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Gli animali che hanno aiutato l’uomo, scrivendo la Storia

Undici milioni di equini, 100mila cani, 200mila piccioni furono reclutati per “combattere” al servizio degli eserciti dislocati sui fronti della I Guerra Mondiale.

Molti di più furono gli “animali soldato” della II Guerra Mondiale: 250mila cani e milioni di cavalli (solo 6 milioni furono quelli utilizzati da Unione Sovietica e Germania da sole).

Nessuno ha mai provato a calcolare il numero complessivo di animali (elefanti, muli, cavalli, topi, piccioni viaggiatori, canarini, cani, gatti, polli, scimmie, delfini, otarie, cammelli…) utilizzati in guerra dall’antichità ai giorni nostri: un simile conteggio è impossibile perché vertiginoso. Sono milioni di milioni…

Sfruttati sino alla morte o coccolati dai soldati come antidoto alla disperazione, gli animali hanno sempre diviso i nostri inferni, eppure di loro non ci ricordiamo mai.

Il primo monumento tutto dedicato a loro è stato eretto a Londra nel 2004 (a Brook Gate, su Park Lane) ed è rimasto pressoché l’unico. Figli di un dio minore, gli animali hanno combattuto al nostro fianco senza poter scegliere, e al nostro fianco sono morti senza poter capire.

Un orrore nell’orrore della guerra? Ecco gli animali che hanno aiutato l’uomo, scrivendo la Storia!

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1. I cavalli servono l’uomo da 5.500 anni

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Dagli albori della storia sino alla Seconda guerra mondiale, il cavallo ha sempre seguito l’uomo nei suoi combattimenti.
La prima grande battaglia fu combattuta a Qadesh, tra il 1273 e il 1275 a.C., dalle due superpotenze dell’epoca: gli Egizi di Ramses II e gli Ittiti di re Muwatalli, in lotta per il controllo di un’area strategica corrispondente alla Siria attuale.
Questa battaglia fu un durissimo scontro di carri da guerra: trainati da un cavallo, condotti da un auriga e dotati di almeno un soldato con arco e lancia, questi carri si scontrarono in temibili formazioni serrate, lanciate alla massima velocità.
Fu solo dopo il X secolo a.C. che la guerra cambiò volto, acquisendone uno più familiare: i carri scomparvero e il combattimento si scatenò tra soldati appiedati (fanteria) o in sella a un cavallo (cavalleria).

Nell’antichità greca e romana, i cavalli continuano a combattere, ma fu solo nel Medioevo che divennero i protagonisti assoluti delle guerre d’Oriente e d’Occidente: il combattimento si trasformò nello scontro di cavalieri in armatura, dotati di lance, spadoni, mazze ferrate o asce.
Risale a questo periodo la distinzione dei cavalli in “destrieri”, animali da battaglia, forti, affidabili e di gran mole, “corsieri”, agili e veloci, adatti ai tornei, “palafreni”, comodi quattrozampe da viaggio, “ronzini” da soma, forti e resistenti, e “cortaldi”, adatti al trasporto di armi.
Anche in Oriente, guerre e battaglie si vincevano o perdevano in sella. Il condottiero mongolo Gengis Khan (1162-1227), visse a cavallo, conquistò mezzo mondo con un esercito composto unicamente da cavalieri (senza fanti) e morì cadendo da cavallo.
Nella foto sotto, il cavallo della grotta di Lascaux, vicino a Montignac, nella Francia sud-occidentale; pittura su roccia; ca. 20.000 anni fa.

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L’avvento delle armi da fuoco in età moderna cambiò ma non sminuì il ruolo militare degli equini.
Abbandonate cotte d’acciaio e pesanti armature, i cavalieri si trasformarono in “cavalleggeri”, protagonisti di epiche cariche, come quella dei 600, nella battaglia di Balaclava (1854), o quelle del colonnello George Armstrong Custer, ufficiale dell’Esercito degli Stati Uniti e comandante della cavalleria durante la guerra di Secessione e le guerre contro Sioux e Cheyenne.

