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Karl Marx, il padrino della rivoluzione

All’inizio della sua opera più famosa, Il manifesto del Partito Comunista del 1848, Karl Marx scrisse un’inquietante profezia: “C’è uno spettro che infesta l’Europa. È lo spettro del comunismo”.

In realtà si trattava di un’esagerazione: i comunisti all’epoca erano pochi in qualunque paese li si cercasse e non erano certo loro a guidare le rivoluzioni che quell’anno esplosero in Francia, in Germania, nell’Impero Austro-Ungarico e altrove.

Solo nel 1917, con la caduta dello Zar Nicola II e la presa del potere in Russia da parte dei bolscevichi di Lenin, il comunismo marxista divenne una forza con cui il mondo doveva fari i conti.

E, dopo la rivoluzione di Mao Tse-tung in Cina nel 1949, per un certo periodo più di metà della razza umana è stata governata da principi almeno formalmente derivati da Marx.

Il suo fiero volto barbuto ha osservato il mondo da innumerevoli dipinti, poster e statue, quasi a dire: “Io ho fatto accadere tutto ciò… o quantomeno ho spiegato perché era storicamente inevitabile che accadesse. Andate e seguite il mio esempio”. E masse sterminate di seguaci lo hanno fatto per davvero.

Nell’anno del bicentenario della nascita di Karl Marx, vi raccontiamo come un dissidente povero in canna divenne uno dei pensatori più influenti della storia del mondo.

Come e perché Marx sia diventato uno dei pensatori più influenti della storia? Scopriamolo insieme.

 

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1. Marx, uno dei pensatori più influenti della storia del mondo

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Come e perché Marx sia diventato uno dei pensatori più influenti della storia è argomento che merita una riflessione, soprattutto nell’anno del bicentenario della sua nascita, avvenuta il 5 maggio 1818 nella cittadina tedesca di Treviri, non lontano dal confine con la Francia.

Già in giovinezza Marx si distinse per risolutezza, ambizione e per l’intenso desiderio di rendere migliore la vita di tutti gli esseri umani.

Nel 1869, mentre si trovava ad Hannover, nel corso di un gioco di società vittoriano chiamato “Confessioni” descrisse la sua “caratteristica principale” come “concentrazione su un singolo scopo”.

Studiò prima legge a Bonn, poi filosofia a Berlino, e la sua visione del mondo fu profondamente influenzata dal più famoso filosofo dell’epoca, Hegel. Nel 1843 lo ritroviamo come giornalista radicale a Colonia.

Nel 1844-1845, in parte per influsso di Friedrich Engels – un altro hegeliano, destinato a diventare il partner intellettuale della sua vita – aderì al comunismo, considerandolo l’unica soluzione possibile ai mali del proletariato industriale che stava emergendo in Gran Bretagna e in altri paesi.

Poco dopo, lui ed Engels stesero la loro “concezione materialistica della storia”, che spiegava come era nato il capitalismo e perché il sistema della proprietà privata e della concentrazione della ricchezza fosse la chiave per comprendere tutte le società umane.

Nel 1848, tuttavia, le vite dei due furono sconvolte dall’ondata di rivoluzioni che spazzò l’intero continente europeo.

Marx fu arrestato (con l’accusa di aver finanziato il movimento rivoluzionario) e dapprima fu esiliato da Bruxelles a Parigi, poi costretto a riparare a Londra, dove giunse nel giugno del 1849 e rimase fino alla morte.

In esilio visse per vari anni nel quartiere di Soho in estrema povertà, tanto da doversi spesso appoggiare all’aiuto dell’amico Engels che lavorava nella filatura di cotone del proprio padre a Manchester. La fedelissima moglie, Jenny von Westphalen, gli diede sette figli, quattro dei quali non sopravvissero all’infanzia.

Si pensa che abbia avuto anche un figlio illegittimo dalla sua cameriera Helene Demuth: il bimbo, chiamato Frederick Demuth, venne dato in adozione e fu Engels a reclamarne la paternità nel tentativo di salvare la reputazione di Marx dai molti detrattori che la attaccavano.

