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Il gatto: ecco perché ne andiamo pazzi

Amatissimo e vezzeggiatissimo, il gatto è l’animale domestico che più di ogni altro ci affascina.

Non vi è civiltà che non lo abbia considerato una divinità o un simbolo di perfezione e di buon auspicio.

A lui abbiamo dedicato templi, monumenti, almeno cinquemila libri, musei (tra i più famosi il Kattenkabinet di Amsterdam e il Cat museum di Kuching, in Malesia) e persino isole, come quella di Tashiro-Jima, in Giappone, dove la “gatto-mania” ha spinto la popolazione a bandire i cani e a costruire gli edifici addirittura a forma di gatto.

Per nutrirlo e curarlo non si bada a spese. Il mercato degli alimenti per gatti ha un giro d’affari che l’anno scorso in Italia è stato di 870 milioni di euro (contro i 650 milioni di euro spesi per la pappa di Fido).

Ma da dove nasce questa passione sfrenata che l’uomo ha per il gatto? Scopriamolo insieme.

 

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1. Il legame risale a 9500 anni fa

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Il legame tra gatto e uomo ha origini antichissime.

La più antica testimonianza di convivenza con questo animale risale a 9.500 anni fa: in pieno Neolitico, a Cipro, sono stati sepolti nella stessa tomba un gatto accanto a una persona.

I resti di questo eccezionale ritrovamento appartengono a un uomo di sesso ignoto, sui trent’anni e di rango elevato; il gatto aveva circa otto mesi quando fu ucciso per essere inumato assieme al proprietario.

Le ricerche archeologiche dicono anche che il gatto era pre-addomesticato, a metà tra il selvatico e il domestico. Inoltre, poiché i gatti non sono nativi di Cipro, si pensa che vi siano stati introdotti dall’uomo.

Come è iniziato il processo di addomesticamento? È probabile che a portare il gatto ad avvicinarsi agli insediamenti umani sia stata la possibilità di disporre di un territorio di caccia ricco di prede e ben protetto. Ma questo è solo il primo passo.

Uno studio scientifico dell’équipe guidata dalla ricercatrice Claudia Edwards della facoltà di Medicina veterinaria dell’Università del Messico, ha cercato di valutare la natura dell’attaccamento del gatto verso il suo padrone.

Ebbene, dopo avere sottoposto un campione di gatti di diversa età e di diverso sesso all’Ainsworth strange situation test, che si usa per determinare il tipo di attaccamento tra madre e figlio, i ricercatori hanno potuto constatare che tra gatto e proprietario si stabilisce una relazione analoga.

Il legame affettivo nasce dal momento in cui l’uomo inizia a prendersi cura del gatto, a nutrirlo, a coccolarlo.

 

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2. Sono le donne a portarlo a casa

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L’etologo e comportamentalista francese Florance Cailliot-d’Ivernois, autore di uno studio sulle diversità dell’uomo e della donna nel rapportarsi al gatto, evidenzia come il legame tra donna e gatto è assai più profondo e intimo di quanto non lo sia con l’uomo.

Una ragione che spiegherebbe come mai vi sia una moltitudine di donne single che convivono con uno o più gatti, mentre i gattofili maschi sono quasi una rarità.

Inoltre, nove volte su dieci è la donna a decidere di adottare un gatto come animale domestico e ancora nel 90 per cento dei casi sono sempre loro che si occupano della salute dell’animale, che lo portano dal veterinario, che ne curano l’igiene e che si rendono disponibili a condividere il letto con i “ronf ronf” generati dalle fusa del micio.

L’uomo tutt’al più si occupa di dargli da mangiare. La natura del legame di attaccamento tra gatto e donna è quindi decisamente più forte.

Così come sia lecito pensare che nel processo di addomesticazione la prima mano allungata per dare al gatto una carezza o qualche avanzo della tavola sia stata proprio quella di una donna, attratta dalla compagnia di questo animale ma anche dalla sua abilità di tenere granai e case libere da topi e altri roditori.

Nella foto sotto, Socks, il gatto di Chelsea Clinton, la figlia dell’ex presidente degli Stati Uniti, ripreso da un nugolo di fotografi. Era un trovatello di strada che fu portato alla Casa Bianca e divenne una celebrità.

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3. Chi lo adotta è creativo

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Di recente, lo psicologo Sam Glosling, dell’Università del Texas, ha guidato una ricerca per confrontare le personalità di coloro che amano i gatti a quella di chi preferisce i loro antagonisti cani e per capire che cosa ci induce a scegliere uno piuttosto che l’altro.

Ebbene, dopo aver sottoposto un campione di 4.565 persone a un test basato sulle Big five personality traits, i cinque principali tratti della personalità umana (apertura, coscienziosità, estroversione, piacevolezza e suscettibilità) riferite alla teoria della Five factor model, Gosling ha evidenziato che i gattofili sono tendenzialmente più suscettibili dei cinofili, ma anche più creativi e anticonvenzionali.

