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Fumare fa male: perché è così difficile smettere?

Che il fumo faccia male è cosa fin troppo nota. Eppure, dicono i dati, i fumatori sono ancora moltissimi. Perché?

La sigaretta è di fatto una droga, capace di creare dipendenza. Ma quali sono i meccanismi alla base del bisogno di fumare?

La sigaretta è a tutt’oggi il sistema più efficace di somministrarsi nicotina. Il piacere indotto da questa sostanza è meno intenso di quello sperimentato con la cocaina e non appare così pericoloso

Ma questa è la trappola che induce molti a sottovalutare la pericolosità del fumo.

La nicotina è capace di attivare diverse funzioni mentali come l’attenzione, la memoria a breve termine, il tono dell’umore, il senso di piacere e di benessere senza però alterarne nessuna in modo vistoso. Il problema è che questa molecola nel lungo termine è dannosa.

La scienza e la medicina non sanno più come dirci che il fumo fa male. Ricerche sempre nuove dimostrano, una dopo l’altra, quanto la sigaretta e i suoi componenti siano dannosi per tutto l’organismo e non soltanto per i polmoni.

Ad aprile, uno studio presentato al meeting annuale delle Pediatric Academic Societies (Usa) ha illustrato per esempio che i bambini cresciuti in famiglie di fumatori hanno un rischio elevato di ricovero ospedaliero.

Sempre quest’anno, uno studio pubblicato da Clinical Science ha mostrato che i fumatori traggono minor beneficio dai broncodilatatori utilizzati per la terapia sintomatica di alcune patologie polmonari: i loro polmoni sarebbero infatti meno capaci di reagire positivamente a questi farmaci.

Secondo un’altra indagine, presentata da David A. Scott della School of Dentistry presso l’Università di Louisville (Usa), il fumo danneggia anche la bocca: il tabacco e gli altri componenti delle sigarette renderebbero più aggressivi i batteri che colonizzano il cavo orale.

E ancora, fumare in gravidanza aumenta il rischio che i figli, da adulti, vadano incontro a schizofrenia: lo afferma l’American Journal of Psychiatry. Perché è così difficile smettere?

Perché piace, dà la sensazione di ridurre l’ansia, acuire la concentrazione e addirittura “migliorare” la propria immagine. In realtà la nicotina è una droga che provoca dipendenza e i fumatori ne sottovalutano la pericolosità.

Lo dicono gli ultimi dati Doxa, secondo i quali in Italia fumano oltre 10 milioni di persone. Ma vediamo meglio perché fumare fa male e perché è così difficile smettere.

1. Tre grandi impedimenti

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Come dicevamo, la nicotina è capace di attivare diverse funzioni mentali come l’attenzione, la memoria a breve termine, il tono dell’umore, il senso di piacere e di benessere senza però alterarne nessuna in modo vistoso.

Il problema è che questa molecola nel lungo termine è dannosa. Inoltre la sigaretta ha anche una valenza sociale: cosa sarebbero le chiacchiere fuori da un locale senza una sigaretta in mano?

L’atto del fumare si è arricchito di attributi simbolici e proiezioni mentali, diventando qualcosa di appagante e trasgressivo. Come se non bastasse, a rendere complesso il problema della dipendenza da fumo c’è anche la cattiva percezione che i fumatori hanno della loro stessa condizione.

In uno studio del 2000, lo psicologo americano Paul Slovic evidenziava tre grandi impedimenti che rendono difficile smettere. Innanzitutto l’eccessivo ottimismo: i fumatori si reputano non a rischio e percepiscono le malattie correlate alla nicotina come qualcosa che toccherà solo gli altri.

In secondo luogo il fumatore tende a ragionare in numero di sigarette: si concentra su quando ha fumato l’ultima, senza considerare la quantità complessiva nell’arco della giornata.

In fine è molto diffusa la convinzione, soprattutto tra i giovani, della relativa facilità con cui si può smettere di fumare. In pratica si sottostima il rischio di dipendenza.

I dati sul numero di fumatori dicono però il contrario. Nonostante i pericoli (si stima che in Italia ogni anno muoiano 83mila persone per patologie correlate al tabagismo), ancora oggi il fumo resta un problema.

