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I videogiochi istigano alla violenza?

Sono sul banco di un tribunale virtuale planetario, accanto a musica, film e altre forme di intrattenimento.

I videogiochi sono accusati di fomentare, amplificare o addirittura scatenare la violenza nei ragazzi, e di modificare il funzionamento del cervello fino a causare dipendenza.

Ma che cosa dicono in proposito i ricercatori che studiano questi fenomeni?

La risposta breve è “no, non inducono comportamenti violenti”; quella lunga è molto più articolata e complessa.

Innanzitutto perché qualsiasi attività, dalla guida alla lettura al suonare uno strumento, cambia il nostro “organo di comando” in un modo o nell’altro.

Nel caso dei videogiochi, il problema è capire se tali modifiche siano in meglio o in peggio.

Ma davvero i videogiochi istigano alla violenza e sono un pericolo per chi li utilizza? Ecco che cosa dicono le più rigorose ricerche scientifiche.

 

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1. Appassionati e prime ricerche

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Prima di tutto dobbiamo considerare il fattore tempo, che incide parecchio.

Ogni gioco protratto per un lungo periodo ha effetti su alcune regioni cerebrali e sui neurotrasmettitori.

Per esempio, una recente ricerca del Siena Brain Investigation and Neuromodulation Lab della città toscana ha scoperto che giocare aumenta le dimensioni di alcuni nuclei del talamo, la regione che trasmette i segnali sensoriali e motori alla corteccia, oltre che zone specifiche della corteccia stessa.

Gli effetti variano a seconda della tipologia di videogame.

Molte ricerche hanno per esempio mostrato che i giocatori di videogame di azione, come gli “sparatutto” (in cui si avanza nel gioco uccidendo nemici) o le gare di auto, dopo qualche mese di gioco hanno una migliore performance per quanto riguarda la vista: nella visione periferica e nella definizione dei livelli di grigio.

In generale, i videogiochi migliorano anche la velocità del passaggio tra un compito e l’altro, il cosiddetto multitasking. E aiutano ad “aggiornare” le informazioni in memoria, senza compromettere la rapidità di pensiero.

Visione e multitasking, però, non sono aspetti preoccupanti. Ma nel 1992 uscì Mortal Kombat, che con i suoi combattimenti brutali appassionò migliaia di teenagers, inquietò non poco i loro genitori e diede il via alle prime ricerche approfondite sugli effetti dei videogame sul comportamento.

All’inizio, gli studi sembrarono confermare i timori: chi usa i videogiochi (alcuni di essi, almeno) passa troppo tempo davanti allo schermo, studia poco, è meno interessato a stare con gli altri e soprattutto diventa più aggressivo e violento.

Ricerche condotte in particolare su titoli d’azione, come Doom o Grand Theft Auto (Gta), in cui la violenza è molto presente, sembravano dimostrare che potessero indurre a comportamenti aggressivi.

Alcuni articoli scientifici spiegavano che la brutalità verso i nemici virtuali “desensibilizzava” alla violenza, che quindi poteva essere vista come naturale anche nella vita di tutti i giorni.

 

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2. Analisi difficili

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Attorno all’inizio del secolo, le tesi “fanno male” contro “fanno bene” (o, comunque, non fanno nulla) si combattevano a colpi di articoli scientifici.

Nel 2005, però, accadde qualcosa di notevole.

L’American Psychological Association (Apa), una delle principali associazioni di psicologi statunitensi approvò una risoluzione (ribadita nel 2015) in cui evidenziava una relazione tra l’uso di videogiochi violenti, l’aumento del comportamento aggressivo e la diminuzione di quello pro-sociale e dell’empatia.

Il pronunciamento dell’Apa fu strumentalizzato scorrettamente da politici e stampa: “i videogiochi causano la violenza”. In realtà, la ricerca non diceva che chi gioca a Gta andrà a investire i passanti o rapinerà una banca appena uscito di casa.

Secondo lo studio, esiste solo una certa probabilità, rispetto a chi si dedica a giochi più pacifici, che aumentino i comportamenti aggressivi temporanei.

L’analisi specificava anche che non c’erano prove che questa aggressività sfociasse in veri comportamenti criminali nel mondo reale. Non solo: la ricerca dell’Apa aveva numerosi limiti e fu criticata apertamente da oltre 230 psicologi statunitensi.

In una lettera aperta ne giudicarono affrettate le conclusioni, perché si basavano su studi di laboratorio, senza connessione con la vita reale, e perché gli stessi autori dell’analisi avevano già espresso idee a proposito del legame tra videogiochi e violenza.

Insomma, lo studio più approfondito che cercava di dimostrare la pericolosità dei videogiochi faceva acqua da tutte le parti.

Un articolo del 2017, su Psychology of Popular Media Culture, fece anche notare che secondo i dati del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti, l’uscita di videogiochi violenti come Grand Theft Auto San Andreas, Grand Theft Auto IV e Call of Duty Black Ops non corrispose mai a un aumento dei crimini violenti, né a un mese né a un anno di distanza.

Molti altri lavori recenti confermano invece che il collegamento tra videogame violenti e comportamento non esiste. Lo evidenzia per esempio uno studio dell’Università di York realizzato su oltre 3.000 adulti.

Mentre una ricerca del Max Planck Institut pubblicata su Molecular Psychiatry ha evidenziato che anche l’esposizione quotidiana a videogame violenti non ha effetti a lungo termine sull’aggressività. Vi sembra poco? Non proprio.

Come fa notare la psicologa Kelli Dunlap (che usa i videogiochi in terapia) «i risultati nulli, per esempio ricerche che non trovano alcuna relazione tra violenza e videogiochi, spesso non vengono pubblicati».

