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I serial killer italiani più spietati

Il serial killer non prova emozioni e non riesce a mettersi nei panni di un altro.

Così commette omicidi e violenze ripetutamente e senza sensi di colpa. Un pazzo? Secondo la scienza no: per questo la legge non gli concede attenuanti.

Ecco l’identikit del serial killer. È ormai chiaro che la maggior parte degli omicidi seriali avviene in Paesi economicamente sviluppati. I dati raccolti a livello mondiale ci permettono di identificare alcune caratteristiche ricorrenti, trasversali ai vari contesti geografici.
– Chi sono? Generalmente i serial killer sono di razza bianca (85 per cento dei casi) e uccidono nel 70 per cento dei casi estranei, nel 20 conoscenti, nel 10 familiari.
– Come agiscono? La maggior parte dei serial killer agisce individualmente (72 per cento), il 12 per cento in coppia e il 16 per cento in gruppo. Il metodo prescelto per i serial killer maschi sono le armi da fuoco (41 per cento), seguono il soffocamento (37) quindi le armi da taglio (34).
– Dove agiscono? Di solito uccidono nel territorio in cui abitano: 63 per cento dei casi.
– Perché uccidono? La motivazione principale, almeno per i serial killer maschi, è la dominazione sessuale (55 per cento dei casi), seguono il desiderio di dominio sull’altro (29), quindi il denaro (19).

Dal “mostro della Liguria” al “killer dagli occhi di ghiaccio”. Dall’“angelo della morte” dell’ospedale di Lecco alla “saponificatrice di Correggio”. Storie di serial killer tristemente famosi per aver insanguinato l’Italia.

 

 

1. DONATO BILANCIA E LUDWIG

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  • DONATO BILANCIA - Uccise 17 persone e sta scontando 13 ergastoli
    Nel novembre 2017, per la prima volta dopo 20 anni, Donato Bilancia è uscito dal carcere dove sta scontando 13 ergastoli per 17 omicidi compiuti in un arco di sei mesi, tra l’ottobre 1997 e l’aprile 1998, in Liguria e nel basso Piemonte.
    Arrestato grazie alla testimonianza di una transessuale miracolosamente fuggita alla sua furia criminale, Donato Bilancia, nato a Potenza il 10 luglio 1951, era noto come un incallito giocatore d’azzardo e frequentatore delle bische clandestine del capoluogo ligure.
    La sua carriera di serial killer iniziò il 16 ottobre 1997 con l’uccisione di un “amico”, Giorgio Centenaro, soffocato con nastro adesivo, mentre la settimana successiva fu la volta di Maurizio Parenti e di sua moglie Carla Scotto, assassinati con la pistola calibro 38 che diventerà l’arma usata in tutti i successivi quattordici delitti (l’ultimo commesso il 21 aprile 1998).
    In base a quanto dichiarò Bilancia durante gli interrogatori, Centenaro e Parenti l’avevano coinvolto in una bisca facendogli perdere circa 400 milioni di lire.
    Nonostante il “mostro della Liguria” prediligesse come vittime le prostitute (quattro in totale e scelte, secondo la confessione, di nazionalità diverse), caddero sotto i suoi colpi anche persone scelte a caso, che ebbero la sfortuna di incontrarlo durante banali viaggi in treno: come Elisabetta Zoppetti, uccisa sull’Intercity La Spezia-Venezia, e Maria Angela Rubino, freddata sul regionale Genova-Ventimiglia.
    Al Pubblico Ministero che lo interrogò, Bilancia confessò di aver pensato di interrompere la catena di omicidi e di «lasciare riposare Genova perché era una città un po’ scossa», salvo poi proseguire con la sua scia di sangue.
    Negli interrogatori ammise anche di aver pensato al suicidio con pasticche di cianuro, ma rivelò di essere stato truffato dal venditore, che gli avrebbe rifilato comuni vitamine.
    DONATO BILANCIA

 

