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I trichechi: 5 cose molto interessanti da sapere

I trichechi (Odobenus rosmarus), giganteschi pinnipedi dalle lunghe zanne ricurve, dai baffi rigidi, spessi ma sensibili come dita, coperti di cicatrici profonde, sono parenti di foche, leoni marini ed elefanti marini, con cui hanno in comune appunto i piedi a pinna.

Tricheco deriva dal greco thrix trichós, pelo, ed èchein, avere.

Più precisamente è un mammifero marino di grande mole, classificato come Odobenus rosmarus nella famiglia degli odobenidi, sottordine dei pinnipedi, ordine carnivori, classe mammiferi, phylum cordati. I marinai li chiamavano “La Bestia dai Grandi Denti”.

Vive nelle regioni artiche al limite dei ghiacci polari, lungo le coste del Canada, della Siberia, della penisola di Kamčatka, dell’Alaska, della Groenlandia, della Norvegia e dell’isola Ellesmere.

La vita nelle gelide acque del Circolo Polare Artico ha imposto una lunga serie di adattamenti, ma il tricheco se l’è sempre cavata benissimo, almeno fino a che non ha dovuto fare i conti con i primi cacciatori armati di fucili.

I trichechi preferiscono le lastre di ghiaccio per riposarsi e dare alla luce i piccoli: costretti sulla riva, diventano vulnerabili agli attacchi degli orsi bianchi.

I maschi sono lunghi dai 3 ai 4,5 metri, con 3 m di circonferenza, e pesano 800-1.200 Kg, raggiungono i 1.700-2.000 Kg in inverno, quando hanno maggiori strati di grasso. Le femmine sono 1/3 piú piccole rispetto ai maschi (spiccato dimorfismo sessuale), pesano 400-600 Kg.

Oggi scopriremo 5 cose molto interessanti sui trichechi. Leggiamoli insieme.

1. Perché quei denti enormi?

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A lungo gli scienziati si sono interrogati sulla funzione delle grandi zanne del tricheco.

Crescono per tutta la vita dell’animale, arrivando fino al metro di lunghezza, e pesano più di 3 kg l’una, quindi non sono molto comode da portare in giro.

Si tratta di canini rinforzati e allungati, presenti in entrambi i sessi (ma non nei piccoli), anche se nelle femmine sono meno sviluppati che nei maschi.

Anni fa si pensava fossero usati per smuovere i sedimenti sul fondale alla ricerca del cibo preferito dei trichechi, vongole e ostriche, ma un esame attento ha svelato che ci sono troppo poche abrasioni attorno alle zanne per un utilizzo di questo tipo.

Oggi sappiamo che questi canini fuori misura servono per fare buchi nel ghiaccio e anche per aggrapparsi con il capo al pack (le zattere di acqua ghiacciata) per respirare o uscire dall’acqua.

In più, i maschi usano le zanne per fare buona impressione sulle compagne e spesso anche per sfidare i rivali in amore.

Quando combattono, cosa che non sempre si verifica, i due contendenti cercano di trafiggere il petto e il collo dell’avversario con potenti colpi di zanna, ma lo spessore della pelle, che è massimo proprio in questi punti, limita i danni, quindi le ferite mortali sono molto rare.

La pelle spessa serve anche come protezione dal freddo; inoltre, sotto di essa, si trova un rivestimento di grasso che arriva a 10 centimetri di spessore e isola il tricheco dall’acqua gelida. Uno di questi animali può stare immerso per giorni, ma si surriscalda facilmente sulla terraferma.

La colorazione degli animali è molto variabile anche per questo motivo: nelle acque fredde i trichechi diventano grigio chiaro, a causa della riduzione del flusso di sangue vicino all’epidermide (il sangue è tenuto “al caldo” più in profondità), ma virano verso un tinta bruno-rossastra quando la temperatura diventa più alta.

2. Quelli che... camminano coi denti (Odobenidi)

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Ma i trichechi sono foche oppure otarie? Nessuno dei due.

I trichechi, infatti, hanno una famiglia a sé, gli Odobenidi (dal greco “coloro che camminano con i denti”), giustificata dalla presenza delle famose zanne, uniche della loro specie, e da una serie di caratteristiche comuni a otarie e foche.

