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Forze speciali: le 5 migliori unità del mondo

Le forze speciali sono le protagoniste indiscusse di questi ultimi anni, nei quali le tensioni a livello globale sono cresciute ma non hanno più la forma del conflitto armato tradizionale.

La norma sembra essere diventata quella della guerra non convenzionale, sia che si tratti della prolungata lotta al terrorismo sia che invece ci si trovi di fronte a guerre civili.

In questo contesto non sono gli eserciti a essere protagonisti: l’unica risposta davvero efficace, e ormai largamente impiegata, è quella fornita da unità speciali, con un addestramento di élite, in grado di portare a compimento azioni puntuali e ad altissimo rischio, anche in scenari tecnicamente molto complicati.

Gli ambiti operativi di queste unità speciali sono proprio le attività antiterroristiche, il recupero di ostaggi, piloti e soldati rimasti dietro le linee nemiche o comunque in territorio ostile, le ricognizioni speciali in profondità e la raccolta di informazioni, il supporto alle unità combattenti o alle operazioni aeree o di artiglieria, le azioni di guerriglia e di sabotaggio, e infine le famigerate operazioni di “Direct Action” DA, vale a dire l’attacco mirato a bersagli di alto valore (High Value Target, HVT) che comportano la neutralizzazione o l’eliminazione di strutture ma anche di persone, come ormai avviene di continuo (il caso più celebre è probabilmente quello di Osama bin Laden).

Ecco le 5 migliori unità speciali oggi in azione negli scenari più pericolosi del mondo.

 

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1. TEAM SIX - NAVY SEALS DEVGRU (USA)

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Sono la punta di diamante. L’élite dell’élite.

Gli uomini del Team Six, la piccola unità scelta all’interno della più selettiva tra le forze speciali americane e del mondo – i Navy SEALs – di “trofei” nel carnet ne hanno tanti.

Il più noto è senza dubbio l’eliminazione di Osama Bin Laden, il capo e fondatore di al-Qaeda, ideatore degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e Washington.

Se i Navy SEALs, alla loro nascita nel 1961, furono creati per le incursioni costiere, il supporto agli sbarchi anfibi e per l’attività di controguerriglia nella Guerra del Vietnam, il Team Six ha preso ispirazione dal fallimento dell’operazione del 1980 per liberare gli ostaggi presi dai guardiani della rivoluzione iraniani nell’ambasciata statunitense a Teheran.

In quell’occasione furono inviati segretamente dei soldati per tentare il colpo di mano, ma otto di loro morirono a seguito di un incidente aereo nel deserto iraniano, che fece saltare la missione. Si prese allora coscienza della necessità di avere uomini specificamente preparati per situazioni di crisi legate al terrorismo e per la liberazione ostaggi.

Il nome ufficiale del Team Six è l’appellativo DEVGRU: l’acronimo indica il distaccamento della Marina militare degli Stati Uniti che opera agli ordini del JSCOM, il comando delle operazioni speciali incaricato di eliminare le cellule terroristiche in tutto il mondo, ma si riferisce in particolare ai termini Development Group, cioè Gruppo Sviluppo, intendendo con questo il centro studi per la ricerca e la sperimentazione di nuove armi ed equipaggiamenti per i commando.

Cosa che il Team Six fa, realizzando strumenti speciali incentrati sulle proprie particolari esigenze, ma che non è certo l’attività principale di questo gruppo di soldati sceltissimi e agguerritissimi, che negli ultimi decenni – soprattutto a partire dal 2001 – si sono distinti per una incredibile serie di imprese ardimentose e sanguinose, spesso ai limiti della legalità internazionale, coperte dal più impenetrabile segreto.

Secondo i comandi statunitensi, le operazioni del Team Six hanno dato un contributo determinante nell’indebolire le reti terroristiche in Medio Oriente, in Africa e in Asia, e quelle dei narcotrafficanti in America Latina, un’altra area di intervento tradizionale dei SEALs fin dalla loro nascita.

