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Impariamo a dire no

«Potresti tenermi i gatti mentre sono via?»; «Per le prossime vacanze siamo tutti d’accordo di andare in Spagna. Anche a te va bene, vero?»; «Questo lavoro non è di tua competenza, ma lo puoi fare lo stesso?».

Quante volte ci capita di dire di sì anche se non vorremmo, solo per paura che un nostro rifiuto ci faccia perdere la stima degli altri?

Essere troppo accondiscendenti, però, ci porta a tenerci dentro quello che non ci va giù e quindi a soffrire.

Darla sempre vinta agli altri ci rende più considerati e amati? Secondo gli psicologi, l’eccessiva disponibilità è un clamoroso autogol.

Ecco come trovare una giusta via di mezzo tra arrendevolezza ed egoismo.

1. Gentili, ma non compiacenti

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Dire di no è importante, spiegano gli psicologi.

Talvolta è paradossalmente l’eccessiva arrendevolezza a renderci poco apprezzati.

Essere disponibili dimostra gentilezza, mentre essere sempre a disposizione rasenta l’assenza di un’identità e la mancanza di un senso del limit.

Per paura di trovarsi respinti o per evitare i conflitti optiamo per una falsa compiacenza.

Facciamo lo stesso errore anche in amore, quando temendo di essere lasciati finiamo col rinunciare alle nostre esigenze, salvo poi rendercene conto troppo tardi.

Lo segnalano i dati elaborati dallo studio milanese di matrimonialisti Family Legal, che ha rilevato, nella fascia di età 65-85 anni, tra un 35 e un 40 per cento di separazioni in più nel 2014 rispetto all’anno precedente.

Le motivazioni? Prima di tutto la maggiore pretesa del diritto alla felicità: ci si sente giovani più a lungo e ci si vuole rifare una vita dopo anni di abnegazione al partner che hanno signi cato troppe rinunce.

2. Il segreto è l’assertività e il dovere di non trascurarsi

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  • Il segreto è l’assertività
    Per gli psicologi il benessere si trova nell’assertività.
    Davanti a una richiesta alla quale vorremmo rispondere di no, ma a cui ci sentiamo di dover accondiscendere per non deludere l’altro, tendiamo troppo spesso a reagire in due modi opposti: a rifiutare aggressivamente («Non mi sogno minimamente di farti questo favore») o a dire di sì controvoglia.
    La tattica migliore è invece l’assertività, ovvero l’analisi razionale di ciò che ci viene chiesto.
    Può seguire quindi un onesto “no” e una spiegazione delle nostre ragioni, nelle quali dobbiamo credere fermamente senza paura delle reazioni altrui.
  • Il dovere di non trascurarsi
    Questo modo di pensare rende i rapporti interpersonali più chiari e semplici.
    L’assertività implica infatti empatia e rispetto: l’assertivo che dice di “no” lo fa in modo da non urtare l’altro. Così facendo non mortifica nemmeno se stesso.
    Cercare di amare gli altri trascurandoci crea disistima.

3. Conformisti, avvantaggiati e non ai troppi sì

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  • Conformisti e avvantaggiati
    Tuttavia, uniformarci agli altri è inevitabile, in momenti complicati.
    Lo vediamo oggi, con la tendenza sempre più diffusa a “salire sul carro del vincitore”, seguendo l’opinione più in voga invece di motivare la nostra quando può non essere apprezzata dagli altri.
    Questo comportamento è iscritto nei nostri geni: nel 2009 il neurologo Vasily Klucharev del Donders center for cognitive neuroimaging di Nijmegen (Olanda) spiegava in uno studio sulla rivista Neuron che il nostro cervello è fatto per adeguarsi all’opinione e al comportamento della maggioranza.
    Tramite risonanza magnetica, i neurologi avevano rilevato, in un esperimento, l’attivazione di due aree cerebrali connesse ai comportamenti sociali, dimostrando come esse entrino “in allarme” quando esprimiamo un’opinione difforme dalla media.
    Il vantaggio di questo sistema? Uniformarci ci ha permesso, nell’evoluzione, di incrementare il senso di appartenenza alla comunità.
  • Troppi “sì” danno da pensare
    Il problema nasce quando il conformismo è frutto di opportunismo o di timore di essere giudicati dagli altri.
    In questi casi rappresenta una forma di patologia della personalità. Del resto, perfino Dante nella Divina Commedia ha posto i conformisti tra gli ignavi.
    Purtroppo, molti convivono tutta la vita con questi timori: il divulgatore tedesco Rolf Sellin nel suo recente Le persone sensibili sanno dire no (Feltrinelli 2013) spiega che queste persone non sono ben viste: «Un bambino ipersensibile che cerca di adattarsi alla maggioranza lo fa perché non si rende conto di che cosa ha bisogno, non ha percezione di sé né ha consapevolezza della sua forza e della sua debolezza e non sa individuare i propri limiti».

4. Paghiamo pegno da adulti

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  • Paghiamo pegno da adulti
    Proprio su questi temi Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, ha condotto uno studio sottoponendo 250 giovani under 30 ad alcuni questionari con l’obiettivo di identificare un legame tra stile educativo ricevuto e approccio alla conflittualità.
    Il risultato? Bambine educate al senso di colpa rispetto ai propri sentimenti di dissenso diventano con maggior frequenza adulte autolesioniste e ansiose, mentre nei maschi il blocco dell’esplicitazione delle emozioni spinge a comportamenti aggressivi.
    Insomma, imparare a esprimere il disaccordo è alla base della socialità.
  • “Bastian contrario” non si nasce. Lo si diventa.
    Loro sanno solo dire di no: sono convinti di detenere la verità su tutto e sono sempre controcorrente.
    Questi soggetti hanno un arresto nello sviluppo nel secondo anno di vita e in mancanza di un senso di identità affermano se stessi con la negazione. Non riescono a essere assertivi, il che prevede assenza di aggressività.
    Sono spesso persone che fanno fatica ad affermarsi, a sentire di essere riconosciute: contestano continuamente per dimostrare a se stessi che anche loro hanno le loro ragioni.
    Questo li fa sentire meglio, anche se in realtà vanno incontro a delusioni.





5. Come imporre le nostre idee in 6 mosse

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Ecco qualche consiglio.

  1. Pensiamo che abbiamo il diritto di dire “no” senza sentirci in colpa. I rapporti sono a due sensi: se la persona a cui diciamo di no si risente e dice «Se tu fossi un vero amico non mi diresti di no», noi possiamo fargli notare che se lui fosse un vero amico non insisterebbe.
  2. Adottiamo un atteggiamento non aggressivo. Anziché dire un secco no, cerchiamo di essere costruttivi e cortesi. Prestiamo attenzione all’altro, ascoltandolo per comprendere la sua posizione.
  3. Spieghiamo all’altro la nostra posizione e facciamogliela rispettare, senza mai aggredire.
  4. Proponiamo un’alternativa al nostro no. Ad esempio: «Questa settimana non posso accompagnarti, posso farlo la prossima».
  5. Usiamo l’ironia per alleggerire la tensione di una risposta negativa. «Sai farcela benissimo anche senza di me, sei la massima autorità su questo argomento!».
  6. Usiamo la tecnica del “disco rotto”, quando con la diplomazia non riusciamo a imporci e il nostro interlocutore è insistente. Ad esempio con il venditore porta a porta: non forniamo alcun tipo di giustificazione o informazione, ma ripetiamo con calma e sistematicità il nostro “no” di disinteresse.







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