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I segreti del sonno: 5 domande che meritano risposta

Con l’arrivo dell’ora legale le lancette dell’orologio sono scattate avanti di un’ora e molti di noi lottano per riallinearsi, magari con l’ausilio del caffè.

Il sonno ha sempre affascinato gli umani. Il mistero della sua ciclica inesorabilità, a cui nessuno può sfuggire, e quello del mondo che si apre nella mente, una volta che gli occhi si chiudono, hanno ispirato artisti, filosofi e medici fin dagli albori della civiltà umana.

Si continua a studiare l’importanza di un sonno “sano” e sufficiente, che in ogni caso si ripercuote positivamente sull’andamento della giornata e sulla nostra vita.

Una notte riposante con sufficienti ore di sonno riveste un’importanza fondamentale per il nostro benessere fisico e psichico. Mentre dormiamo elaboriamo tra l’altro le nuove esperienze vissute in modo più intenso che durante il giorno.

Chi non dorme né troppo né troppo poco dimagrisce più facilmente e migliora la propria salute fisica e mentale. Inoltre un sonno ristoratore garantisce un sistema immunitario forte, equilibrio emotivo e migliori funzioni organiche e metaboliche.

Ma il sonno ha ancora molti aspetti su cui gli esperti non smettono di interrogarsi… Ecco 5 domande sui segreti del sonno che meritano risposta!

 

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1. COME SI È EVOLUTO IL SONNO?

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Immaginate due animali della stessa specie che vivono in un ambiente pericoloso, dove le risorse scarseggiano.

L’animale A passa la giornata in cerca di cibo e di partner per l’accoppiamento, tentando di evitare i predatori, e quando cala la notte riposa, ma rimanendo vigile fino alla nuova alba.

L’animale B fa le stesse cose ma quando riposa perde conoscenza, rimanendo quasi del tutto ignaro di quel che gli accade attorno.

Quale tra i due pensate abbia le maggiori probabilità di sopravvivere? Se avete risposto l’animale A, complimenti! Avete scoperto il paradosso che avvolge l’evoluzione del sonno.

Si dibatte da molto sul perché tutti gli organismi animali, eccetto i più semplici, si siano evoluti per passare buona parte della loro esistenza privi di conoscenza. La teoria che il sonno permetta di risparmiare energie è sfatata dalla constatazione che dormendo bruciamo quasi lo stesso quantitativo di calorie che stando svegli.

L’evoluzione ci dice che, se ci sottoponiamo a un rischio come quello rappresentato dal sonno, ci deve essere anche un qualche beneficio che valga quel rischio. Quale potrebbe essere, dunque?

Decenni di ricerca hanno collegato il sonno all’elaborazione dei ricordi, alla stabilità emotiva e anche al “ciclo di risciacquo” del cervello, ma quel che continuiamo a non sapere è se dormiamo perché questi processi sono necessari o se ci siamo evoluti per attuarli durante il sonno perché è più efficiente che farlo durante la veglia.

Quel che sappiamo è che la Terra ha un suo ritmo, un ciclo di luce e oscurità e la maggior parte degli animali ha a sua volta un proprio ciclo circadiano, o “orologio del corpo”, in genere regolato sui livelli di luce.

Eppure persino certi pesci ciechi che hanno vissuto la loro intera esistenza nell’oscurità delle caverne in Messico hanno cicli circadiani.

Andy Beale dell’Università di Cambridge, che ha studiato questi animali, spiega che ogni cellula del corpo ha un proprio ritmo, dunque è essenziale per gli organismi avere un sistema per sincronizzarli tutti, anche in assenza di un Sole con cui regolarsi.

Dunque il sonno nasce forse dalla necessità di mettere assieme tutti i vari processi del corpo e assicurarsi che tutte le cellule si occupino della propria manutenzione in contemporanea, senza entrare in conflitto l’una con l’altra.

Sfortunatamente, purtroppo, le teorie evolutive sono difficili da dimostrare: per il momento la domanda su come sia nato il sonno rimane senza risposta.

 

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2. PERCHÉ LA DEPRIVAZIONE DEL SONNO È PERICOLOSA?

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Alcune famiglie sembrano vittima di una maledizione.

Attorno alla mezza età, molti dei loro membri sviluppano strani sintomi: sudori, tremori, ma soprattutto un’insonnia completa e devastante.

Sono i segni di una malattia rarissima, chiamata “insonnia familiare fatale (IFF)”.

Chi ne soffre presenta una mutazione genetica che porta alla produzione di proteine malformate che si accumulano nel cervello danneggiando il talamo, la struttura che controlla il passaggio dalla veglia al sonno.

Senza quest’ultima dormire diventa impossibile, e senza sonno le vittime finiscono per cadere in una sorta di coma vigile. Di rado sopravvivono più di un anno dall’apparizione dei primi sintomi. Esistono molte teorie sul perché ci serva dormire, ma le ragioni che rendono letale la deprivazione del sonno restano un mistero.