Essi hanno compiuto in questi anni decine di operazioni contro leader del terrorismo islamista dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Somalia alla Libia e anche in molti Paesi ufficialmente amici degli Stati Uniti, come per esempio il Pakistan, dove fu raggiunto ed eliminato Osama Bin Laden.

Tra le competenze del DEVGRU c’è anche la raccolta di informazioni e il controspionaggio, anche se gli operatori del Team Six sono soldati delle forze speciali più che agenti segreti.

Questa unità, di stanza presso la base navale di Dam Neck, in Virginia, è un reparto della Marina, quindi tutti i membri del gruppo oltre a essere addestrati nel paracadutismo, nel tiro con le armi più disparate e nelle tecniche di combattimento di ogni genere, sono anche provetti subacquei.

Gli operativi del Team Six sono circa 300, che sembra siano divisi in 5 squadre d’assalto: Oro, Rosso, Blu, Grigio (specializzato in mobilità navale) e Nero (specializzato in ricognizione e sorveglianza occulte).

Mentre il Team Verde, che non viene conteggiato tra le squadre d’assalto, sarebbe responsabile dell’addestramento. A questi vanno aggiunti un migliaio di uomini del personale di supporto tra armieri, impiegati, esperti di logistica o di esplosivi.

L’unità dispone anche di strutture imponenti e all’avanguardia per le esercitazioni dei propri uomini, che solo il bilancio militare degli Stati Uniti può permettersi, e di una propria forza di elicotteri, anche se può appoggiarsi al SOAR, l’unità di trasporto delle forze speciali USA.

È quasi certo che, mentre leggete queste righe, alcuni dei supersoldati del Team Six stiano operando in qualche zona “calda” del mondo, per eliminare minacce alla sicurezza degli Stati Uniti.

 

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2. SAS (Gran Bretagna)

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Sono il modello mondiale delle Forze Speciali, il prototipo a cui tutte le altre si rifanno, e fin dalla loro nascita hanno mantenuto un livello di eccellenza rimasto quasi del tutto ineguagliato.

Dal 1941 gli uomini dello Special Air Service (SAS) si sforzano in ogni modo di essere all’altezza del loro antico motto: “Who dares wins”, vale a dire “Chi osa vince”. I commando di queste forze speciali cominciarono la loro storia in Nordafrica nel 1941, come unità speciale di paracadutisti.

In realtà però le azioni paracadutate vennero subito accantonate ed essi divennero operativi con i veicoli terrestri del Long Range Desert Group: si sviluppò così la leggenda di questi incursori abili nella guerra non convenzionale, capaci di colpire in profondità le basi tedesche e italiane spostandosi, senza essere mai intercettati, nel deserto.

I loro clamorosi successi fecero da modello allo sviluppo di commando in quasi tutti i Paesi impegnati nel conflitto. Per questo si può tranquillamente affermare che il SAS è il progenitore diretto della maggior parte delle forze speciali del mondo occidentale.

Momentaneamente smobilitato nel 1945, il SAS è stato subito ricostituito per essere utilizzato nelle operazioni militari britanniche contro la guerriglia filo-comunista in Malesia e poi nella Guerra di Corea.

Da allora, in qualunque parte del mondo gli inglesi abbiano avuto necessità di un intervento efficiente e chirurgico, hanno potuto contare sul SAS. A partire dall’Irlanda del Nord, dove i suoi operatori hanno sviluppato competenze nell’antiterrorismo prendendo parte a una guerra sporca e senza esclusione di colpi con gli indipendentisti dell’IRA.

Negli anni Settanta, queste sono state messe a frutto creando all’interno del 22° Reggimento SAS il Counter Revolutionary Warfare Team (CRW), specializzato nell’intervento contro i dirottamenti aerei e nella liberazione di ostaggi.

