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Gesuiti, un ordine tra i più tormentati della Chiesa

Sono stati allevatori di pecore e confessori di re.

Hanno spiegato Dio ai popoli primitivi dell’Africa, istruito Voltaire e Alfred Hitchcock, difeso gli emarginati, esaudito e tradito i potenti, sofferto le morti più orribili.

Santi e trasgressori, martiri e congiurati. E ora anche papi.

I gesuiti, per poco meno di cinque secoli, hanno rappresentato l’ala più controversa della Chiesa: quella più autorevole e dinamica, ma anche la più ambigua e invidiata.

Cartografi, musicisti, letterati, scienziati, questa élite di religiosi ha riscritto la storia delle missioni cristiane: mai nessuno, in nome della fede, aveva viaggiato così tanto; mai nessuno, attraverso il Vangelo, era riuscito a incidere così profondamente sulla cultura di popoli e governi.

I gesuiti hanno fatto conoscere il ginseng all’Europa, tracciato la rotta fra Mosca e Pechino, portato il caffè in Venezuela e le leggi di Keplero in India. E, soprattutto, hanno ottenuto centinaia di migliaia di conversioni.

Scrisse dall’India Francesco Saverio, uno dei fondatori della congregazione: “Spesso non sono più in grado di usare le mani, tanta è la fatica che faccio per battezzare nuove anime”.

Papa Francesco è il primo pontefice appartenente alla Compagnia di Gesù. Un successo per un ordine tra i più tormentati della Chiesa.

Nella foto sotto, lo stemma scelto da papa Francesco dopo la sua elezione. Contiene al centro il simbolo con il monogramma IHS (le prime tre lettere di “Gesù” in greco) dei gesuiti.

 

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1. Coraggio e zone d’ombra

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Successi e fallimenti, coraggio, tenerezza, zone d’ombra si alternano nelle vicissitudini dell’ordine.

Solo di recente gli storici hanno cominciato a indagare.

Nel corso dei decenni, per ripicca o perché la realtà era davvero quella, i missionari sono stati accusati dei crimini più antipatici: omicidi, frodi, complotti.

«Senza dubbio» spiega lo studioso inglese Jonathan Wright «qualcuno prendeva i voti non per convinzione spirituale, ma perché essere gesuita era un’attraente prospettiva di carriera. La corruzione dei singoli, però, può offuscare, non condannare l’intera impresa».

Per capire quanto radicato sia il mito antigesuita, basta sfogliare un vocabolario: gesuita è non solo un religioso, ma anche una metafora per una persona ipocrita e dissimulatrice.

Le origini dell’ordine, che quasi subito destò preoccupazioni tra le gerarchie ecclesiastiche, risalgono all’agosto del 1534: in piena Riforma protestante, tra statue di Maria prese d'assalto e una dilagante caccia agli eretici, sette amici si riunirono in una cappella di Parigi per assistere alla messa di Peter Faber, ex pastore di Savoia, e fare voto di povertà.

Come racconteranno più tardi, avevano sentito crescere nel cuore "una forma di devozione portentosa". Il gruppo, guidato dallo spagnolo Ignazio di Loyola (foto in alto a sinistra e sotto), diede la propria disponibilità al pontefice a essere impiegato nella maniera più opportuna, per onorare la gloria di Dio e per il bene delle anime.

Accerchiato dalle minacce protestanti, Alessandro Farnese, papa Paolo III, accettò di buon grado. E nel 1540 riconobbe ufficialmente la Compagnia di Gesù. Tra gli obblighi della bolla istitutrice, c’erano la difesa e la propagazione della fede.

