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Gli animali sono più altruisti di noi

Possono gli animali essere generosi verso il loro prossimo?

Già Charles Darwin, padre dell’evoluzionismo, aveva osservato esemplari compiere azioni svantaggiose per sé ma favorevoli ad altri.

E’ stato dimostrato da diversi studi che il successo di una specie, e forse anche della vita stessa, dipende proprio da azioni di generosità e collaborazione: «L’egoismo batte l’altruismo all’interno di un singolo gruppo. Ma i gruppi altruisti alla fine battono i gruppi egoisti».

Gli scimpanzé condividono il cibo con i membri del branco: non solo con le femmine o i cuccioli, ma anche con semplici amici.

Per non parlare delle megattere, che si schierano negli oceani come soldati e danno battaglia alle orche per difendere i piccoli. Pure se sono di altre specie.

Ma è vero, allora, che gli animali sono più altruisti di noi? Scopriamolo insieme.

 

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1. La generosità degli animali

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Possono gli animali essere generosi verso il loro prossimo?

Già Charles Darwin, padre dell’evoluzionismo, aveva osservato esemplari compiere azioni svantaggiose per sé ma favorevoli ad altri.

Ma più di recente l’americano David Wilson, autore di Altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri, spiega che il successo di una specie, e forse anche della vita stessa, dipende proprio da azioni di generosità e collaborazione: «L’egoismo batte l’altruismo all’interno di un singolo gruppo. Ma i gruppi altruisti alla fine battono i gruppi egoisti».

Qualche mese fa il dibattito è tornato alla ribalta grazie agli scimpanzé del Tai National Park, in Costa d’Avorio: i ricercatori del Max Planck Institute for evolutionary antropology di Lipsia (Germania) hanno scoperto che alcuni esemplari condividono il cibo con altri.

Si tratta di un comportamento piuttosto raro tra gli animali: si presenta soprattutto all’interno dei gruppi familiari, quando, ad esempio, i genitori devono nutrire la prole; tra soggetti non imparentati, invece, è stato osservato soprattutto tra scimpanzé e bonobo.

A volte i maschi donano cibo alle femmine nella speranza di aumentare le loro chance di accoppiamento, altre volte i soggetti più deboli sono costretti a dare il proprio pasto a individui più prepotenti, mentre in altre situazioni ancora, i partecipanti alla medesima battuta di caccia si spartiscono il bottino in ricompensa alla cooperazione e per rafforzare le alleanze nel gruppo.

Nel caso dello studio tedesco, pubblicato lo scorso ottobre su Proceedings of the Royal Society B Publishing, è stato invece messo in luce che la condivisione del cibo tra membri di uno stesso gruppo può avvenire anche solo tra chi è semplicemente amico.

Le analisi effettuate sulle urine degli scimpanzé che condividono il cibo hanno riscontrato livelli più alti di ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore”, che ha un ruolo fondamentale nel promuovere la coesione sociale ed è noto per essere abbondante nelle neomamme che allattano (per rafforzare il legame con il piccolo) e nelle coppie di innamorati.

Per i ricercatori di Lipsia ciò fornirebbe un’ulteriore prova del ruolo chiave giocato da questo ormone nell’evoluzione di comportamenti altruistici tra i primati e anche nella nostra specie.

 

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2. La compassione delle formiche

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Un altro interessante caso è quello delle formiche africane Matabele (Megaponera analis), oggetto di uno studio della University of Würzburg (Germania) pubblicato su Science Advances nell’aprile 2017.

La ricerca ha messo in luce la capacità di queste formiche di prestare cure ai compagni feriti, comportamento mai osservato prima tra gli animali.

Diversi video, addirittura in circolazione sui social, ritraggono questi piccoli insetti intenti a soccorrere le consimili ferite dopo un assalto alle termiti, loro acerrime nemiche.

Non solo: gli esemplari colpiti vengono riportati nel formicaio dove le loro ferite sono a lungo leccate con una saliva verosimilmente intrisa di un potente battericida, capace di prevenire le infezioni.

«In mancanza di queste cure la mortalità delle formiche ferite salirebbe dal 10 all’80 per cento nell’arco di 24 ore», sottolineano gli studiosi.

 

3. Cara zietta

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Tra gli animali, comunque, vi sono molti altri casi di altruismo.