Esso è intervenuto in diverse operazioni anche in appoggio a unità “amiche”, come è accaduto con la Germania durante il dirottamento aereo di Mogadiscio, del 1977. In quell’occasione le teste di cuoio tedesche del GSG9 neutralizzarono un gruppo di terroristi palestinesi che si era impossessato di un Boeing 737 della Lufthansa.

Nel 1980 il SAS entrò in azione in quella che oggi potremmo considerare un’avvisaglia della minaccia islamista dei decenni successivi: il sequestro di ostaggi all’interno dell’ambasciata iraniana a Londra da parte di un gruppo di terroristi.

Alla fine questi ultimi furono tutti eliminati o arrestati. Un ruolo, quello di forza antiterrorismo tornato di attualità a causa dell’ondata di attentati che ha colpito la Gran Bretagna tra il 2005 e poi nel 2017. Il Reggimento è rimasto, però, sempre operativo anche come unità militare.

Nel corso della Guerra delle Falkland con l’Argentina, nel 1982, furono gli operatori del SAS a distruggere la forza aerea nemica schierata su quel fronte, grazie a un’audace incursione notturna nell’aeroporto di Pebble Island.

Con la fine della Guerra Fredda il focus si è spostato nei Balcani e in Medio Oriente: in Bosnia i commando furono infiltrati dietro le linee nemiche per guidare i raid aerei della NATO, mentre durante la Prima guerra del Golfo, nel 1991, il SAS fu tra le unità speciali a operare sul territorio iracheno con il compito di dare la caccia e neutralizzare i lanciatori dei temibili missili Scud.

Il SAS è poi stato impegnato in modo costante e continuativo in Afghanistan e in Iraq, e oggi si suppone sia operativo anche in Siria e in Libia. Per entrare a far parte dei SAS i membri dell’esercito britannico devono affrontare una selezione e un addestramento durissimi, che vengono superati in media da un candidato su dieci.

Il 22° Reggimento è la vera unità speciale del SAS, ed è composto da 4 “squadroni di sciabole” (terminologia che richiama la cavalleria), A, B, D e G, ognuno da 60 uomini, e ciascuno di essi è ulteriormente suddiviso in gruppi da 10-15 uomini – detti Troop, “plotoni” – ognuno dei quali ha una specializzazione particolare (plotoni di terra, montagna, aria, anfibi).

Gli uomini delle Mountain Troop sono esperti alpinisti e sciatori addestrati a operare e sopravvivere in ambienti montani e artici. I Boat Troop sono in grado di intervenire come sommozzatori oppure utilizzando canoe e imbarcazioni leggere da assalto. I membri dell’Air Troop sono esperti di paracadutismo anche estremo e da alta quota.

Infine gli operatori dei Mobility Troop sono specialisti nell’uso dei veicoli e delle relative armi a bordo, oltre a essere valenti meccanici. Efficienti, disciplinati, spietati, coraggiosi, gli uomini del SAS dimostrano quotidianamente di essere gli operatori di forze speciali che tutti gli altri vorrebbero imitare.

 

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3. GRUPPO ALPHA (Russia)

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All’inizio del 2019 il presidente della Moldavia ha annunciato che due piloti del suo Paese, presi in ostaggio dai talebani in Afghanistan nel 2015, erano stati finalmente liberati con un’operazione segreta, della quale nessuno era a conoscenza, neppure i familiari.

Operazione per la quale i moldavi hanno ringraziato la Russia. Non sono stati aggiunti altri dettagli, ma è assai probabile che siano scesi in campo gli spetsnaz, le forze speciali russe.

Tra queste, una delle unità più qualificate e specializzate, spesso chiamata a occuparsi delle azioni più spinose e delicate e del recupero ostaggi, è senz’alto il Gruppo Alpha, ufficialmente Spetsgruppa A.

Fu creato nel 1974, nel pieno della Guerra Fredda, e fu costituito all’interno del Kgb, per rispondere alla necessità di avere soldati super-addestrati e pronti a tutto, in grado di eseguire qualunque cosa venisse loro ordinata.