Lo ha ricordato anche la Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, in occasione della Giornata mondiale senza tabacco (31 maggio scorso).

A Milano l’associazione ha condotto, con il supporto della Doxa, un’indagine sull’abitudine della sigaretta in città: sotto la Madonnina sono 10,5 le sigarette consumate in media ogni giorno dai fumatori, dato invariato rispetto allo scorso anno.

Anche il numero dei fumatori è rimasto stabile negli ultimi cinque anni: dal 2012 a oggi fuma il 20 per cento circa di chi ha più di 15 anni.

Non vanno meglio i dati nazionali: in Italia fumano 10,9 milioni persone, cioè il 20,8 per cento della popolazione. L’età media dei fumatori oscilla tra i 35 e i 65 anni, con una prevalenza di uomini.

2. Il “ciuccio” degli adulti

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Smettere è difficile anche perché in molti casi fumare è un’esigenza necessaria per gestire una qualche forma di disagio psicologico ed esistenziale.

Con la sigaretta si cerca di placare l’ansia, tollerare le frustrazioni, colmare il vuoto della solitudine, superare la noia, rilassarsi, acuire l’attenzione e la concentrazione, stabilizzare l’umore, procurarsi un piacere generico.

In pratica, la versione adulta del “ciuccio” in bocca del neonato: un piacere solitario che crea consolazione e calma. Molti studi illustrano come questa forma di piacere che deriva dal gusto del tabacco e dalla gestualità del fumare sia strettamente legata alla dipendenza fisica da nicotina.

I meccanismi farmacologici di questa sostanza coinvolgono diversi aspetti del funzionamento cerebrale, per cui è poco produttivo fare una distinzione tra dipendenza fisica e psichica: parliamo infatti di diverse facce della stessa medaglia.

Il tutto poi è complicato dal fatto che in ogni individuo il fumo ricopre una funzione psicologica diversa: compensazione della frustrazione, ricompensa, gratificazione, gestione del nervosismo, momento di relax.

È la storia del ruolo che il piacere ha nella nostra vita e delle tante lacune che può colmare a determinare quale funzione ricopre il fumo. Naturalmente molto dipende anche dall’imprinting, ovvero dalla prima esperienza con la sigaretta.

In genere (circa il 90 per cento dei casi) si viene iniziati al fumo durante l’adolescenza, stagione della vita in cui imparare a fumare, così come a bere, è parte di un rito di passaggio all’età adulta.

Le motivazioni sono legate a questa età: bisogno di emulare i più grandi, di farsi accettare nel gruppo dei pari o di sperimentare una trasgressione. 

L’età media della prima sigaretta, rilevata dalle statistiche, si aggira attorno ai 17 anni, ma non sono rari i casi in cui l’esordio del fumo risale all’epoca della scuola media.

Ma si tratta di una debolezza: i ragazzi che fumano hanno statisticamente un pro lo di fragilità psicologica e familiare più accentuato. Bisognerebbe ricordare che per socializzare sono più efficaci la simpatia, un carattere aperto e positivo, l’avere molti interessi, il saper parlare.

Certamente però durante questa età contano anche altri fattori, nell’approccio al fumo: primi tra tutti la presenza in casa di genitori o fratelli che fumano e l’influenza di pubblicità e media.

I sintomi della Bpco nascondono un’infiammazione cronica dei bronchi e dei bronchioli con tosse e catarro prodotta da un’ostruzione delle vie respiratorie. Smettere di fumare è quindi importante, ma servono anche i farmaci broncodilatatori e antinfiammatori.

Soprattutto occorre far conoscere questa condizione ancora in parte ignorata. Un’indagine Doxa tempo fa aveva rilevato come solo 14 italiani su 100 avevano mai sentito nominare la Bpco.

Del resto, una patologia come questa non colpisce certo solo gli over 60: anche un quarantenne, fumatore da dieci anni e con sintomi di bronchite cronica e difficoltà respiratoria, potrebbe esserne affetto.

Educare i ragazzi e i giovani a stare alla larga dalle sigarette resta quindi l’unica strategia veramente vincente.

3. Il pericolo numero 1

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Di studi allarmanti di questo genere se ne potrebbero citare a centinaia.