Uno studio recente, tuttavia, potrebbe aver trovato un indizio: si è scoperto infatti che le cellule nel cervello di topi addormentati si riducono di dimensione, permettendo al fluido cerebrospinale - il liquido incolore che circola nel cervello e nella spina dorsale - di scorrere più facilmente e spazzar via i detriti che si formano attorno alle cellule attive durante la veglia, portandoli alle ghiandole linfatiche che li eliminano dal corpo.

Dunque l’importanza del sonno potrebbe consistere nel fatto che senza di esso questi residui tossici restano ad accumularsi nel cervello.

La teoria che il sonno serva a “pulire" il cervello è però difficile da testare, e nemmeno studiare le persone che soffrono di IFF può darci tutte le risposte: non possiamo nemmeno sapere per certo se a uccidere siano la deprivazione in se stessa o i danni cerebrali che essa causa.

Un altro indizio, tuttavia, viene dagli animali: esperimenti hanno provato che un ratto deprivato del sonno muore entro un mese, ma anche qui dimostrare che sia stata proprio la deprivazione a ucciderlo, e non lo stress provocato dai ripetuti risvegli, non è facile.

Il più lungo periodo di veglia continua finora registrato in un essere umano sano è di undici giorni: il soggetto era lo studente Randy Gardner, che alla fine ha cominciato a manifestare declino delle funzioni cognitive, sbalzi d’umore e persino allucinazioni.

Nonostante ciò, si è ripreso in un giorno o due e non ha accusato alcun problema a lungo termine. Tuttavia potrebbe non essere stato realmente del tutto sveglio per tutte le 264 ore del periodo: la ricerca ha dimostrato infatti che gli esseri umani deprivati del sonno hanno momenti di “microsonno”, dei quali non si rendono conto.

Possono durare anche solo microsecondi e riguardare una sola parte del cervello, mentre la persona rimane comunque “sveglia” e “funzionante”. La deprivazione del sonno può dunque arrivare a uccidere una persona sana, o in questi casi il cervello attua delle strategie per proteggersi? Anche qui, ancora non abbiamo una risposta.

 

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3. PERCHÉ SOGNIAMO?

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Il sogno affascina da millenni tanto gli scienziati quanto i filosofi, e i suoi segreti continuano a sfuggirci ancora oggi.

Inizialmente si pensava che sognassimo solo durante la fase REM del sonno (quella in cui gli occhi si muovono rapidamente sotto le palpebre), e in effetti è in quel periodo che hanno luogo i sogni più complessi.

Ora però sappiamo che si sogna anche durante altre fasi del sonno, anche se sono sogni più simili a “istantanee” associate a emozioni forti. Perché avviene tutto ciò?

Una teoria sostiene che sognare aiuti il processo di elaborazione della memoria: dopo che i topi da laboratorio hanno imparato a trovare la strada in un labirinto, nel sonno il loro cervello attiva gli stessi neuroni usati durante il giorno, come se stessero ripassando o rivivendo il percorso.

Si suppone che accada lo stesso agli esseri umani, e infatti anche un sonnellino - soprattutto se include una fase REM - può effettivamente migliorare la nostra capacità di risolvere problemi.

Noi sonno il nostro cervello esamina le informazioni ottenute durante la veglia, decide che cosa conservare e instaura collegamenti tra dati nuovi e ricordi.

È possibile che anche i sogni siano coinvolti nel processo, il che spiegherebbe non solo perché è normale sognare fatti recenti, ma anche perché nei sogni a volte assistiamo a collegamenti bizzarri che da svegli non ci verrebbero mai in mente. Un’altra teoria sostiene che il sogno abbia a che fare con l’elaborazione delle emozioni.

Quando immagazziniamo un ricordo nuovo le emozioni associate a esso sono vivide, ma lo diventano meno con il tempo: è per questo che i traumi e le perdite si fanno più sopportabili quando passa del tempo (a meno che il processo non venga turbato da un disordine da stress post-traumatico).

Forse sognare favorisce questa dissociazione, permettendo la rielaborazione dei ricordi e la rimozione delle emozioni associate a essi.

Alternativamente il sogno potrebbe servire a testare in un ambiente sicuro le reazioni del nostro cervello a eventi negativi o minacciosi, il che potrebbe spiegare perché nei sogni proviamo emozioni così forti. In altre parole, esercitandoci a scappare da un mostro in un sogno impariamo che cosa fare se dovesse accaderci qualcosa di simile nella vita reale!

Ma potrebbe anche essere che il sonno sia importante ma i sogni siano solo sottoprodotti di un cervello deprivato di impulsi esterni, un po’ come lo screensaver di un computer.

Curiosamente, esistono farmaci che inibiscono il sonno REM e chi li assume riferisce di sognare meno, ma non sembra accusare effetti negativi. Il mistero dei sogni continua.

 

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4. ESSERE UNA “CIVETTA" FA MALE AL CERVELLO?

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Un altro mistero è perché alcune persone saltano giù dal letto alle sette del mattino, pronte ad affrontare la giornata, mentre altre spengono la sveglia più volte prima di trascinarsi in piedi e arrancare verso la caffettiera.

È di questo che si occupa Sam Jones, ricercatore del sonno presso l’Università di Exeter.

