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Il fumo: una dipendenza che rovina la salute

Per dimostrare di essere grandi, per trasgredire alle regole, per compiacere agli amici, per semplice curiosità.

Oggi, come in passato, i motivi che portano ad accendere la prima sigaretta sono sempre gli stessi.

Quasi tutti sono convinti che una sola volta non può far male, perché comunque riusciranno a smettere facilmente.

Niente di più sbagliato: alla prima sigaretta segue la seconda, la terza e poi il pacchetto.

La nicotina, infatti, è una trappola da cui è difficile liberarsi, perché genera una dipendenza che può essere addirittura più forte di quella causata da altre sostanze stupefacenti.

La prima sigaretta non è mai l’ultima, perché la dipendenza da nicotina può essere più forte di quella generata da altre droghe. Ma smettere è possibile.

 

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1. Scatta la trappola

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La nicotina è una molecola di origine vegetale, appartenente alla famiglia degli alcaloidi, contenuta nelle foglie di tabacco.

La sua concentrazione nelle sigarette dipende dalla varietà di pianta utilizzata, dalle tecniche di coltivazione e anche dall’andamento stagionale.

Una volta entrata nell’organismo, è assorbita dalla mucosa respiratoria e da quella gastrointestinale e, attraverso il circolo sanguigno, raggiunge il cervello, dove stimola in particolare le aree nervose della gratificazione.

La nicotina aumenta il rilascio di dopamina, molecola che genera una sensazione di piacere, e il cervello si abitua presto a livelli elevati di questo neurotrasmettitore.

La dipendenza fisica nasce da qui: dalla necessità di mantenere alta la concentrazione di dopamina.

Infatti, fumare un pacchetto al dì significa abituare l’organismo e il sistema nervoso a ricevere, nell’arco della giornata, circa 200 boccate di nicotina. In questo modo, di fatto, la persona si sente “normale” soltanto se fuma regolarmente.

Ma non è tutto. Poiché infatti la dopamina, generando benessere, può aiutare a gestire stati emotivi come lo stress, la rabbia o l’ansia, si instaura anche una dipendenza di tipo psicologico.

La sigaretta diventa un’amica sempre presente. Espressioni come “Non so che cosa farei senza il fumo”, o “Ho paura di non poter vivere senza fumare”, sono tipiche di questo tipo di dipendenza.

Quando la nicotina non è più disponibile, il fumatore può provare un forte senso di privazione o perfino di panico.

 

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2. Fumo in rosa

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Le vittime di questa dipendenza sono ancora numerose: in Italia, fuma più di una persona su cinque, e circa il 15% dei ragazzi di età compresa fra i 15 e i 24 anni.

A 13 anni dalla legge Sirchia, si è osservato da una parte un calo dei fumatori uomini, ma dall’altra un aumento tra gli adolescenti e le donne.

Un recente studio pubblicato su Tumori Journal mostra che il numero di fumatrici dal 2016 al 2017 è aumentato da 4,6 a 5,7 milioni, soprattutto fra le adolescenti.

Negli ultimi 60 anni, nella sua ricerca di emancipazione, la donna è stata bersaglio facile delle campagne delle multinazionali del tabacco, che hanno veicolato l’idea che fumare equivale a essere libere, indipendenti e capaci.

In più, una lavoratrice che deve magari anche svolgere le mansioni domestiche e accudire i figli, può facilmente percepire il fumo come una risorsa che la aiuta a sostenere l’impegno richiesto.

Il fenomeno, comunque, non è solo italiano: i dati europei mostrano la stessa tendenza. Per invertire la rotta, occorre puntare su campagne di informazione, iniziative e provvedimenti rivolti in particolare alle categorie più a rischio.

Ma è anche necessario incentivare i percorsi di cessazione al fumo, per esempio inserendo i farmaci che aiutano a smettere nel sistema di esenzione sanitaria, almeno per i pazienti con malattie cardiache e polmonari croniche.

 

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3. Tumori e da quanto non fumi?

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  • Tumori e non solo
    Le conseguenze delle sigarette sulla salute sono infatti molte, e ben documentate.
    Nel mondo, il fumo uccide ogni anno 6 milioni di persone, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo considera la più importante causa di morte evitabile.
    Nelle sigarette, infatti, sono presenti più di 4.000 sostanze chimiche, di cui 400 tossiche e almeno 60 cancerogene.
    Le malattie per le quali la relazione con il fumo, attivo ma anche passivo, è stata dimostrata con certezza sono più di 30.
    Il cancro, in primis (non solo quello dei polmoni: molte forme tumorali sono legate alle sigarette), ma anche la bronchite cronica, l’enfisema, la fibrosi polmonare, l’infarto, l’ictus, l’aterosclerosi, l’ipertensione...
    La nicotina, in realtà, non è di per sé cancerogena, ma è tossica per il cervello e il sistema cardiocircolatorio, perché riduce il diametro dei vasi sanguigni, costringendo il cuore a pompare di più – affaticandosi – e innalzando la pressione arteriosa.
    Tale effetto è incrementato dal monossido di carbonio che si libera dalla combustione del tabacco: questo gas, legandosi all’emoglobina presente nei globuli rossi, impedisce di fatto l’ossigenazione dei tessuti e favorisce la formazione di radicali liberi, che danneggiano la parete dei vasi e favoriscono ictus e infarti.

