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I ribelli che hanno cambiato la storia

La Storia è punteggiata di rivolte: momenti in cui una singola persona o un gruppo di uomini e donne, stanchi di sopportare ingiustizie e angherie da parte di altri uomini, si riappropriano della dignità smarrita e lottano per i propri diritti.

Si può lottare per la libertà individuale, per quella politica o religiosa; si lotta per i propri ideali, per avere un futuro migliore, per poter continuare a vivere.

In certe situazioni le rivolte hanno avuto successo e si sono trasformate in svolte per un’intera nazione o addirittura per il mondo intero; altre volte invece sono abortite o sono state stroncate da un potere troppo forte.

Sempre però hanno testimoniato la forza indomita dello spirito umano.

Da Spartaco a Che Guevara, da Braveheart a Martin Lutero, da Rosa Parks agli atleti olimpici Tommie Smith e John Carlos: sono gli eroi che hanno rifiutato di rinunciare ai loro ideali e, a costo della vita, si sono battuti per i diritti di tutti.

1. Spartaco e Braveheart

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  • Spartaco, un gladiatore contro Roma
    Spartaco era un nobile nato in Tracia (l’odierna Bulgaria e una parte della Grecia settentrionale) intorno al 110 a.C.: il suo soprannome derivava da “Sparadakos” (famoso per la sua lancia).
    Alleato di Roma, combatté in Macedonia, ma la disciplina romana era insopportabile: così scappò perdendo ogni diritto.
    Catturato e ridotto in schiavitù, fu quindi venduto a Lentulo Batiato, il lanista (proprietario della palestra di gladiatori) di Capua.
    Ma anche qui le ingiustizie erano così grandi che Spartaco, con poche decine di gladiatori, nel 73 a.C. si ribellò e fuggì verso il Vesuvio.
    Le poche, raccogliticce truppe mandate a riprenderlo furono massacrate.
    La notizia fece accorrere un gran numero di schiavi fuggitivi e Roma inviò contro di lui una seconda legione di circa 3mila uomini, poi un esercito di ausiliari e altri ancora: tutti vennero spazzati via.
    Solo nel 71 a.C. il proconsole Marco Licinio Crasso lo sconfisse a Petelia, vicino a Crotone. Il corpo di Spartaco però non fu mai ritrovato lasciando credere a tutti che lui si fosse salvato.
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  • Braveheart, morì per una Scozia libera
    William Wallace era un cavaliere scozzese nato nel 1270.
    Secondo il suo biografo Harry il Cieco, conosceva il francese e il latino grazie all’educazione impartitagli da due zii sacerdoti.
    Nel 1296 il re inglese Edoardo I conquistò la Scozia, suscitando un fortissimo risentimento nella popolazione. Anche Wallace, il cui padre era stato ucciso dagli inglesi nel 1291, condivideva questi sentimenti.
    Secondo la leggenda, ciò che fece scattare la sua ribellione fu una banale lite per del pesce. Wallace si alleò a Andrew de Moray, un altro nobile ribelle, e dopo qualche scaramuccia affrontò le truppe inglesi a Stirling nel 1297.
    Queste contavano 3mila cavalieri e 10mila fanti, il triplo degli scozzesi, ma a un certo punto dovettero passare, tre alla volta, su uno stretto ponte: all’altro capo li aspettavano Wallace e i suoi, che riuscirono così a massacrarli.
    Dopo questa vittoria Wallace fu fatto cavaliere, ma venne sconfitto un anno dopo nella battaglia di Falkirk. Riuscì a salvarsi e restare vivo fino al 1305, quando venne catturato e giustiziato.
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2. Martin Lutero e Masaniello