  • LUDWIG - Abel e Furlan avevano una missione: ripulire il mondo dal peccato
    Ludwig era lo pseudonimo con il quale Wolfgang Abel e Marco Furlan firmarono la farneticante lettera di rivendicazione dei loro primi quattro omicidi, compiuti tra il 1977 e il 1980, senza un modus operandi specifico.
    Se la prima vittima fu rinchiusa in un’auto che venne poi incendiata, le due successive furono accoltellate, mentre la quarta fu uccisa a colpi di ascia e di martello.
    A questi assassinii ne seguirono altri 24 che, fino al 1984, macchiarono di sangue Veneto e Trentino in Italia, Amsterdam e Monaco di Baviera all’estero.
    Convinti di avere una missione, quella di ripulire il mondo da prostitute, barboni, omosessuali, tossicodipendenti e preti giudicati peccaminosi, Abel e Furlan scelsero come obiettivi “luoghi di perdizione” come sex shop, discoteche e sale cinematografiche a luci rosse a cui davano fuoco.
    Catturati mentre cercavano di incendiare una discoteca in cui erano presenti 400 persone, vennero processati e condannati a 27 anni di carcere.
    LUDWIG

2. GIANCARLO GIUDICE E MICHELE PROFETA

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  • GIANCARLO GIUDICE - Il cocainomane ossessionato dal sesso
    Fu la Torino degli anni ‘80 il palcoscenico del camionista Giancarlo Giudice.
    Nato nel 1952, svolse diversi mestieri prima di intraprendere quello di camionista che gli permetteva di incontrare molte professioniste del sesso.
    Il primo omicidio avvenne il 29 dicembre 1983 con la vittima strangolata e trovata bruciata in un’auto alla periferia del capoluogo piemontese.
    Consumatore di cocaina e ossessionato dal sesso violento, proseguì la sua carriera di assassino fino al 28 giugno 1986, quando uccise l’ultima vittima a colpi di pistola.
    In meno di tre anni aveva ucciso 9 prostitute: 6 strangolate, 2 freddate con colpi di arma da fuoco e 1 sgozzata.
    Arrestato per esibizionismo in luogo pubblico, confessò gli omicidi sottolineando che le sue vittime meritavano la morte perché «erano vecchie, grasse e poco curate» o perché indossavano “volgari” reggiseni a fiori.
    Nella sua abitazione vennero trovate fotografie di prostitute nude, ammanettate e con un collant attorno al collo.
    Condannato all’ergastolo in primo grado, si vide ridurre la pena a 30 anni di carcere più 3 in un istituto psichiatrico giudiziario.
    GIANCARLO GIUDICE

 

  • MICHELE PROFETA - Pretendeva 12 miliardi di lire per non uccidere
    Era detto “il professore” per il suo aspetto impeccabile ed elegante. Ma dietro quell’aria austera si nascondeva una mente criminale e un assassino.
    Palermitano di nascita ma residente a Padova, aveva la febbre del gioco, che gli causò quattro condanne per emissione di assegni a vuoto e truffa.
    Il 12 gennaio 2001 scrisse una lettera anonima alla Questura di Milano nella quale chiedeva 12 miliardi: se non li avesse ottenuti, avrebbe commesso omicidi a caso, in qualunque città.
    Mantenne la promessa, concentrando la sua attività criminale a Padova: il 29 gennaio toccò al tassista Pierpaolo Lissandron, freddato alla nuca con un colpo di pistola.
    Dodici giorni dopo la stessa sorte capitò all’agente immobiliare Walter Boscolo, ucciso in un appartamento il 10 febbraio.
    Arrestato, Profeta confessò gli omicidi. Fu quindi processato e chiuso nel carcere di Padova dal quale tentò di evadere prima di essere condannato all’ergastolo nel 2002.
    Morì nel 2004, stroncato da un infarto, mentre sosteneva il suo primo esame universitario in storia della filosofia. Aveva 56 anni.
    MICHELE PROFETA