 

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2. La merciaia morta di fatica

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Marx impiegò gran parte dei trentaquattro anni in cui visse a Londra per fare ricerche e stendere il suo testo più importante, Il Capitale (in tedesco Das Kapital), scritto quasi interamente sotto la grande cupola della sala di lettura del British Museum, che aveva aperto i battenti nel 1857.

Nella foto a sinistra, illustrazione del 1907 che riproduce la sala di lettura del British Museum, dove Marx trascorse interminabili ore facendo ricerche e stendendo la sua opera più importante, Il Capitale.

Buona parte dei contenuti del libro, pubblicato nel 1867, non veniva dall’esperienza personale di Marx bensì dai “Blue Books” che includevano i risultati di ispezioni presso varie fabbriche del Regno Unito.

Lì era descritto il progresso del settore industriale e di quello minerario, del commercio e dell’agricoltura, spesso con dettagli che mettevano in luce la lunghezza oppressiva degli orari di lavoro e le terribili condizioni dei lavoratori.

Marx si avvalse anche dei giornali – a un certo punto trascrisse la tragica storia di Mary Anne Walkley, una merciaia londinese morta di sfinimento a vent’anni dopo aver lavorato per trenta ore di seguito – e dei rapporti medici, tra cui uno del 1875 secondo il quale l’aspettativa di vita della classe medio-alta di Manchester era di trentotto anni, mentre quella della classe lavoratrice era di diciassette.

Ebbe anche un ruolo attivo nella comunità dei lavoratori tedeschi immigrati a Londra e una parte sempre più preponderante nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, ente fondato nel 1864 che arrivò a contare centinaia di migliaia di aderenti in tutta Europa.

Quando alla fine della Guerra franco-prussiana (1870-1871) una rivolta della classe operaia diede vita alla volatile Comune di Parigi, il nome di Marx venne associato da molti a quest’ultima e agli spargimenti di sangue che seguirono, tanto da fare di lui in breve tempo – nelle parole di Engels – “l’uomo più odiato e calunniato di quest’epoca”.

A dispetto di qualunque critica, Marx non smise mai di credere in se stesso, anche se la sua straordinaria fiducia aveva un rovescio: l’impulso di conoscere assolutamente tutto su un argomento prima di poterne scrivere.

La sua produzione si trascinava tra parentesi di vuoto lunghe anche anni, necessarie per imparare nuove lingue (in particolare il russo) e prendere una quantità infinita di appunti.

Per giunta in vecchiaia Marx fu affetto da emorroidi, reumatismi, carbonchio, disturbi al fegato e alla pelle e insonnia: tutti problemi che lo tenevano lontano dallo scrittoio anche per periodi prolungati.

Fu di certo per questo che non raggiunse fama mondiale durante la sua vita: quando morì, nel 1883, il suo nome non era particolarmente noto. 

 

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3. Il socialismo dilaga

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Tuttavia già poco dopo la sua scomparsa, con l’Europa nella morsa della crisi economica e il dilagare su vasta scala del socialismo, si formò attorno alla sua figura un vero e proprio culto, ed entro una ventina d’anni la sua visione di un mondo in cui nuove forze di produzione avrebbero potuto nutrire, vestire e dare una casa e uno standard di vita migliore a gran parte della classe lavoratrice arrivò a ricevere plauso internazionale.

Ormai il suo pensiero era collocato al di sopra di quello di qualunque altro teorico del socialismo, inclusi Robert Owen, Charles Fourier e Henri de Saint-Simon.

Marx è sepolto a Londra nel cimitero di Highgate, in una tomba su cui, sotto una scultura della sua testa, campeggia l’incisione “Lavoratori di ogni paese uniti” e ancora sotto “I filosofi hanno soltanto interpretato il mondo in vari modi, ma il vero punto della filosofia è cambiarlo” (citazione da una delle sue prime opere, le Tesi su Feuerbach).

Si tratta senz’altro di epitaffi calzanti: Marx era sempre stato un uomo d’azione con l’obiettivo primario di salvare il proletariato – ossia, in una società industriale, la stragrande maggioranza della razza umana – dall’avidità e dalla disumanità del capitalismo.