Con uno studio che ha riguardato la genetica e le abitudini di circa 700mila persone, lui e il suo team hanno scoperto oltre 300 geni che collaborano a determinare se una persona è mattiniera o no.

Ma non si tratta comunque di una predisposizione scolpita nella pietra: ricerche precedenti avevano già appurato che solo il 25 per cento dei fattori che rendono qualcuno una “allodola” che si alza presto o una “civetta” che va a letto tardi sono di natura genetica.

“Si direbbe che predominino i fattori ambientali e di abitudine”, dice Jones. “A determinare il nostro ‘cronotipo’ non è principalmente la genetica, quanto piuttosto lo stile di vita, l’alimentazione, la stimolazione che riceviamo in serata e così via. Insomnia è una cosa che sembra modificabile”.

Oltre che sui cronotipi Jones indaga anche sui loro effetti nella vita degli esseri umani, e ha già fatto scoperte interessanti.

Per esempio le persone che vanno a letto tardi sembrano più predisposte a sviluppare la schizofrenia in età avanzata, e un’analisi accurata dei dati mostra che non si tratta solo di fattori genetici: sembrerebbe proprio che lo stile di vita da civetta esponga a rischi veri e propri.

Mediamente le civette mostrano anche una salute meno buona e sono più propense a cadere in depressione.

Non si conoscono per certo i motivi, ma Jones ritiene che il problema non sia lo stile di vita da civetta in se stesso, quanto piuttosto tentare di adattarlo a una società pensata per le allodole: in un certo senso è come se le civette vivessero costantemente in jet lag, uno stress non da poco tanto per il loro corpo quanto per il loro cervello.

Proprio alla luce di questo, in alcuni ambienti si sta pensando di rendere più flessibili le giornate di lavoro. Senza ulteriori studi, però, non possiamo sapere se la vita delle civette migliorerebbe e se si abbasserebbe la loro suscettibilità a determinati problemi di salute.

 

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5. PERCHÉ ALCUNE PERSONE HANNO MENO BISOGNO DI SONNO DI ALTRE?

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Le abbiamo incontrate tutti: quelle persone che in un singolo giorno sono in grado di fare più di quanto sembrerebbe umanamente possibile.

E quando abbiamo chiesto il loro segreto, loro hanno alzato le spalle e risposto “Dormo solo quattro ore per notte, non me ne servono di più”, spesso con uno sguardo di vaga superiorità.

Ma realmente questi individui hanno bisogno di metà del sonno rispetto alla maggior parte di noi, o stanno solo accumulando un sacco di problemi che verranno fuori quando saranno più vecchi?

Nel 2009 una ricerca condotta da Ying-Hui Fu, dell’Università della California di San Francisco, ha scoperto che chi possiede un determinato gene dorme in media due ore meno di chi non lo possiede.

In seguito però è stata individuata una famiglia con tre generazioni di persone portate a dormire poco, ma che non avevano quel gene: sequenziando il loro genoma è emersa invece un’altra mutazione apparentemente legata al bisogno di poco sonno, e i topi allevati con quella stessa mutazione hanno dimostrato di poter essere svegliati più facilmente.

Queste persone che per natura dormono poco non sembrano soffrire di nessuno dei problemi di salute di solito associati con la scarsità di sonno.

È comunque necessaria della cautela: questo studio ha preso in esame una sola famiglia, e nello stesso tempo il team di Jones, dell’Università di Exeter, ha scoperto indipendentemente la stessa mutazione, ma senza trovarla associata in alcun modo al fabbisogno individuale di sonno.

Jones sta ora scrivendo un articolo per confutare le conclusioni di Fu, senza comunque mettere in discussione l’esistenza di persone che hanno per natura bisogno di poco sonno.

“Si direbbe che ci siano semplicemente dei fattori genetici che predispongono alcuni di noi a dormire meno di altri”, dice Jones. “A mio parere esiste comunque un limite, probabilmente tra le sei ore e mezza e le otto ore. Dubito che possa essere più basso di cosi”.

Anche in questo caso, tuttavia, i fattori genetici potrebbero giocare solo un ruolo parziale, accanto ai fattori ambientali: è possibile per esempio che chi dorme di meno di fatto dorma in maniera più efficiente.

La maggior parte delle persone non trascorre la notte intera immersa in un sonno profondo e ristoratore: si può avere dei pensieri o ci si può svegliare per un rumore oppure perché si deve andare in bagno.

Anche mangiare o bere a tarda ora può influire negativamente sulla qualità del sonno, come può farlo il fissare uno schermo luminoso. Dunque, è possibile che a rendere speciali alcune persone non sia la capacità di dormire poco, bensì quella di dormire bene.

Questo peraltro non significa che non valga la pena studiare comunque questi individui, anzi potrebbe essere persino più importante: ancora non sappiamo perché alcune persone si addormentano appena toccano il cuscino e altre si rigirano per ore, o perché alcuni possono dormire in qualunque luogo e in qualunque situazione e altri non chiudono occhio se non sono immersi nell’oscurità più totale.

Magari capire di più su come “ funzionano” le persone che dormono poco e in maniera efficiente potrà aiutare tutti noi a migliorare la qualità del nostro sonno quotidiano.

 

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