Con le otarie, per esempio, condividono il modo in cui le zampe posteriori sono ripiegate sotto il corpo quando l’animale è a terra, ma i trichechi sono privi del padiglione auricolare (che invece hanno le otarie), un punto in comune con le foche.

Nonostante la stazza (più di 3 metri di lunghezza e 1.500 kg di peso nei maschi), i trichechi si muovono a terra meglio di quanto si potrebbe pensare: puntano le zampe posteriori sul terreno e fanno scattare in avanti le anteriori, avanzando con una caratteristica progressione “a balzi”, efficace anche se piuttosto goffa.

I trichechi si alimentano in mare, scovando vongole, ostriche e altri invertebrati marini che vivono sul fondale, come granchi, gamberi, vermi e oloturie.

Non sono subacquei fenomenali, come gli elefanti marini per esempio (che scendono a più di 1.000 metri di profondità), ma si immergono comunque fino a un centinaio di metri, dove possono rimanere in apnea per una decina di minuti (i limiti sono attorno ai 150 m per 20 - 25 minuti, ma i trichechi si alimentano sempre a profondità molto inferiori).

Sul substrato, tra il fango e la sabbia, ricercano le loro prede, soprattutto grazie alle vibrisse, i lunghi peli sensibili che circondano il muso. Quando trovano qualcosa di appetitoso, la dissotterrano usando il muso o con getti di acqua generati dalla bocca o dai movimenti delle pinne pettorali.

Poi la inghiottono, risucchiando le parti molli delle conchiglie e sputando fuori quanto non è commestibile, come sabbia, sassolini e parti troppo dure delle prede. Anche se il cibo è nutriente, un tricheco di una tonnellata di peso ha bisogno di mangiare tutti i giorni almeno 20 kg di molluschi.

In mancanza di altro, i trichechi si adattano a consumare anche altre prede, come pesci, foche, uccelli marini, ma il più delle volte non si tratta di animali in buona salute (che i trichechi non riuscirebbero a catturare) ma di individui morenti e cadaveri.

3. Relax sul pack

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Pur se sono buoni nuotatori, perfettamente a loro agio in mare, i trichechi passano un terzo della loro vita fuori dall’acqua, soprattutto sulle zattere di ghiaccio del pack, che diventano le loro “spiagge personali”.

Per questo si trovano solitamente lungo il limite dei ghiacci del Circolo Polare Artico, che seguono nel corso dell’anno, spostandosi a nord in estate e a sud in inverno, quando la coltre bianca riprende ad avanzare.

Le popolazioni del Pacifico e dell’Atlantico sono distinte: una vive attorno a Groenlandia e Canada, l’altra tra Alaska e Russia (nello stretto di Bering) e nell’estremo Nord della Russia (Mare di Laptev).

All’inizio dell’anno i maschi più grandi e forti, che hanno almeno 15 anni, si impegnano a conquistare piccoli gruppi di femmine affrontando i rivali; la competizione è fortissima, anche perché molte femmine sono già incinte dall’anno precedente (la gestazione dura 15 mesi) e quindi non prestano attenzione ai pretendenti.

Loro, al contrario, diventano rumorosi, mal sopportano la vicinanza di altri maschi e si fronteggiano con le zanne bene in vista. Solo i più grandi e forti avranno il loro piccolo gruppo di femmine.

L’unico cucciolo che nasce (i gemelli sono molto rari), di solito tra aprile e giugno, quando le madri si spostano lentamente verso nord, è una versione paffuta e in miniatura degli adulti, di circa 45 kg, ma senza le zanne.

Sa nuotare bene già poche ore dopo la nascita, ma deve essere allattato per almeno 18 mesi e fino a 3-4 anni di età è del tutto dipendente dalla madre, che lo aiuta anche a salire e scendere dai blocchi di ghiaccio.

I trichechi, facendo un piccolo ogni due anni (quando va tutto bene), hanno più difficoltà degli altri pinnipedi a recuperare dopo eventi traumatici che ne hanno ridotto il numero.

4. Anche l’Artico è un luogo pericoloso

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A guardarlo bene, quando si solleva con il corpo immenso e la testa armata con le lunghe zanne, il tricheco sembra un avversario inattaccabile, privo di nemici naturali.

Ma l’Artico è pieno di abili predatori e anche i trichechi devono guardarsi le spalle.