 

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2. Missione globale e bravi educatori

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  • Missione globale
    Alla stabilità della vita monastica tradizionale, la congregazione preferì una strategia più vivace.
    I suoi membri, oltre mille alla scomparsa di Ignazio (1556), si sparsero ai quattro angoli del mondo: dal Congo al Giappone, dal Marocco al Brasile.
    La loro fu una politica missionaria globale e, rispetto alle conoscenze geografiche del tempo e a quanto facevano altri ordini, fu un notevole salto di qualità.
    Molti restarono in Europa e provarono a riguadagnare la fiducia di chi si era convertito al luteranesimo o al calvinismo.
    In Inghilterra, dov’era in vigore una legislazione anticattolica, caddero i primi martiri: Thomas Cottam (foto a sinistra), dopo il noviziato, sbarcò a Dover nel 1580, ma fu subito arrestato.
    Torturato, venne accusato di alto tradimento e impiccato: per evitare che la gente ne raccogliesse le reliquie, i suoi resti furono gettati in acqua bollente.
    Non andò meglio a Robert Southwell, sezionato in quattro ed esibito alle porte di Londra.
    La fine eroica di questi personaggi fu uno spot formidabile per la Compagnia: "Neanche se avessero vissuto altri cent’anni” affermò il contemporaneo Robert Persons, gesuita pure lui "avrebbero potuto dare maggiori benefici alla nostra causa".
    Aggiunse un visitatore a Roma verso la fine del ’500: i gesuiti "sono talmente impazienti di versare il loro sangue per Cristo, che fanno della loro aspirazione l’argomento costante di ogni conversazione".
    Certo, non sempre fu così: molti, potendo scegliere fra un pellegrinaggio in terre esotiche e l'insegnamento, optarono per quest’ultimo.

 

  • Educatori
    Una delle azioni più intense, i gesuiti la svolsero nei loro collegi (tuttora esistenti).
    Qui, fin dal XVI secolo, vennero formati molti dei migliori intellettuali europei e questo aiutò la Compagnia a penetrare le alte sfere.
    La preparazione scientifica e spirituale dei gesuiti ebbe (e continua ad avere) un’importanza cruciale: non a caso, i sette fondatori dell’ordine erano tutti laureati.
    Braccio del papa, legati ai regnanti di Spagna e Portogallo, amici della corona francese e dei duchi di Baviera, i gesuiti monopolizzarono il ruolo di confessori dei principi: ne divennero i consiglieri, suggerirono matrimoni, alleanze, conflitti.
    I più accesi sostenitori della Guerra dei trent'anni (1618-1648), come Ferdinando di Boemia, avevano ricevuto un’educazione gesuitica e gesuiti erano anche coloro che, fino all’ultimo, osteggiarono la pace coi protestanti.
    Essere vicini ai potenti permise di essere più incisivi anche sulle questioni riguardanti i poveri e i popoli emarginati.
    Praticare certi ambienti comportava qualche rischio, ma la maggioranza di noi non era spinta da interessi personali.
    I gesuiti sono sempre stati dove si gioca la vita della gente e la vita della gente si gioca dappertutto.

 

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3. Ponte fra culture

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La grande innovazione della Compagnia fu il metodo missionario.

I membri dell’ordine ebbero la capacità di adattare il messaggio cattolico alle tradizioni indigene, innescando straordinari processi di acculturazione.

Il gesuita Roberto de Nobili, che nel 1606 arrivò a Madurai (India), indossò i costumi del posto, studiò il sanscrito e cambiò nome. Qualche anno prima, in Cina, Matteo Ricci aveva vestito gli abiti confuciani, sfoggiato il codino e conquistato gli intellettuali dell’impero.

In Paraguay, che all’epoca comprendeva anche parte dell’Argentina, del Perù e della Colombia, vennero sperimentate le cosiddette reducciones, villaggi autosufficienti con chiese, officine, mulini, negozi e frutteti, dove gli indios si rifugiavano per scappare dai colonizzatori e dai mercanti di schiavi.

Questo trasformismo fece entrare i missionari nel cuore e nelle menti di tanta gente.

Ma non impedì altrettante morti violente. Come quella di Roch Gonzalez (foto in alto a sinistra), ucciso nel 1628 lungo il Rio de la Piata da uno sciamano, spaventato dal consenso raccolto dal gesuita.

O quella di Gabriel Lalemant, missionario in Nuova Francia (Canada), al quale i nativi cavarono gli occhi e li sostituirono con pezzi di carbone ardente (1649). La popolarità dei gesuiti cresceva e, paradossalmente, cresceva anche il pericolo di collassare.