Oggi gli studiosi del comportamento animale chiamano helper, aiutanti, gli animali che mettono in atto comportamenti di sostegno, mentre un tempo, come raccontava Danilo Mainardi, che fu illustre accademico in ambito etologico e tra i maggiori divulgatori dei segreti del regno animale del nostro Paese, gli esemplari che prestano cure alla prole altrui erano chiamati auntie, dall’inglese “ziette” o anche “zitelle”.

In molti casi, infatti, si tratta in effetti di parenti stretti della coppia di genitori che per qualche ragione non hanno figliato.

Per Mainardi, tra i migliori praticanti di queste “cure alloparentali” (così chiamate perché sono praticate da individui diversi dai genitori, parents), vi sarebbero le ghiandaie della Florida (Aphelocoma coerulescens), piccoli corvi dalle piume azzurre, tra cui quasi la metà delle coppie nidificanti è aiutata da helper (addirittura sino a 8 per nido e nel 90 per cento dei casi imparentate con almeno uno dei genitori).

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Le ghiandaie “zie” si adoperano a nutrire i nidiacei e a difendere il territorio dai predatori. Secondo gli esperti, tale comportamento sarebbe la conseguenza del risiedere in un territorio sovraffollato.

E' stato osservato infatti che le ghiandaie residenti in altre zone del Nordamerica, dove non c’è competizione per lo spazio e per il cibo, non mostrano lo stesso comportamento altruistico.

Ci sono altre specie in cui esistono “zii” disposti a fare da babysitter ai piccoli?

Sì, per esempio tra le elefantesse (Loxodonta africana), la collaborazione delle zie nell’accudimento dei piccoli nati da sorelle o nipoti è esemplare.

Lo stesso dicasi per le leonesse del medesimo branco, gli scimpanzé e i bonobo, ma pure per le orche e i lupi.

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4. Quando i lupi sono d’aiuto

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A volte gli animali si aiutano anche se non sono della stessa specie.

È un fenomeno raro, che spesso sottintende una cooperazione finalizzata a migliorare la difesa del territorio o l’approvvigionamento di cibo.

Un esempio che ben riassume entrambi questi scopi viene riportato da uno studio pubblicato nel 2015 sul Journal of Mammology da ricercatori statunitensi del Dartmouth College del New Hampshire.

I protagonisti di questa insolita alleanza sono il babbuino (Theropithecus geleda) e il lupo del Semien (Canis simensis), specie che condividono il territorio nell’Altopiano di Guassa, in Etiopia, e che di solito stanno a debita distanza perché l’una è predatore e l’altra preda.

Vedere il lupo gironzolare indisturbato in mezzo a un branco di babbuini e spingersi a pochi centimetri dai cuccioli senza essere scacciato dagli adulti e senza attaccare le piccole prede ha incuriosito i primatologi statunitensi.

Le indagini hanno rivelato che i lupi sfruttano la presenza dei babbuini per riuscire a cacciare i piccoli roditori che spesso passeggiano tra i primati con maggiore successo (67 per cento di catture contro il 25 per cento quando cacciano da soli).

Viceversa i babbuini si avvantaggiano dei lupi perché fiutano ben più efficacemente di loro la presenza di grossi predatori, ai quali sarebbero inevitabilmente esposti.

Un’alleanza, questa, che per alcuni esperti ricorda gli albori di quella che si sviluppò tra uomo e cane oltre 15mila anni fa.

 

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5. Quando scendono in campo le megattere

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Uno dei comportamenti di altruismo più misteriorsi è quello messo in atto dalle megattere (Megaptera novaeangliae), che sono state avvistate mentre prestavano soccorso non solo ai propri consimili, ma anche a esemplari di altre specie.

Così, ad esempio, i ricercatori del California Killer Whale Projects, dopo aver osservato un branco di orche aggredire una balena grigia con il suo piccolo, hanno assistito al soccorso di ben 14 megattere giunte sul posto per difendere per oltre sei ore e mezzo il corpo esanime del piccolo, impedendo alle orche di divorarlo.

Un episodio tutt’altro che isolato secondo quanto si afferma nello studio pubblicato nel 2016 su Marine Mammal Science che oltre a riferire ben 115 casi di interazioni simili tra megattere e orche, riporta anche interventi di altri cetacei come delfini e focene, veri paladini del mare, più volte soccorritori anche dell’uomo.

 

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