Gli orsi bianchi, per esempio, tra i più grandi e temibili carnivori terrestri, possono attaccare questi pinnipedi quando sono ammassati sulle spiagge e non riescono a fuggire e a difendersi efficacemente.

Non è comunque un’impresa facile per un orso: i trichechi formano una muraglia di zanne e un buon numero di attacchi si risolve con un nulla di fatto e una rapida ritirata.

A volte, però, una carica fortunata consente di separare dal gruppo un tricheco più piccolo, che viene abbattuto. Gli orsi divorano soprattutto il grasso e il tessuto muscolare, che forniscono l’energia utile a superare il lungo inverno artico.

In mare la situazione può essere altrettanto pericolosa, perché le acque gelide del Polo Nord sono pattugliate dalle orche che sorprendono i trichechi mentre nuotano.

Gli individui più grandi sono attaccati da più orche, che cercano di portarli in acque profonde e li colpiscono con il capo o con la coda per farli annegare.

Ma anche per questi cetacei un tricheco maschio adulto è un avversario temibile e le orche cercano di limitare lo scontro diretto, così sono soprattutto i giovani e le femmine le vittime di questi agguati.



5. Caccia e cambiamenti climatici

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Le antiche popolazioni dell’Artico, come gli eschimesi, hanno da sempre cacciato il tricheco.

E di questo animale utilizzavano ogni cosa: la carne come nutrimento, le pelli per rivestire le tende e le piccole imbarcazioni.

Le parti più preziose erano però il grasso, grazie al quale si produceva olio, e le zanne, usate per piccoli strumenti e oggetti decorativi.

Anche se non abbiamo dati precisi, l’impatto di queste comunità sul numero di trichechi è sempre stato molto modesto: si trattava infatti di piccoli gruppi di persone che cacciavano trichechi senza armi da fuoco.

Quando i primi navigatori europei, americani e asiatici arrivarono in forze nell’Artico, nel corso del XVII secolo, videro per la prima volta lo spettacolo dei branchi di trichechi sui ghiacci: gruppi di migliaia di animali che, visti da lontano, sembravano un’unica distesa bruna.

Non ci volle molto tempo perché cominciassero i veri massacri, soprattutto per le zanne, che producevano un avorio meno pregiato di quello degli elefanti ma comunque di valore, e per il grasso.

La strage continuò, assieme a quella di balene, foche e altri mammiferi marini, fino alla metà del secolo scorso, quando i trichechi divennero talmente rari che non fu neanche più molto conveniente andarli a cercare.

A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, la caccia è stata regolamentata e oggi, in teoria, solo le popolazioni native delle zone artiche, come gli inuit, possono uccidere un certo numero di animali all’anno per il loro sostentamento (ma oggi usano anche fucili e barche a motore).

Negli ultimi trent’anni tutte le popolazioni di trichechi sono tornate a crescere e, anche se siamo sicuramente lontani dai numeri di una volta, si contano circa 200.000 individui nel Pacifico e 50.000 nell’Atlantico.

Oggi il vero nemico non è la caccia ma il cambiamento climatico, che provoca un allungamento delle estati al Nord.

Recentemente si è osservato che il ritirarsi dei ghiacci e la scomparsa delle zattere galleggianti costringe i trichechi a fermarsi sulle spiagge di ciottoli, una cosa che questi animali evitano di fare (almeno nel Pacifico, in Atlantico i trichechi vanno sulla terraferma più spesso).

L’anno scorso ne sono stati osservati circa 35.000 in un unico tratto di costa nel Nord dell’Alaska, un numero più alto che in qualunque anno precedente.

Può sembrare una buona notizia ma non è così, perché i trichechi, in questo caso soprattutto femmine e giovani, ammassandosi nel poco spazio disponibile non hanno abbastanza cibo e tendono a surriscaldarsi e a ferirsi tra di loro.

In condizioni ideali dovrebbero potersi spostare sulle zattere di ghiaccio e disperdersi, ma ce ne sono troppo poche perché questo processo sia efficace.

Il fenomeno è nuovo ma ci racconta che il Polo Nord non è in buona salute. In molti cominciano a temere che anche il tricheco, assieme all’orso bianco, possa diventare uno dei simboli di un mondo di ghiaccio sempre più in difficoltà.






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