 

  • Da quanto non fumi?
    La decisione più sensata per ridurre tutti questi rischi, oltre a quella di non iniziare a fumare, è senz’altro quella di smettere.
    I benefici, infatti, sono ben documentati. Dopo 24 ore senza fumo, il rischio di infarto inizia già a diminuire e dopo due o tre giorni l’olfatto ritorna e si apprezzano di più i cibi.
    Nei mesi che seguono, la pelle diventa più luminosa, la tosse diminuisce, la respirazione migliora.
    A un anno dalla cessazione, il rischio di morire per malattie cardiovascolari si riduce notevolmente, anche se per far tornare nella norma la mortalità per tumore occorrono anche 10 anni.
    Non esiste un metodo valido per tutti per dire addio alle sigarette. Il primo passo però è sempre capire che tipo di fumatore si è, il proprio grado di dipendenza e perché si vuole smettere.
    Gli studi mostrano che su 100 fumatori, 70 vorrebbero dire addio alle sigarette, 25 ci provano ogni anno, ma solo tre ci riescono da soli.
    I successi però aumentano se il fumatore è aiutato, ad esempio, dal proprio medico o dal farmacista.

 

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4. Se la volontà non basta e il social dà la forza

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  • Se la volontà non basta
    In Italia esistono molti centri antifumo dove poter iniziare percorsi personalizzati, usufruendo anche di un supporto psicologico.
    Il percorso inizia con la misurazione, nel fiato esalato, del monossido di carbonio e con la compilazione di un questionario che permette di valutare il livello di dipendenza.
    La fase successiva è individuare la strategia adatta, che può prevedere la somministrazione di nicotina attraverso dispositivi come cerotti, caramelle, gomme, spray e inalatori, oppure l’utilizzo di farmaci specifici (bupropione, vareniclina e citisina).
    Ampio spazio è dato all’attività di supporto psicologico (counseling) con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita del paziente.

 

  • Se il social dà la forza
    Riuscire a coinvolgere il fumatore è la chiave per ridurre gli insuccessi e anche le nuove tecnologie possono aiutare.
    Social media e app, se ben pensati, possono infatti diventare strumenti utili per ridurre il numero di sigarette fumate e smettere.
    Un recente studio dell’Università della California di Irvine (Stati Uniti) ha dimostrato che un gruppo di fumatori ha tratto beneficio dal supporto reciproco su Twitter.
    Creare una community di pazienti e stimolarla con messaggi motivazionali creati ad hoc dai centri antifumo, invitando a condividere con i vari membri i risultati raggiunti, porta a raddoppiare la probabilità di smettere.
    Risultati simili si sono ottenuti anche con le app per gli smartphone.

 

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5. E-cig: un bene o un male? Il dibattito continua

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Il Centro antifumo dell’Istituto nazionale dei tumori ha analizzato il vapore prodotto dalle e-cig, concludendo che, rispetto alle sigarette tradizionali, l’emissione di sostanze nocive è notevolmente ridotta.

Gli studi pubblicati finora invece non danno ancora una risposta certa sulla loro utilità nell’aiutare chi vuole smettere di fumare.

Un’importante ricerca, pubblicata sulla rivista Tobacco Control, ha mostrato che aggiungere le sigarette elettroniche a quelle tradizionali non facilita la cessazione dal fumo né la riduzione delle sigarette fumate.

Tuttavia, chi ha già smesso e sceglie di utilizzare solo e-cig ha più possibilità di non ritornare alle sigarette tradizionali. Un capitolo a parte riguarda gli adolescenti.

Un’analisi inglese pubblicata sul British Medical Journal ha mostrato che chi usa e-cig ha maggiori probabilità di passare alle sigarette convenzionali: a 12 mesi dalla prima rilevazione, avevano provato a fumare tabacco il 34% degli utilizzatori di sigarette elettroniche.

L’uso continuativo delle e-cig provoca una dipendenza gestuale e, quando utilizzate con liquidi contenenti nicotina, genera anche una dipendenza fisica.

È quindi probabile che i ragazzi che le usano, dopo qualche tempo, possano ricercare una maggiore gratificazione, e passino così alle sigarette tradizionali.

 

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