Se coloro che amano i cani sono più socievoli e mostrano un maggiore senso di responsabilità, chi sta dalla parte dei gatti, invece, è più indipendente e con una più affinata sensibilità estetica.

Tuttavia, l’identificazione nell’animale non è la sola motivazione. Sam Glosling ha accertato che vi è anche una forte componente ambientale: chi sceglie un gatto spesso è cresciuto in una famiglia in cui vi sono stati dei gatti e altrettanto dicasi per chi preferisce la compagnia di cani.

Ma allora è una passione che si trasmette da madre in figlia? Verosimile. Ma chi ama i gatti non ha dubbi: gattofili si nasce e non si diventa.

 

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4. Simbolo di femminilità

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Laurence Raphael, autore del libro Il gatto nella pubblicità, sottolinea come questo animale in ambito pubblicitario sia usato per simboleggiare bellezza, lusso, raffinatezza, silenziosità e per l’appunto femminilità.

Se poi fa le fusa, aggiunge all’idea di dolcezza anche quella di piacere.

La sua immagine è così femminile che nel 47 per cento dei casi è usato per reclamizzare prodotti di uso domestico, come detersivi o elettrodomestici (di cui la donna è la principale utilizzatrice) o per messaggi pubblicitari rivolti alle donne (il 40 per cento contro un 15 per cento di target maschile).

E quando non è l’unico protagonista della réclame (43 per cento dei casi), è per lo più accanto a una donna (32 per cento), mentre solo di rado affianca un uomo (6 per cento).

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L’idea di femminilità evocata dal gatto è così forte che già dalle origini del suo rapporto con l’uomo è stato associato a figure femminili. Nell’antico Egitto, 1.700 anni prima di Cristo, è Bastet, divinità con la testa di gatto e il corpo di donna, la dea dell’amore e della fecondità.

Così come nell’Olimpo è Artemide, dea della caccia e protettrice degli animali, che ne assume le sembianze e che protegge le partorienti; e poi ancora nel Valhalla, dove risiedono gli dei vichinghi, spetta a questi felini trainare il carro di Freya, dea della bellezza e della fertilità.

Nella foto sotto, Stewie, gigante di razza Maine coon, misurava 123,5 centimetri dal muso alla punta della coda e perciò è entrato nel Guinness dei Primati. Viveva a Reno, nel Nevada, con Robin Hendrickson. È morto nel febbraio del 2013.

 

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5. Come nasce la cattiva fama del gatto nero

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Alzi la mano chi non si è mai fermato davanti a un gatto nero che attraversa la strada?

Per la maggior parte degli italiani procedere significherebbe accaparrarsi guai e malasorte, dal momento che il felino nel nostro Paese è sinonimo di sfortuna.

Un luogo comune che ha preso origine nel Medioevo, quando era considerato il diabolico compagno delle streghe: notturno, silenzioso e malvagio.

Ma fatta eccezione per la brutale sorte subita durante l’Inquisizione, quando era bruciato con le streghe o torturato per invocare il maligno, il gatto è per molti un simbolo di buon auspicio.

In Francia e in Inghilterra, come anche nella maggior parte del Nord Europa, è un potentissimo portafortuna, tanto che chi non ne possiede uno in carne e ossa, spesso ne detiene una miniatura.

In Oriente, il Mi-ké (la varietà tricolore del Japanese bobtail, razza raffigurata nell’arte già nell’XI secolo e nota per la curiosa coda a “pompon”) è un fuoriclasse della buona sorte.

Tanto da avere ispirato il popolarissimo Maneki neko, il gatto felice che saluta, presente in ogni negozio orientale che quando solleva la zampa sinistra porta bene mentre quando alza la destra porta soldi.
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Curiosità: Oggi esistono 54 razze, ecco le più curiose
All’inizio del 1800 erano ufficialmente riconosciute 16 razze di gatto domestico; oggi, a seguito del lavoro di selezione degli allevatori, se ne contano 54 a cui si devono aggiungere una dozzina di varietà di persiani e di orientali. In Europa si stima che degli oltre 40 milioni di gatti, solo l’8 per cento è di razza.
Ecco le razze più curiose, originate per mutazioni spontanee.

- American curl, con le orecchie arricciate;
American curl

- Scottish fold, con le orecchie piccolissime;
Scottish fold

- Siamese, testa triangolare e coda lunghissima;
Siamese

- Devon rex, con la pelliccia da pecora;
Devon rex

- Selkirk Rex, con il pelo riccio e lungo;
Selkirk Rex

- Munchkin, con le zampe corte;
Munchkin

- Manx, senza coda;
Manx

- Main Coon, il primo gatto di razza americana.
Main Coon

 








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