3. ROBERTO SUCCO, SONYA CALEFFI E GIANFRANCO STEVANIN

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  • ROBERTO SUCCO - Il “killer dagli occhi di ghiaccio” massacrò i genitori
    Nel 1981 Roberto Succo (1962-1988), detto “il killer dagli occhi di ghiaccio”, commise il primo omicidio uccidendo i genitori: inflisse 32 coltellate alla madre e diversi colpi di accetta al padre, che infine soffocò con un sacchetto di nylon.
    Arrestato, disse di aver commesso l’omicidio perché «la mamma mi aveva escluso e mio padre non voleva prestarmi l’auto».
    Condannato a 10 anni in un ospedale psichiatrico giudiziario, si diplomò e s’iscrisse all’università, ma nel 1986, durante un permesso per frequentare le lezioni, fuggì in Francia dove commise altri 5 omicidi.
    Arrestato il 28 febbraio 1988, si suicidò nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1988 con un sacchetto di plastica, dove aveva scaricato una bomboletta di gas butano. Aveva 26 anni.
    ROBERTO SUCCO

 

  • SONYA CALEFFI - L’infermiera che faceva morire i suoi pazienti
    Nata a Como il 21 luglio 1970, aveva scelto di fare l’infermiera dopo anni di depressione e anoressia.
    Dal 2004 lavorava al Manzoni di Lecco dove aveva salvato pazienti colpiti da embolia.
    Ma quelle 18 morti improvvise tra il 1° settembre e l’8 novembre insospettirono gli inquirenti che non tardarono a interrogarla.
    Confessò solo cinque omicidi (ma i giudici che la rinviarono a processo ritennero che fosse responsabile anche degli altri tredici decessi).
    «Mi piaceva vedere che tutti accorrevano per salvare i pazienti» ammise candidamente riconoscendo di aver iniettato aria in vena ai malati per provocare embolie.
    È stata condannata a 20 anni di reclusione. Nel maggio 2010 ha annunciato il matrimonio con un uomo conosciuto durante la detenzione a San Vittore (Milano).
    SONYA CALEFFI

 

  • GIANFRANCO STEVANIN - Un trauma cranico ne fece un assassino
    Gianfranco Stevanin (1960) ebbe una vita apparentemente felice fino a all’età di 16 anni, quando un grave incidente motociclistico gli procurò una frattura frontale e un notevole trauma cranico.
    Il danno neurologico che ne riportò mutò radicalmente la sua esistenza: cominciò a frequentare sempre più assiduamente prostitute, il che concorse a ingenerare in lui una pura violenza sessuale.
    Si avviò così alla pratica di giochi erotici estremi che causarono la morte di sei donne.
    Feticista di capelli e peli pubici, che raccoglieva in appositi contenitori, Stevanin fotografava le sue vittime prima di assassinarle per poi seppellirle nei campi vicino a dove abitava.
    Arrestato grazie alla testimonianza di una donna miracolosamente scampata alla morte, confessò i suoi omicidi: in un primo momento fu ritenuto incapace di intendere e volere, ma nel 2001 venne condannato all’ergastolo.
    In seguito Stevanin disse di non ricordare molto di quanto aveva fatto e di voler diventare un frate francescano laico per dedicarsi al volontariato.
    GIANFRANCO STEVANIN

4. ANDREA MATTEUCCI E LEONARDA CIANCIULLI

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  • ANDREA MATTEUCCI - La sua prima vittima fu un uomo che lo corteggiava
    Andrea Matteucci (1962) visse un’infanzia difficile con la madre prostituta che lo faceva assistere ai suoi incontri.
    La sua carriera criminale iniziò in Val d’Aosta nel 1980 con l’uccisione di un commerciante che gli aveva fatto delle avances.
    Nonostante le indagini, l’episodio rimase irrisolto e lui poté continuare a vivere normalmente, addirittura sposandosi e diventando padre.
    Continuò così fino al 1992 quando uccise con un colpo di pistola una prostituta torinese: a questo omicidio ne seguiranno altri due, sempre ai danni di prostitute, la prima uccisa con due colpi di pistola, sezionata con un coltello da cucina e bruciata (1994), la seconda colpita con una chiave inglese, pugnalata a morte e bruciata (1995).
    Arrestato e processato per quattro delitti, Matteucci, dichiarato socialmente pericoloso e parzialmente incapace di intendere e di volere, fu condannato a 28 anni di carcere e a 3 anni di reclusione in un ospedale psichiatrico giudiziario, tutti ormai scontati.
    Dal marzo 2017 vive in una struttura sanitaria psichiatrica.
    ANDREA MATTEUCCI