Anche per gli Alpha, così come per molti reparti europei analoghi, tutto cominciò con la strage del 1972 alle Olimpiadi di Monaco, che spinse molti Paesi a dotarsi di unità speciali di pronta reazione.

Per quanto l’Unione Sovietica fosse un bersaglio molto marginale del terrorismo internazionale, c’erano però in programma le Olimpiadi di Mosca del 1980 e il Cremlino non voleva farsi trovare impreparato.

Ben prima che i giochi iniziassero, il Gruppo Alpha fu chiamato al battesimo operativo. Nel 1979 Mosca aveva, infatti, avviato il suo intervento militare in Afghanistan, così al Gruppo Alpha, con l’aiuto di altre forze speciali russe, fu assegnato il compito di espugnare il palazzo presidenziale di Hafizullah Amin, a Kabul.

Da allora il Gruppo Alpha – con tutta la segretezza possibile – è stato impiegato in tutte le operazioni belliche che hanno visto coinvolta prima l’Unione Sovietica e poi, dopo la sua dissoluzione, la Russia.

Nel 1983, per esempio, gli uomini dell’Alpha furono chiamati ad assaltare un aereo di linea Aeroflot che a Tblisi era stato sequestrato da un gruppo di militanti georgiani. Nel 1985 questa unità fu inviata a Beirut, in Libano, per mettere in salvo i diplomatici russi rapiti da una fazione islamica locale.

Un’occasione che mise bene in mostra i metodi poco ortodossi con cui agiva: i suoi uomini identificarono i rapitori, ne rapirono i familiari e mandarono pezzi dei loro corpi ai sequestratori, intimandogli di rilasciare i diplomatici. Raggiunsero lo scopo e non ci furono più altri rapimenti di russi.

Una scia di sangue ha sempre accompagnato le loro azioni. Nelle missioni segrete in Cecenia, durante gli anni Novanta e Duemila, il Gruppo ricevette il compito di eliminare i leader dei ribelli locali, e agì con una efficacia e una spietatezza che hanno pochi paragoni.

Una caratteristica che li contraddistinse anche successivamente. Nel 2002 a Mosca e nel 2004 a Beslan toccò al gruppo Alpha intervenire per liberare la moltitudine di ostaggi sequestrati dai ceceni.

La parola d’ordine è sempre stata “nessuna trattativa e nessuna pietà”. Inutile dire che i terroristi furono in entrambi i casi neutralizzati, ma con un costo altissimo in vite umane.

Attualmente gli uomini del Gruppo Alpha fanno parte delle forze speciali impiegate nei teatri in cui la Russia è protagonista, dalla Crimea alla Siria.

Il Gruppo Alpha dipende dall’FSB, il servizio di sicurezza erede diretto del KGB, e si coordina con le altre unità spetsnaz del GRU (il servizio segreto dell’esercito) e dell’MVD (il ministero degli interni).

Questo coordinamento di recente è stato trasformato in un vero comando interforze per unità speciali, il KSO, che seleziona i suoi membri fra i migliori spetsnaz (Mosca ha ammesso la sua esistenza solo nel 2016, in occasione delle operazioni di riconquista della città siriana di Palmira).

Gli spetsnaz a loro volta arruolano gli elementi più promettenti direttamente dalle scuole militari, e poi li sottopongono a prove durissime. Quelli che le superano, vengono dotati di armi e equipaggiamenti sofisticati, che mettono alla prova di continuo, anche sfruttando il proprio impiego senza troppi vincoli in reali teatri di guerra, dal Caucaso al Medio Oriente.

Poche unità speciali al mondo sono così efficaci come questi uomini di acciaio temprati per servire ovunque e comunque gli interessi del Cremlino.

 

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4. KSK (Germania)

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In Germania l’ombra gettata dalle SS durante la Seconda guerra mondiale ha impedito per anni la costituzione di forze speciali, sia per motivi politici sia di immagine.