Il ruolo dei cavalli rimase importante durante la Prima guerra mondiale in cui furono utilizzati come mezzi di trasporto: ogni cavallo portava in media 127 kg.
Non sorprende scoprire che nel 1918, alla fine della guerra, si contarono ben 8 milioni di vittime equine.
Quanto alla Seconda guerra mondiale, non è vero che fu combattuta solo da bombardieri, sommergibili e carri armati: almeno sette milioni di cavalli furono usati nella logistica e nelle retrovie. Nel 1940, l’Esercito degli Stati Uniti, il più meccanizzato di tutti, manteneva due intere divisioni di cavalleria, due reggimenti di artiglieria a cavallo, due reggimenti destinati al trasporto con carri trainati da cavalli, e solo quell’anno utilizzò 16.800 cavalli e 3.500 muli.
Nella foto sotto, il 4° Reggimento carabinieri a cavallo. Raccoglie e continua la gloriosa tradizione della Cavalleria italiana ed è l’ultimo reggimento a cavallo sopravvissuto.

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2. I cani arruolati ancora oggi

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Secondo alcuni storici il loro impiego sarebbe iniziato nel vicino Oriente più di 4mila anni fa; di certo, parteciparono all’invasione dell’antico Egitto, condotta dalle truppe degli Hyksos nel XVIII secolo a.C.
Nei tempi antichi, Babilonesi, Assiri, Egizi, Persiani, Greci, Romani, Galli, Celti, Cimbri, Teutoni e Unni utilizzarono sistematicamente i cani sui campi di battaglia.

I Celti selezionarono alcune razze da guerra di grosse dimensioni e li addestrarono a mordere le froge dei cavalli; Sucellos, una delle divinità dei Galli, era ritratto sempre in compagnia di un cagnone feroce e Bituito, il re degli Arverni (un’agguerrita e numerosa popolazione della Gallia) si presentava sul campo di battaglia con la sua personale muta di cani, come faranno gli Ard Rì, i re irlandesi del IX secolo d.C.
I Romani utilizzarono diverse razze di molossi per dare la caccia ai prigionieri fuggitivi, individuare le bande di ribelli, portare ordini, accompagnare le avanguardie dell’esercito durante le esplorazioni, fare la guardia al castrum (l’accampamento militare) e combattere sul campo.
Per quest’ultima funzione i Romani selezionarono una razza di giganteschi molossi di 140 kg: i canes pugnaces, progenitori dell’odierno mastino napoletano, venivano liberati tra le fila dei nemici, rivestiti di un’armatura irta di punte acuminate, in modo da terrorizzare e ferire la fanteria avversaria.

Nell’Ottocento gli americani allevarono una razza di segugi per combattere le tribù di indiani Cherokee e Seminole; nella Prima guerra mondiale, circa 100mila cani, tra cui pastori tedeschi e dobermann, vennero impiegati dagli eserciti come sentinelle delle trincee e messaggeri.
Nella Seconda guerra mondiale 250mila quattrozampe furono addetti ai servizi di guardia, messaggeria, esplorazione e soccorso; furono paracadutati dagli Alleati (parapups), insieme alle truppe aviotrasportate.
I Malinois (pastori belgi) hanno combattuto in Corea e Vietnam e continuano oggi a “lavorare” in Afghanistan e Iraq, svolgendo mansioni di guardia, pattugliamento, assalto e ricerca di bombe.

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3. Elefanti, carri armati dell’antichità

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Sin dai tempi remoti gli elefanti sono stati utilizzati come macchine da guerra, lanciate in micidiali cariche a oltre 30 km/h in modo da sfondare le prime linee degli avversari.
I primi a impiegarli per scopi militari furono gli Indù attorno al 1.100 a.C. e, molto più tardi, i Persiani che li schierarono nella celebre battaglia di Gaugamela contro l’esercito di Alessandro Magno, nel 331 a.C.

I legionari dell’antica Roma se li trovarono davanti per la prima volta nella battaglia di Eraclea, combattuta nel 280 a.C. contro una coalizione greca guidata da Pirro, re dell’Epiro. Non è difficile immaginare la reazione di panico che dovettero suscitare i 20 rumorosi elefanti da guerra di Pirro.
I Romani persero la battaglia e ricordarono per sempre quegli animali sconosciuti, battezzati “buoi lucani” perché ritenuti dei giganteschi ed esotici bovini. Se li trovarono davanti di nuovo al tempo delle guerre contro i Cartaginesi.
Annibale, com’è noto, varcò le Alpi nel 218 a.C. con 37 elefanti da guerra (immagine sotto); molti morirono di freddo, ma alcuni, tra cui Surus (“Il Siriano”, l’elefante che portò Annibale in groppa sino al Trasimeno) sopravvissero e furono schierati in battaglia corazzati, muniti di torretta (howdah) in cui si nascondevano 2 arcieri e un lanciere armato di sarissa (una lancia di 6 m).
L’uso degli elefanti continuò anche nel Medioevo: Carlomagno utilizzò il suo elefante Abul-Abbas nella battaglia contro i Danesi nell’804 d.C.; nel 1398, Tamerlano sconfisse l’esercito indiano in battaglia, neutralizzando la carica degli elefanti grazie ai cammelli.