L’idea di base, a cui Marx era approdato nel 1848, era in sé piuttosto semplice: il capitalismo produce crisi periodiche nelle quali i più ricchi riescono a sopravvivere e persino ad arricchirsi ulteriormente – vendendo al costo di produzione o persino a meno se necessario – mentre i più poveri sono costretti a soccombere.

La ricchezza tende dunque a concentrarsi seguendo questo schema, mentre la classe lavoratrice scende a livelli di sussistenza o anche sotto.

Alla fine, nel pensiero di Marx, sarebbe necessariamente giunta una crisi nella quale una classe lavoratrice, finalmente consapevole dell’alternativa offerta dal socialismo e unita dalla solidarietà della coscienza di classe (in parte grazie anche alla natura sempre più sociale e cooperativa della produzione su larga scala nelle fabbriche), avrebbe rovesciato di sua iniziativa il sistema.

Dopo la caduta della borghesia – o classe media capitalista – la classe lavoratrice avrebbe dato forma a una nuova società in una fase di transizione che Marx a volte chiamò “dittatura del proletariato”, nella quale i lavoratori manuali (che nella tarda società vittoriana britannica costituivano l’85 per cento della popolazione) avrebbero assunto il controllo della democrazia.

Alla produzione per profitto si sarebbe sostituita la produzione per necessità, organizzata da forme di pianificazione centralizzate, e tutti i lavoratori avrebbero ricevuto il dovuto in base al principio: “A ciascuno secondo la sua abilità e i suoi bisogni!” 
Nella foto sotto, la tomba di Karl Marx nel cimitero di Highgate, Londra.

 

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4. Lo stato cessa di esistere

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Secondo la filosofia marxista, l’ultima fase della società comunista avrebbe visto il tramonto definitivo di ogni forma di autorità coercitiva.

La produzione e l’educazione si sarebbero integrate l’una con l’altra e a sovrintendere al lavoro di tutti sarebbero stati direttori eletti e sostituibili che avrebbero ricevuto uno stipendio medio.

Una volta abolite del tutto le classi sociali, lo stato avrebbe cessato di esistere. Inoltre l’introduzione di nuovi macchinari avrebbe garantito maggior tempo libero a tutti, rendendo possibile lo sviluppo umano di ogni individuo e non solo dei più ricchi.

In età avanzata Marx ritrattò le proprie affermazioni giovanili più forti sull’idea di “alienazione” del processo produttivo, preferendo porre maggiore accento sull’aumento del tempo libero e sulla possibilità di educare chiunque, ma non mise mai in dubbio né le virtù né la raggiungibilità dello scopo ultimo: la fine dello sfruttamento umano.

Dovettero passare trent’anni dalla sua morte prima che le sue teorie venissero messe alla prova nel mondo reale, e quando ciò accadde – nella rivoluzione bolscevica che spazzò la Russia nel 1917 – l’impatto fu più gigantesco di quanto chiunque si fosse mai aspettato.

Verso la fine della sua vita Marx giunse ad ammettere che la rivoluzione avrebbe potuto avere luogo in un paese sottosviluppato, in particolare proprio la Russia. L’affermazione, però, costituiva un problema, poiché Marx aveva elaborato le sue teorie prendendo a modello un paese con standard di vita ben più alti.

Tuttavia a distaccare realmente la rivoluzione bolscevica dalle previsioni marxiste fu il fatto che venne guidata da un partito minoritario, che si sentì poi costretto a reggere le redini del potere con la paura.

È fuor di dubbio che Marx non avesse né previsto né auspicato la dittatura che emerse in Russia con Lenin, Stalin e la famigerata polizia segreta, né tantomeno pronosticato la rapidità con cui il bolscevismo avrebbe spinto l’adozione delle sue idee in tutto il pianeta.

Nel libro L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916) Lenin portò la teoria marxista dello sfruttamento a un livello del tutto nuovo, implicando che la si potesse applicare a qualunque area del mondo conquistata e occupata.

Dopo il 1945, cogliendo l’opportunità offerta dalla bancarotta di quasi tutti i grandi imperi europei, milioni di persone cominciarono ad associare il nome di Marx all’autodeterminazione politica, all’indipendenza nazionale e alla restituzione della terra a chi la coltivava.