Ovviamente però il pericolo numero uno resta il tumore polmonare, con più di 40mila nuove diagnosi l’anno.

Dal fumo dipende l’85 per cento di tutti i casi di questa malattia. Naturalmente il dato cresce con il numero di sigarette fumate e la durata dell’abitudine al fumo. Il tumore al polmone rappresenta il 21 per cento dei decessi per tumore nella popolazione della sola provincia di Milano.

Che il fumo sia la prima causa del tumore polmonare non è soltanto un’evidenza statistica: oggi sappiamo bene come la sigaretta attiva i processi di carcinogenesi, cioè di formazione dei tumori maligni.

Sono state ormai individuate, infatti, alcune delle sostanze contenute nelle sigarette responsabili dell’insorgenza della neoplasia. Alcune agiscono direttamente con lesioni immediate, altre invece hanno un’azione indiretta, producendo lente modificazioni nel corso del tempo a livello dei bronchi.

Certamente non è solo la nicotina l’unico imputato nella causa del cancro al polmone. Questa crea dipendenza, ma non è considerata una sostanza cancerogena come invece i prodotti chimici del catrame come il benzopirene.

Del resto, questi altri composti sono causa anche di altre forme tumorali: al cavo orale, alla faringe e alla laringe, all’esofago e alle vie urinarie. Nelle donne fumatrici è evidente un aumento dell’incidenza del tumore della mammella e del collo dell’utero.

Non si parla mai abbastanza anche delle altre patologie polmonari scatenate dalla sigaretta, che spesso aprono la strada al tumore.

Una di queste è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco): per chi ne è affetto, anche solo salire le scale è uno sforzo enorme, a causa delle modificazioni organiche e biochimiche del polmone.

Attualmente colpisce ben il 7 per cento della popolazione adulta: per questi soggetti la diagnosi precoce rappresenta un fattore chiave. L’80 per cento dei pazienti con Bpco sono o sono stati fumatori.

Purtroppo però chi fuma è abituato ad avere “fiato corto”, tosse e catarro, e così tarda a farsi visitare. Anche perché sa bene che il medico gli suggerirebbe di buttar via le sigarette: una verità che generalmente non vuole sentire.

4. Le sigarette non sono tutte uguali

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Sono diverse le ragioni che ci spingono a togliere dalla tasca il pacchetto e ad accenderci una sigaretta. Ecco quattro tipologie:

  1. Sigaretta necessaria
    È la prima sigaretta appena svegli; ha un valore autocurativo perché serve a ristabilire al più presto le dosi nicotiniche presenti nel flusso ematico e quindi nel cervello così da attenuare i sintomi dell’astinenza provocata dall’interruzione prolungata del fumo durante il sonno.
    Di fronte all’ipotesi di smettere di fumare, questa è la tipologia di sigarette alle quali il fumatore rinuncia più difficilmente.
  2. Sigarette voluttuarie
    Sono spesso associate ai rituali quotidiani: dopo i pasti, con il caffè o nella pausa lavorativa. Vengono fumate con parsimonia e assaporate con piacere.
  3. Sigarette preventive
    Sono le sigarette fumate prima di affrontare ambienti in cui il fumo è vietato, come il ristorante, e che impongono un periodo di astinenza forzata. Il loro scopo è quello di assicurare il necessario rifornimento di nicotina per prevenire sintomi sgradevoli.
  4. Sigarette accessorie
    Sono quelle accese e fumate distrattamente e frettolosamente senza un effettivo desiderio e godimento, associate ad attività ripetitive o noiose.

 

Negli anni il fumo ha cambiato faccia varie volte: sigarette, tabacco rollato a mano, sigari, pipa.

I dati dicono che cresce l’uso delle sigarette fatte a mano: solo a Milano, secondo un’indagine Doxa, pesano per un 13 per cento, sfuggendo così dalle campagne di disincentivazione basate sull’aumento del costo del pacchetto.

Rollare a mano il tabacco può essere visto come segno di appartenenza a un gruppo informale o dalla valenza contestataria, mentre il sigaro o la pipa potrebbero individuare elementi più snob.

Un luogo comune ritiene che il fumo di sigari e pipa sia molto meno dannoso rispetto a quello da sigaretta grazie al diverso tipo di combustione del tabacco.