Fu l’attacco terroristico durante le Olimpiadi di Monaco del 1972 a far rompere gli indugi, ma solo per costituire un reparto di polizia con compiti limitati alla sicurezza e all’antiterrorismo, non a incursioni militari.

Si è dovuto aspettare il 1996 – qualche anno dopo la riunificazione della Germania – perché le Forze armate tedesche potessero ricostituire apertamente unità di commando. E, ancora una volta, a dare la spinta decisiva fu una crisi.

Due anni prima, infatti, era scoppiata la guerra civile in Ruanda e le nazioni occidentali maggiormente esposte avevano inviato i loro reparti meglio addestrati per evacuare i propri cittadini da quel paese diventato troppo violento.

Berlino, però, non aveva uomini adatti alla missione. Così 11 cittadini tedeschi furono messi in salvo dai paracadutisti francesi e belgi. La Germania decise allora di costituire il Kommando Spezialkräfte (KSK).

Il KSK ha compiti di ricognizione, azione dietro le linee nemiche e di attacchi mirati su obiettivi. Tutti impieghi divenuti di routine da quando è scoppiata la guerra al terrorismo internazionale.

Da allora i commando tedeschi del KSK si sono perfettamente integrati nel dispositivo militare internazionale e della NATO, prendendo operativamente parte a tutte le missioni nelle diverse aree di crisi.

Più di cento commando tedeschi hanno partecipato alla caccia ad al-Qaeda in Afghanistan, mentre nei Balcani sono stati messi sulle tracce soprattutto dei criminali di guerra della ex-Jugoslavia.

Sono anche addestrati al salvataggio degli ostaggi in zona di guerra, impresa che è stata una delle loro prime azioni in Kosovo, nel 2001, quando hanno recuperato alcuni operatori dell’organizzazione umanitaria Shelter Now.

Come per tutte le unità speciali, non esistono informazioni ufficiali confermate sul numero di elementi che compongono il KSK, ma sembra che la cifra si aggiri sui mille uomini, di cui 3-400 operatori e il resto per compagnie e plotoni logistici, medici e di supporto.

Essi sarebbero organizzati in 4 compagnie di 5 plotoni composti ciascuno da 4 team di 4 uomini (un capo-team e gli specialisti in comunicazioni, armi ed esplosivi, medicina e intelligence).

Ogni plotone ha una sua caratteristica: il primo è destinato a infiltrazioni via terra, il secondo via aerea (paracadutisti), il terzo per operazioni marine e il quarto è specializzato nel combattimento in montagna o nelle zone artiche.

Per entrare a far parte del reparto bisogna superare una selezione molto severa, seguita da un addestramento durissimo che può andare avanti per più di tre anni, con corsi pratici tenuti in diverse località del mondo.

La pressione è altissima, e per verificare e temprare l’equilibrio mentale e la resistenza allo stress, i soldati affrontano privazione del sonno, alimentazione irregolare, condizioni igieniche precarie e situazioni di minaccia, mantenendo un altissimo livello di efficienza, precisione e tempestiva operatività.

In teoria anche un civile si può candidare a diventare un commando e, dal 2001, come è avvenuto in gran parte delle altre unità mondiali, sono ammesse anche le donne, che però al momento occupano solo posizioni ausiliarie e non operative.

Il motto del KSK è “Facit Omnia Voluntas” (Con la volontà si ottiene tutto). Per quanto l’unità speciale sia recente, i commando del KSK sono considerati tra i più efficienti e i meglio equipaggiati al mondo.

Una parte delle esercitazioni si tiene nel cosiddetto poligono Gebäude 8 che risulta essere tra i più moderni al mondo, con sistemi computerizzati e una simulazione che permette il controllo di muri, porte, finestre, pavimenti e soffitti. In nome della collaborazione internazionale tra reparti d’élite, le porte del poligono sono aperte all’addestramento di operatori provenienti da una sessantina di Paesi alleati.

