scopo umoristico.
  • 10) Alcune notizie sono intenzionalmente false: usa le tue capacità critiche quando leggi le notizie online e condividile solo se non hai dubbi sulla loro veridicità.

 

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