In uno studio pubblicato dalla rivista Tabaccologia già dieci anni fa si spiegava che questa ipotesi è stata dimostrata solo in parte: «Non esistono prodotti del tabacco “sicuri”. L’uso di tabacco in tutte le sue forme, inclusi sigarette, sigari, pipe e il tabacco masticato, può causare il cancro o altre gravi patologie».

Lo ha confermato nel 2010 anche uno studio su 3.500 adulti condotto da Graham Barr della Columbia University e pubblicato dagli Annals of Internal Medicine: nei fumatori di pipa e sigari lo studioso ha individuato livelli di cotinina, sostanza derivata dalla nicotina, più bassi rispetto a quelli rintracciabili nei fumatori di sigarette ma comunque pericolosi.



5. Smettere è importante, ma è meglio ancora non iniziare da giovani

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  • Smettere è importante, ma è meglio ancora non iniziare da giovani
    La salute del polmone passa dalla prevenzione.
    Secondo l’indagine Doxa pubblicata in occasione della Giornata mondiale contro il fumo, chi tenta di abbandonare il fumo lo fa in genere dopo i 40 anni, anche se almeno nel 30 per cento dei casi non ci riesce perché non ha alcun aiuto.
    I farmaci che aiutano a smettere non sono ancora rimborsati dal nostro Sistema sanitario, nonostante le evidenze cliniche.
    Un miglioramento è arrivato lo scorso 20 maggio con l’entrata in vigore in tutta Europa delle norme dissuasive sull’acquisto e il consumo di prodotti contenenti tabacco e nicotina.
    Non mancano le iniziative delle associazioni: ad esempio Lilt Milano ha dato il via al progetto Agenti 00Sigarette, rivolto ai bambini di quarta elementare.
    Nella maggior parte dei casi, infatti, si comincia a fumare già durante la prima adolescenza, per imitazione. Il bisogno di condividere esperienze è molto forte tra i giovani.
    Gli strumenti per raggiungere questo obiettivo sono diversi: alcuni funzionano, altri sono dannosi. La sigaretta ad esempio non è necessaria per divertirsi e stare bene in un gruppo. Eppure molti ne fanno uso per non sentirsi esclusi.
    Smettere di fumare, anche dopo anni di sigarette, produce benefici immediati e altri più diluiti nel tempo. Già dopo poche ore dall’ultima sigaretta i battiti cardiaci e la temperatura corporea di piedi e mani si normalizzano.
    Dopo 12 ore aumenta la concentrazione di ossigeno nel sangue e il monossido di carbonio nei polmoni cala drasticamente. Una settimana senza fumo permette di riprendere una buona percezione di gusto e olfatto, mentre alito, denti e capelli appaiono più puliti.
    Ci vuole un mese però perché il polmone recuperi fino al 30 per cento della sua funzionalità e tra i tre e i sei mesi senza fumo perché la tosse cronica si riduca e il peso corporeo tenda a normalizzarsi.
    A un anno dall’ultima sigaretta invece il rischio di infarto miocardico si dimezza e comincia a ridursi il rischio di sviluppare un tumore, che si riduce del 50 per cento a 5 anni dalla fine del vizio. Ci vogliono però ben 10 anni perché torni ai valori minimi di probabilità.
  • ECCO I BENEFICI CHE SI OTTENGONO SMETTENDO DI FUMARE:
    - Dopo 20 minuti
    La pressione arteriosa e la frequenza cardiaca tornano nella norma.
    - Dopo 24 ore
    I polmoni cominciano a ripulirsi dal muco e dai depositi lasciati dal fumo.
    - Dopo 2-3 giorni
    L’organismo si libera dalla nicotina e recupera gusto, olfatto ed energia. Si respira meglio.
    - Dopo 2-12 settimane
    La circolazione del sangue migliora.
    - Dopo 3-9 mesi
    Il miglioramento della respirazione si fa più marcato, tosse e sibili diminuiscono.
    - Dopo 1 anno
    Il rischio cardiovascolare si dimezza rispetto a quello di chi continua a fumare.
    - Dopo 10 anni
    Il rischio di tumore al polmone torna pari a quello di chi non ha mai fumato.








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