 

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5. TASK FORCE 45 (Italia)

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Sono i soldati fantasma dell’esercito italiano. Di loro meno si parla e meglio è.

Sono i commando delle Forze Speciali italiane e la loro missione è essere pronti a combattere, in situazioni estreme e per risolvere crisi drammatiche, in tutta segretezza. Come per esempio in un contesto difficile come l’Afghanistan.

Qui il compito è stato affidato in particolare alla Task Force 45, la cui esistenza per lungo tempo non è stata neanche ufficialmente riconosciuta. Le task force sono unità specificamente create per agire sotto l’egida del COFS, il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali.

La TF-45 era inquadrata all’interno dell’Operazione ISAF Sarissa, la missione di peacekeeping in atto in Afghanistan dal 2006, ed era composta da militari provenienti da tutti i reparti delle Forze Speciali italiane (FS – TIER 1) e delle Forze per le Operazioni Speciali (FOS – TIER 2), sotto il comando operativo del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin.

Insieme agli uomini del Col Moschin, raggruppati nel distaccamento operativo Condor, nella TF-45 c’erano gli incursori della Marina (GOI), nel distaccamento Caimano 69, quelli dell’Aviazione (il 17° Stormo) nel distaccamento Icaro 30, i Carabinieri del GIS, i Ranger paracadutisti degli Alpini del Monte Cervino e gli uomini del Reggimento Acquisizione Obiettivi (RAO).

In tutto circa 200 militari d’élite suddivisi nelle Task Unit Alfa e Bravo. Lo scopo principale di queste task force è mettere a punto procedure operative comuni tra quelle che in Italia sono unità speciali separate, in modo da lavorare sul campo all’unisono, come un preciso e perfetto meccanismo sincronizzato.

E la sinergia pare abbia funzionato benissimo, come testimoniano le operazioni portate a termine con successo. Su alcune di esse è trapelata qualche indiscrezione, come nel caso della liberazione delle 18 persone prese in ostaggio, in alcuni edifici vicino all’aeroporto di Herat, da un gruppo di terroristi, nel novembre 2011.

Gli uomini del Comsubin e quelli del GIS, intervenendo insieme, si calarono dai tetti e riuscirono a eliminare i sequestratori armati di AK47 e razzi RPG. Tutti i prigionieri furono salvati, mentre i commando italiani riportarono un solo ferito. Non sempre però il prezzo pagato è stato così irrilevante.

Nel settembre 2010 il tenente Alessandro Romani, del Col Moschin, perse la vita presso Shindad, mentre dava la caccia a una banda di jihadisti che posizionava esplosivi lungo le strade per colpire i soldati del contingente internazionale.

Anche in quel caso la cellula fu smantellata. Non a caso, molti soldati dei reparti speciali italiani hanno collezionato medaglie, alcune delle quali assegnate da governi stranieri, compresi gli Stati Uniti.

Il Generale americano Stanley McChrystal, a capo dell’ISAF tra il 2009 ed il 2010, delle nostre forze speciali ha detto: “Non voglio rivelare dettagli. Posso solo dire che ho potuto osservare il lavoro e la professionalità della Task Force 45 e credo che gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro soldati”.

La Task Force 45 è stata la maggiore unità di forze speciali messa in piedi dall’Italia negli anni recenti, e ha inoltre fornito il modello per replicare una simile organizzazione in altri teatri bellici.

Durante l’Operazione Centuria, nella provincia di al-Anbar, in Iraq, è stata schierata la Task force 44 al fianco dei Marines e di altre forze speciali internazionali. La prima componente della TF-44 è stata quella del Col Moschin, poi sono subentrati elementi delle altre unità del COFS, tra cui certamente gli uomini del Comsubin.

Secondo alcuni analisti, commando italiani sarebbero presenti anche in Libia, ma è difficile dirlo con certezza. D’altro canto sono uomini “invisibili” abituati a operare in clandestinità, per proteggere il nostro Paese e i suoi interessi.

 

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