I critici della Compagnia asserivano che i gesuiti erano degli opportunisti e che i loro atteggiamenti avevano prodotto due tipi di eccessi.

Da un lato si erano troppo accostati alle popolazioni indigene, tollerando distorsioni della religione cattolica; dall'altro, si erano messi alla mercé delle grandi potenze e avevano accettato l’idea che niente fosse più convincente di una spada. La contiguità con il potere aveva suscitato gelosie e rivalità.

 

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4. Caduta e rinascita

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I gesuiti nei secoli furono incolpati di aver fomentato il massacro degli ugonotti nella Notte di San Bartolomeo (1572); di aver organizzato la congiura per eliminare Giacomo I d’Inghilterra (1606); di aver sparato a re Giuseppe di Portogallo (1758).

Nel loro mirino ci sarebbero stati il Re Sole, Elisabetta I d’Inghilterra, Guglielmo d’Orange, Abraham Lincoln.

Avrebbero custodito tesori immensi e praticato la magia nera, corrotto e sottratto fondi agli Stati. Spesso erano voli di fantasia. Ma qualche volta no.

Nel 1759, l’ordine fu bandito dal Portogallo e molti adepti furono arrestati; poi toccò alla Francia. Nel 1773, "per il bene (della pace cristiana" e sotto le spinte illuministiche, un’epistola di papa Clemente XIV sciolse la congregazione e il padre generale, Lorenzo Ricci, fu messo in cella. Prima di morire, rigettò tutte le imputazioni.

I gesuiti, grazie a Caterina II (poco incline a eseguire gli ordini del pontefice), sopravvissero in Russia. L’oblio durò fino al 1814, quando Pio VII (foto in alto a sinistra) decise di riammettere la Compagnia.

Con i gesuiti, si rifecero vivi nemici vecchi e nuovi. L’ex presidente Usa John Adams scrisse: "Ci sarà da meravigliarsi se il loro ritorno non metterà a dura prova la purezza del nostro sistema elettorale".

Fu un timore infondato. Oggi, forti di 50 santi e 150 beati, le missioni gesuitiche sono nelle aree più povere del mondo. I membri della Compagnia sono circa 20mila (la metà rispetto al 1950). E continuano a scrivere la Storia.

Negli ultimi trent'anni i gesuiti uccisi sono stati più di 20. Molti di loro avevano denunciato gli abusi del governo salvadoregno: i loro cervelli, per punizione, furono tolti dal cranio con un cucchiaio.

L’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, a primo pontefice della Compagnia, onora anche loro.

 

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5. Matteo Ricci, gesuita-mandarino

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Esportò il cristianesimo in Cina e importò Confucio in Europa.

Il gesuita Matteo Ricci, nato a Macerata nel 1552, si unì alle missioni dei portoghesi, allora padroni della via delle Indie Orientali.

Approdato a Macao insieme a un confratello italiano, Michele Ruggieri, non tornò mai in patria: si integrò perfettamente e nel 1601 si presentò alla corte dei Ming.

Vestiva come uno studente confuciano ed era esperto di letteratura cinese classica. Tradusse i trattati di geometria euclidea (sconosciuta in Cina) in mandarino e quelli di Confucio in latino.

Ricci adoperò tutto il suo talento per corteggiare le élite intellettuali e politiche dell'impero, impressionando i suoi ospiti con le più recenti nozioni matematiche, scientifiche e geografiche (realizzò diversi planisferi), cercando di fondere cultura cristiana e orientale.

Gli sforzi furono premiati da 2 mila convertiti su 200 milioni di abitanti e da una condanna da parte della Chiesa. Ricci tollerava che i convertiti praticassero i "riti cinesi", cioè il culto degli antenati e di Confucio.

A Roma non la presero bene: la controversia prosegui dopo la morte di Matteo (1610) e durò fino al 1939, quando i riti cinesi furono riammessi dalla Chiesa.

Nella foto sotto, il martirio nipponico. Ventisei martiri del Giappone, missionari vittime degli shogun a Nagasaki, nel 1597. Tre di loro erano gesuiti (giapponesi), gli altri francescani.

 

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