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  • Martin Lutero, contestò la Chiesa cattolica
    La Germania dei primi anni del Cinquecento era attraversata da fortissime tensioni sociali e politiche, che la corrotta Chiesa cattolica non riusciva più a contenere.
    Lutero nacque nel 1483 a Eisleben, un paese della Sassonia a circa 170 km da Berlino, da una famiglia modesta.
    Divenne monaco agostiniano nel 1505 e già nel 1508 era docente all’università di Wittemberg.
    Tormentato dalla convinzione che nessuno potesse guadagnarsi la salvezza eterna, cambiò successivamente orientamento considerando che Dio amava e salvava chi “viveva di fede”.
    Così nel 1517 scrisse il testo delle 95 tesi in cui si contestava il potere papale ed ebbe un successo clamoroso grazie alla stampa.
    Nel 1521 fu scomunicato da Papa Leone X, tuttavia ottenne un’udienza con il giovane imperatore Carlo V (21 anni).
    Lutero comparve davanti al sovrano il 17 aprile e prima di pronunciarsi definitivamente chiese un giorno in più per pregare. L’indomani confermò la sua ribellione in nome della coscienza.
    Carlo per mantenere la parola data lo lasciò andare: Lutero quindi poté fuggire e iniziare a tradurre in tedesco il Vangelo.
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  • Masaniello, liberò i napoletani dall’odiosa tassa sulla frutta
    Nel Seicento Napoli con i suoi 250mila abitanti era una delle città più popolose d’Europa: i napoletani, però, vivevano per lo più ai margini del circuito economico generato dagli occupanti spagnoli, tanto che alcuni storici considerano l’attuale capoluogo campano come la prima favelas della storia.
    Tommaso Aniello, più noto come Masaniello, vi nacque nel 1620 da una famiglia di pescatori.
    Pur seguendo le orme del padre, divenne anche contrabbandiere. La pressione fiscale dei governatori spagnoli cresceva costantemente perché la Spagna era
    impegnata in guerre continue.
    La plebe soffrì particolarmente la tassa sulla frutta introdotta nel 1646: così tra il 6 e il 7 luglio 1647 una serie di scontri innescarono la ribellione.
    Masaniello e alcuni compagni, al grido di «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno» guidarono la folla alla reggia, dove sbaragliarono le guardie e ottennero la rimozione delle gabelle più odiate.
    Ai presunti responsabili delle tasse vennero bruciate le case così come tutti i registri delle imposte, mentre chi era in carcere per evasione o contrabbando fu liberato.
    Nel giro di pochissimi giorni, tuttavia, Masaniello perse l’appoggio popolare per i suoi comportamenti irrazionali (forse indotti da droghe che i suoi nemici riuscirono a fargli assumere): il 16 luglio, braccato dalla folla, si rifugiò nel convento del Carmine, dove venne raggiunto e ucciso da un piccolo gruppo di nobili.
    Nel giro di pochi giorni le gabelle tornarono ai livelli precedenti la rivolta.
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3. USA, i Padri fondatori e Rosa Parks

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  • USA: I Padri fondatori, dichiararono l’indipendenza
    Dopo la guerra dei Sette anni (1763) gli abitanti delle colonie inglesi in Nord America si sentivano traditi dalla madrepatria.
    Dovevano pagare tasse sempre più salate, non potevano espandersi ai danni delle ex colonie francesi né fare nulla legalmente perché non avevano rappresentanti nel Parlamento a Londra.
    La ribellione, dopo i primi scontri nel 1773, prese forma nel 1776 quando i rappresentanti delle colonie sottoscrissero la Dichiarazione di Indipendenza.
    Il testo fu scritto da Thomas Jefferson, che tradusse per la prima volta nella storia gli ideali che esprimevano la ribellione contro il potere regio tradizionale:
    «Noi riteniamo che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla».
    La Dichiarazione di indipendenza fu firmata il 4 luglio 1776, ancor oggi festa nazionale degli USA.
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  • Rosa Parks, rifiutò di cedere il suo posto
    Rosa Parks, nata nel 1913, era una semplice sarta di colore di Montgomery, Alabama. Il 1° dicembre 1955 prese il solito autobus per tornare a casa.
    Si sedette nell’ultimo posto libero dietro alla fila riservata ai bianchi. Dopo tre fermate, l’autista le chiese di alzarsi e spostarsi in fondo per cedere il posto ad un passeggero bianco, salito dopo di lei.
    All’epoca era una prassi normale che i bianchi avessero questi diritti sui neri, ma Rosa, che era iscritta a una società per la difesa dei diritti dei neri, si ribellò e rifiutò di lasciare il posto. L’autista allora chiamò due poliziotti che l’arrestarono.
    Si alzò un’ondata di proteste: i mezzi pubblici di Montgomery, usati dai neri, subirono un boicottaggio che durò oltre un anno, fin quando il caso Parks non arrivò davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti che all’unanimità dichiarò incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus.
    Da allora Rosa diventò un’icona della lotta dei neri per la parità di diritti e nel 1999 ricevette la medaglia d’oro del Congresso.
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4. Franca Viola, Tommie Smith e John Carlos