 

  • LEONARDA CIANCIULLI - Ammazzò tre donne e ne trasse sapone
    Leonarda Cianciulli, nata nel 1894 a Montella (Potenza), emigrò nel 1930 a Correggio (Reggio Emilia), dove con il marito Raffaele Pansardi, impiegato all’Ufficio del Registro, condusse una vita normale: lavorando per le vicine di casa come sarta e bambinaia e arrotondando i suoi introiti con il commercio casalingo di abiti usati e l’attività di “maga” che sapeva leggere il futuro e togliere il malocchio, riuscì addirittura a raggiungere un certo benessere economico.
    La svolta avvenne negli anni 1939-1940, quando dal paese scomparvero tre donne, tutte sole, anziane e sue amiche.
    Messa subito alle strette dalla Polizia, Leonarda Cianciulli confessò di averle uccise, dopo averle tratte in inganno con la promessa di trovare loro marito o lavoro.
    Non solo: ne aveva anche fatto a pezzi i corpi e li aveva messi in un pentolone con soda caustica e altri materiali, traendone sapone.
    Soprannominata la “saponificatrice di Correggio”, nel 1946 fu condannata ad almeno tre anni di ricovero in un manicomio criminale e a trent’anni di reclusione.
    Morì il 15 ottobre 1970, all’età di 76 anni per apoplessia cerebrale. Si trovava nel manicomio di Pozzuoli (Napoli).
    LEONARDA CIANCIULLI





5. Le quattro fasi dell’omicidio seriale

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Il serial killer è un pianificatore: organizza i suoi omicidi.

Per questo inizia spesso ad agire nei luoghi che gli sono più familiari, per allargare i confini solo successivamente.

Esistono però anche serial killer meno razionali: vengono definiti “disorganizzati”. Con un’intelligenza sotto la media, socialmente e sessualmente inadeguati, cresciuti con una disciplina rigida nell’infanzia, vivono da soli.

Agiscono con ansia durante l’omicidio e uccidono in seguito ad aggressioni improvvise e non pianificate, lasciando poi caos sulla scena del crimine.

Non nascondono il cadavere, ma anzi lasciano molte tracce diventando quindi più facilmente individuabili. A definire i serial killer non è solo una struttura di personalità ben specifica, ma anche il loro modo di operare.

L’Fbi ha da tempo individuato quattro fasi tipiche nell’esecuzione degli omicidi da parte dei killer seriali:

  1. Preparazione
    È il periodo in cui il killer si prepara a compiere l’omicidio. Contrassegnato da conflitti con una donna o con i genitori, da problemi economici e di lavoro o da lutti, durante questa fase il soggetto è nervoso, agitato e ostile.
  2. Esecuzione dell’omicidio
    Il serial killer si avvicina sempre più alla vittima sulla cui vita inizia ad avvertire una sensazione di dominio. Ciò alimenta la sua eccitazione mentale e non di rado sessuale.
    È raro però che il serial killer violenti la vittima, più spesso si dedica ad atti di autoerotismo sul cadavere.
    È frequentemente presente il fenomeno dell’overkill: ferite inferte dopo la morte a scopo rituale.
  3. Eliminazione del corpo
    Passata l’euforia del crimine, i criminali si rendono conto di cosa sia accaduto. Spesso il trattamento del cadavere dei successivi omicidi è molto più attento.
    Si nota in questa fase la mancanza del rimorso: il desiderio prevalente è generalmente quello di garantirsi l’impunità nascondendo il corpo.
  4. Dopo il crimine
    Di regola dopo l’omicidio i serial killer sentono un senso di sollievo e tranquillità tanto da riposare profondamente tutta la notte.
    In seguito, talvolta ritornano sulla scena del crimine e monitorano il ritrovamento del corpo da parte delle forze dell’ordine.
    Non di rado conservano oggetti appartenuti al defunto, feticci grazie ai quali rivivono l’eccitazione dell’assassinio.
    Sono stati registrati casi di serial killer che collezionano ritagli di giornale inerenti il delitto.

 

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