Marx divenne un faro di uguaglianza, dignità e potenziale benessere per tutta la razza umana: obiettivi da raggiungere non con la competizione e l’antagonismo, ma in un clima di solidarietà, armonia e sostegno reciproco.

Sulle prime i regimi che si schierarono sotto il nome di Marx ottennero davvero molto in questa direzione:
- in Cina milioni di cittadini vennero liberati dalla povertà, dalla dipendenza dall’oppio e dal feroce dominio dei proprietari terrieri;
- l’Unione Sovietica riuscì a industrializzare il paese in sole due generazioni (per quanto a un costo terribile), contribuì non poco alla sconfitta di Hitler e, a dispetto delle ingenti devastazioni subite nella Seconda guerra mondiale, raggiunse un elevato standard di vita, superando persino per breve tempo gli Stati Uniti nella “corsa allo spazio”, quando Jurij Gagarin divenne il primo uomo ad andare in orbita nell’aprile del 1961.

Nella foto sotto, Marx, Engels, Lenin e Stalin troneggiano sul popolo sovietico in un poster del 1953. La rivoluzione bolscevica fece del marxismo una delle ideologie più potenti della storia umana.

 

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5. Disillusione di massa

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Durante la Guerra Fredda una larga fetta della razza umana si trovò divisa tra l’attrazione per le ricche democrazie capitaliste occidentali guidate dagli Stati Uniti e la critica marxista-leninista e maoista che proclamava che, dato il potere eccessivo delle classi più ricche e delle corporazioni, il capitalismo semplicemente non può essere democratico.

Gente di tutto il mondo applaudì vari tentativi di conquistare la libertà dalle catene della dominazione capitalista internazionale, in particolare a Cuba, dove Che Guevara divenne un grande simbolo dell’epoca delle rivolte studentesche, e in Vietnam, dove gli Stati Uniti parvero schierarsi a sostegno di un regime corrotto e reazionario.

Negli anni Sessanta, poi, la riscoperta degli scritti giovanili di Marx e in particolare della teoria della “alienazione” nelle Carte Parigine del 1844 contribuì a dare forma al pensiero della “Nuova Sinistra” e a fare di Marx stesso un anti-stalinista.

Purtroppo gli stati comunisti non riuscirono a mettere in atto un effettivo controllo del popolo sulle élite di potere sempre più privilegiate e fossilizzate, e spesso si ridussero a perseguitare qualunque forma di dissidenza.

Quando i tentativi di liberarsi dal modello sovietico in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968 andarono incontro a feroci repressioni, quella che si verificò fu una vera disillusione di massa: il comunismo ora sembrava, nelle parole del leader studentesco francese Daniel Cohn-Bendit, “qualcosa di obsoleto”.

In Cina la Rivoluzione Culturale prese di mira le persone più istruite, uccidendone migliaia ed esiliandone ancora di più dal paese per un decennio.

Poi, con il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, motivato in larga parte dall’impossibilità di tenere il passo degli Stati Uniti nella corsa agli armamenti, il fallimento del modello marxista sembrò completo: nella lotta tra le ideologie del mondo moderno aveva palesemente vinto il capitalismo, e Marx parve destinato a diventare un’anomala nota a pie’ di pagina nel catalogo delle imprese umane.

Eppure oggi, dieci anni dopo la crisi finanziaria del 2008, il rinnovarsi dell’interesse per Marx è evidente.

La crescente concentrazione delle ricchezze da un lato e l’aumento esponenziale della povertà dall’altro sta rendendo di nuovo pertinenti le sue analisi, soprattutto per una generazione cresciuta nell’austerità e che si trova di fronte prospettive assai meno rosse di quelle della generazione precedente.

Insomma, nell’anno del suo bicentenario Marx non ha più l’aspetto di uno spettro, anzi potrebbe avere ancora qualche sorpresa in serbo.

Nella foto sotto, i ritratti di Marx ed Engels a Pechino nel 1973, durante la Rivoluzione Culturale. I tentativi di Mao Tse-tung di preservare l’ideologia marxista “pura” fecero un gran numero di vittime.

 

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