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  • Franca Viola, rapita e abusata, non si piegò a sposare un mafioso
    «Ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé».
    Franca Viola era una ragazza siciliana, figlia di mezzadri, nata ad Alcamo nel 1948.
    A 15 anni si fidanzò, col consenso dei genitori, con Filippo Melodia, nipote di un noto mafioso locale.
    Quando anche Filippo fu accusato di essere un mafioso, il padre di Franca ruppe il fidanzamento e tenne duro nonostante le intimidazioni.
    Il 26 dicembre 1965 Melodia penetrò con 12 amici in casa Viola, devastò le stanze e rapì Franca assieme al fratellino Mariano di 8 anni, che si aggrappava alla sorella nel tentativo di difenderla.
    Il bambino fu rimandato a casa, Franca fu portata nell’abitazione della sorella di Filippo: «Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me».
    La famiglia, d’accordo con la Polizia, finse di accettare la “paciata”, ossia l’incontro per una proposta di matrimonio riparatore, allo scopo di scoprire il nascondiglio (era nella stessa Alcamo): il 2 gennaio 1966 la Polizia fece irruzione nell’abitazione arrestando Melodia e tutti i suoi complici.
    Melodia era convinto di farla franca perché il codice penale prevedeva che il matrimonio estinguesse il reato. Invece Franca si ribellò e rifiutò le nozze riparatrici decidendo di andare al processo.
    Il 18 dicembre 1966 Melodia fu condannato a 11 anni. Franca si sarebbe sposata due anni più tardi con Giuseppe Ruisi, da cui avrebbe avuto due figli.
    L’8 marzo 2014 ha ricevuto l’onorificenza di Grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica.
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  • Tommie Smith - John Carlos, guanti neri sul podio olimpico per denunciare il razzismo
    Olimpiadi di Città del Messico 1968, finale dei 200 metri piani.
    La gara, velocissima, venne vinta dall’atleta nero americano Tommie Smith con 19’83” (primo uomo a scendere sotto i 20 secondi), che precedette l’australiano Peter Norman e l’altro americano John Carlos.
    Smith e Carlos aderivano al movimento delle Black Panthers, che alla fine degli anni Sessanta lottava per il superamento della discriminazione razziale negli Usa.
    Quando arrivò il momento della premiazione e salirono sul podio, mentre veniva suonato l’inno nazionale tennero il pugno alzato nel guanto nero: il saluto delle Black Panthers.
    Carlos aveva dimenticato i suoi guanti, perciò usarono solo quelli di Smith alzando due braccia diverse.
    La loro protesta ebbe un’eco immensa, ma costò loro la carriera agonistica che finì quel giorno. Così come quella di Norman, che si unì alla protesta.
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5. Che Guevara, il medico che guidò i guerriglieri della rivoluzione cubana

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Ernesto Guevara, detto il “Che” per la sua abitudine di intercalare le frasi con questa espressione che in Argentina significa “hai capito?”, era nato a Rosario da una famiglia borghese nel 1928.

Ebbe una formazione culturale vasta e curiosa, che culminò in un lungo viaggio in motocicletta con un amico attraverso tutta l’America meridionale.

Fu così che venne a contatto con la vera povertà e si convinse che solo il socialismo avrebbe potuto modificare lo stato di cose esistente.

Dopo essersi laureato in medicina nel 1953, si trasferì in Guatemala e poi in Messico, dove conobbe Fidel Castro e aderì al suo movimento rivoluzionario contro il dittatore cubano Fulgencio Batista.

Guevara partecipò allo sbarco a Cuba nel 1956 e fu tra i pochi superstiti che riuscirono a salvarsi nella giungla dopo lo scontro con le forze regolari.

Nei mesi successivi il Che mise in luce tutte le sue migliori qualità di organizzatore, di medico, di educatore e di combattente diventando ben presto il vice di Castro.

Alla ne del 1958 Guevara era alla testa della “squadra suicida”, il gruppo di ribelli che conduceva le missioni più pericolose, e li guidò nella battaglia di Santa Clara, lo scontro decisivo per la vittoria di Castro e la fuga di Batista.

In seguito ricoprì importanti incarichi governativi a Cuba. Nel 1965 abbandonò l’isola e si recò nel Congo per aiutare un’insurrezione locale.

Il tentativo fallì e lui si trasferì in Bolivia dove addestrò un nuovo gruppo rivoluzionario. Venne però catturato dalle forze antiguerriglia filo USA e poi ucciso il 9 ottobre del 1967.

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