Con l’avvento della polvere pirica e dell’artiglieria pesante, tra XV e XVI secolo, le cariche degli elefanti divennero antiquate: una palla di cannone bastava a fermarli.
Tuttavia, ancora durante la Prima guerra mondiale, questi animali furono impiegati per trasportare munizioni, cannoni e carichi pesanti.

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4. I muli più pesanti erano usati per il trasporto d’armi

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Umile e inelegante, ma più abile del cavallo a inerpicarsi in montagna, il mulo fu “costretto” al servizio militare in tutta Europa fin dal Settecento.
Nel 1872 divenne il “compagno d’arme” dei nostri Alpini: sin dalla nascita del Corpo ogni compagnia ebbe almeno un mulo e una carretta per il trasporto di rifornimenti e munizioni.
Gli 88 battaglioni e i 66 gruppi di artiglieria schierati nella Grande Guerra dal passo dello Stelvio all’Isonzo erano tutti dotati di muli, essenziali per trasportare non solo obici, esplosivi, casse di granate e viveri, ma anche cappellani militari, posta e feriti.
All’epoca c’erano tre diversi muli da soma: quelli di prima classe, forti, grossi, più pesanti di 460 kg, venivano usati per il trasporto d’armi (ci volevano 3 muli per ogni cannone trasportato: un esemplare per la canna, uno per l’affusto e un terzo per le munizioni) mentre quelli di seconda e terza classe, più esili (sotto i 400 kg di peso), trasportavano le salmerie.

Nella II Guerra mondiale 520mila muli affrontarono la prima linea per aiutare 5 divisioni alpine: Julia, Tridentina, Taurinense, Cuneense e Pusteria.
A testimonianza del rapporto tra uomini e animali, restano sulle Alpi le commoventi lapidi.
Da poco la “convivenza” è finita: nel 1990 le brigate Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina disponevano ancora di 700 muli; fu nel 1991, per ragioni economiche, che l’Alto comando militare decise di farne a meno.
Nella foto sotto, un alpino e il suo mulo, gravato da un carico d’artiglieria, s’inerpicano lungo una mulattiera sulle Alpi.

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5. Delfini incursori, topi antimine e i canarini antigas

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Durante la Guerra fredda più di mille tra delfini, beluga, orche e globicefali furono utilizzati dalle marine militari degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica e forse d’Israele come incursori, sminatori, sentinelle e kamikaze in missioni top secret di attacco o sabotaggio.
Gli Usa dai tempi della Guerra del Vietnam hanno addestrato i delfini a distinguere il rumore dei sottomarini, a individuare missili dispersi sui fondali, ad attaccare cariche esplosive sotto le navi.
Il loro uso è proseguito anche nella I Guerra del golfo, nel 1990-91, e nella Guerra d’Iraq; nel 2003 un plotone di delfini fu sguinzagliato dagli americani nelle acque antistanti il porto iracheno di Umm Qasr, nel golfo Persico, per bonificarlo dalle mine; nello stesso anno, 20 otarie, addestrate nella base militare di San Diego, furono dislocate al largo del Bahrein con la V Flotta degli Usa.
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Sulla terraferma a individuare mine anti-uomo e anti-carro non “lavorano” solo i cani, ma anche i topi.
I roditori hanno un olfatto molto sensibile e sono capaci d’individuare mine ed esplosivi; inoltre, essendo piccoli e leggeri, possono calpestare i terreni minati senza innescare esplosioni.
I primi a impiegarli sono stati i belgi dell’Apopo, una Organizzazione non governativa che opera in Africa. L’addestramento ha coinvolto i ratti giganti africani che nel 2004 hanno bonificato una linea ferroviaria in Mozambico.
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Più o meno fino alla fine degli anni 80 i minatori delle miniere di carbone solevano portare con sé, al lavoro, dei canarini in gabbia, non per compagnia e neppure per essere allietati dal loro canto, ma per una ragione ben più triste: avendo un sistema respiratorio minuscolo e delicato, questi uccellini smettevano di cantare e morivano alle prime esalazioni di monossido di carbonio o di altri gas pericolosi.
In tempi in cui la sicurezza sul lavoro non era un diritto sancito, i canarini fornivano ai minatori un rudimentale sistema di allarme.

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