 

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3. Violenza temporanea.. per socializzare

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I videogiochi in definitiva non sarebbero causa diretta di violenza e delinquenza nel mondo reale. È il contesto che fa la differenza.

Se la violenza è l’unico tipo di socializzazione che conosco, è chiaro che diventa il mio modello.

È l’ambiente che porta a comportamenti aggressivi: se alcuni di questi adolescenti hanno giocato a un videogame prima di uscire a fare una strage, è solo una coincidenza.

Le conclusioni non sono diverse per quanto riguarda la dipendenza. Come per quasi ogni nostra attività, anche i videogiochi hanno effetti legati ai meccanismi di ricompensa nel cervello.

I circuiti sono gli stessi che governano le risposte alle droghe, o al gioco d’azzardo. I neurotrasmettitori coinvolti e le regioni cerebrali sono quelli che si “accendono” quando si vince, si raggiunge un obiettivo, ma anche quando si mangia qualcosa di gradevole o si fa sesso.

Il neuromediatore è principalmente la dopamina, che agisce nel cervello sui circuiti che producono piacere.

Gli stessi meccanismi cerebrali sottostanno alla dipendenza da gioco d’azzardo, o all’abuso di sostanze come le droghe o anche alla dipendenza da Internet.

Ci sono individui più sensibili a rispondere a queste forme di intrattenimento, e hanno bisogno di sempre più stimoli per raggiungere la stessa soddisfazione; c’è quindi una predisposizione alla dipendenza da videogiochi, come da droghe.

A ciò si somma il fatto che i videogiochi “prendono” perché sono costruiti per farlo. I creatori li strutturano in modo abbastanza avvincente da farti giocare, ma non così difficile da demotivare il giocatore.

David Cage, creatore di Detroit: Become Human, aggiunge: «Ci sono resistenze sul fatto che i videogame debbano far provare emozioni complesse. Per questo si punta spesso su emozioni basilari, come sono quelle stimolate da azioni violente».

Le cose quindi non sono semplici: accusare i videogiochi di indurre alla violenza o alla dipendenza è semplicistico e in fondo sbagliato. In un contesto, familiare o genetico, che non porti alla violenza, i ragazzi che si mettono davanti allo schermo non diventano aggressivi o assassini.

Di per sé i videogiochi non hanno una valenza positiva o negativa, sono uno dei tanti strumenti che consentono di esprimere forme di socializzazione diverse.

Sta alla società costruire attorno al giocatore un ambiente per cui i videogame rimangano solo quello per cui sono nati: strumenti per giocare.

 

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4. Quanto vale il business dei videogame e gli eSport ai giochi olimpici?

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- Quanto vale il business dei videogame

Il mercato dell’intrattenimento digitale interattivo è più florido che mai: nel 2018 (fonte Newzoo) ha incassato 121,3 miliardi di euro (+13,3% rispetto all’anno precedente), coinvolgendo 2,3 miliardi di persone, circa un terzo della popolazione mondiale.
Una cifra che surclassa gli introiti di cinema (36,9 miliardi) e musica (31,6). La percentuale di chi videogioca sale in Italia addirittura al 57% (fonte: Aesvi), anche se qui viene considerato videogiocatore anche chi lo ha fatto solo una volta nel 2017.
D’altra parte, se gli strumenti più usati per giocare sono tablet e smartphone (seguiti da console e pc), è chiaro che è più facile essere coinvolti come giocatori occasionali.
Il fatturato nazionale è di 1,47 miliardi di euro, circa tre volte quello del cinema.

 

 

- Gli eSport ai giochi olimpici?

«Troppo violenti per essere accettati alle Olimpiadi».
Thomas Bach, presidente del Cio, ha sentenziato così a proposito della possibilità che gli eSport, ovvero le competizioni sportive a base di videogame, possano diventare una disciplina olimpica.
Diventati un affare da 1 miliardo di dollari l’anno che coinvolge 380 milioni di spettatori nel mondo, gli eSport hanno varie discipline, che si dividono in base al gioco con cui ci si affronta.
E se non mancano i generi “pacati”, come le gare di calcio di Fifa 19 o le partite di carte collezionabili di Hearthstone, le competizioni di maggiore successo e con i montepremi più ricchi riguardano titoli in cui bisogna combattere, come Dota 2, League of Legends o Starcraft 2.
L’omicidio di due giocatori professionisti in Florida lo scorso agosto, da parte di uno sfidante sconfitto che insieme a loro partecipava ai campionati di Madden NFL 19 (un gioco di football americano), non ha aiutato la causa.
Ma gli organizzatori dei vari campionati puntano sull’aiuto di Tony Estanguet, plurimedagliato canoista francese nel comitato organizzatore di Parigi 2024, che ha dichiarato il suo appoggio agli eSport.





5. I 5 videogiochi più importanti di sempre

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Sono trascorsi 61 anni dal primo videogame della storia, Tennis for Two, nato al Brookhaven National Laboratory (Usa).

Ed ecco una nostra personale lista dei 5 giochi più significativi di tutti i tempi.

1. COMPUTER SPACE (1971)
È stato il primo gioco commerciale della storia, e quello che ha fatto nascere gli arcade, i giochi da bar. Pong  è stato il primo a entrare nelle case, nel 1975.
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2. PAC-MAN (1980)
Il protagonista, inventato da Tohru Iwatani guardando una pizza cui mancava una fetta, si può considerare la prima star dei videogame.
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3. TETRIS (1984)
Immortale, tanto da essere replicato periodicamente su ogni possibile console.
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4. SUPER MARIO BROS (1985)
Il videogame che ha dato la popolarità planetaria a Mario, baffuto idraulico italiano inventato in Giappone.
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5. MANIAC MANSION (1987)
Il più citato quando si parla di avventure, giochi narrativi basati sulla soluzione di indovinelli.
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