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La gerarchia nazista di Hitler

Nonostante la sua straordinaria capacità di trascinare le folle, Hitler non sarebbe mai riuscito a tenere in piedi la Germania senza una schiera di fedeli collaboratori.

Essi non si limitavano a trasmettere passivamente gli ordini, ma spesso si dimostravano “più realisti del re”, interpretandoli con grande zelo (come fu evidente nel caso dello sterminio degli ebrei) e spingendo l’opinione pubblica tedesca ad aderire al nazismo in modo totale e assoluto.

In effetti, Hitler aveva bisogno di questa squadra perché la sua preparazione personale era assai carente in tutti i campi, dall’economia alla finanza alla politica estera. Alcuni gerarchi, invece, avevano una carriera militare alle spalle, altri provenivano da solide famiglie, che avevano garantito loro un’educazione completa e raffinata.

Comunque tutti si lasciarono conquistare dal carisma di Hitler e dal sogno di un Germania di nuovo potente che avrebbe vendicato l’onta di Versailles e misero a disposizione del regime conoscenze e competenze.

In molti casi, però, fu solo la fedeltà al Führer, cieca e assoluta, a far scalare loro le vette del potere nel Reich nazista. Parecchi gerarchi condivisero con Hitler il confuso periodo del dopoguerra, tra il 1919 e il putsch di Monaco, mentre solo pochi altri si unirono a lui in seguito.

Tutti evitarono ogni possibile ambiguità politica e rimasero sempre fedeli alla linea dettata dal capo. Quando nella primavera del 1945 la follia di Hitler, incapace di immaginare una soluzione politica alla sconfitta militare, portò la Germania nel baratro finale, alcuni fedelissimi rifiutarono di continuare a vivere e si suicidarono.

Altri persero invece ogni dignità e cercarono in qualsiasi modo la salvezza. Altri ancora andarono incontro al processo e a lunghe pene detentive.

Da Goebbels a Himmler, da Göring a Heydrich, da Bormann a Eichmann: gli “angeli custodi” del Führer sono tristemente noti per la loro crudeltà e per i crimini che commisero.

Ebbero un ruolo fondamentale nel sostenere il regime e nel manipolare l’opinione pubblica, soffocando ogni dissenso.

 

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1. Heinrich Himmler, comandante in capo delle famigerate SS

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Nato a Monaco di Baviera nel 1900, fu una delle personalità più importanti del Terzo Reich, secondo, con Göring solo a Hitler.

Nella Prima Guerra mondiale era troppo giovane per arruolarsi, così nel 1919 entrò nei Freikorps per «lavare l’onta di Versailles», come ebbe a dire allora.

Tre anni dopo si iscrisse al neonato partito nazionalsocialista, con la tessera n° 156 e partecipò al putsch di Monaco.

Venne considerato un personaggio talmente di secondo piano che non ricevette alcuna condanna, anche se fu licenziato dal suo impiego in una azienda di concimi.

Ma nel 1925, non appena il partito venne ricostituito, ne scalò rapidamente la gerarchia finché nel 1927 entrò a far parte delle Schutzstaffel (Squadre di protezione), le famigerate SS, che erano la guardia del corpo personale di Hitler, inizialmente costituite da poche decine di uomini, la cui fedeltà al Führer era a tutta prova.

Arrivato a comandare la struttura nel 1929, Himmler ne sceglieva a uno a uno i membri assicurandosi che l’aspetto fosse “ariano”. Non a caso, il loro motto era Meine Ehre heißt Treue (Il mio onore si chiama fedeltà).

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Nel 1934 le SS raccoglievano 50mila persone, un numero ancora molto lontano dai 2 milioni di componenti le Sturmabteilung o SA, cioè le squadre guidate da Ernst Röhm.

Tuttavia, nella notte del 30 giugno 1934 (la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”) furono proprio le SS di Himmler a eliminare di sorpresa tutti i capi delle SA su ordine di Hitler: lo stesso Himmler creò delle false prove di tradimento a carico di Röhm per giustificare il massacro all’opinione pubblica tedesca.

Nel 1936 Himmler venne premiato con la carica di comandante in capo di tutta la polizia tedesca (compresa la temibile Gestapo, la polizia segreta), una promozione che lo metteva sullo stesso livello di un ministro.

Da quel momento, già potentissimo, vide crescere ancora di più le sue prerogative attraverso il controllo che esercitò sull’eliminazione degli ebrei dalla Germania prima e dall’Europa occupata poi.

La decisione di uccidere fisicamente tutti gli ebrei venne presa solo nella cosiddetta conferenza di Wansee nel gennaio 1942, ma già dal 1933 Himmler aveva introdotto a Dachau i lager, cioè i campi di concentramento dove rinchiudere tutti gli oppositori del regime e, dopo il pogrom della “notte dei cristalli” (9 novembre 1938), anche gli ebrei.

Nell’aprile del 1945, dopo la disfatta tedesca nella Seconda Guerra mondiale, Himmler tentò di salvarsi abbandonando Hitler e intavolando trattative private con gli inglesi.

Ma dopo il suicidio del Führer cambiò idea e cercò di entrare nel governo del suo successore, l’ammiraglio Doenitz; al suo rifiuto, tentò nuovamente di patteggiare la resa con gli inglesi.

Catturato, il 23 maggio, durante un interrogatorio, ingerì una capsula di cianuro e morì. Il cadavere venne sepolto in un bosco vicino a Luneburgo e mai più ritrovato.

 

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2. Hermann Göring, il ministro dell’Aviazione che amava l’arte

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Nato a Rosenheim nel 1893 da una ricca famiglia, nella Prima Guerra mondiale fu un famoso pilota da caccia con 22 vittorie al suo attivo.

Nel 1921 conobbe Hitler con cui entrò subito in sintonia, diventandone il tramite con l’alta società.

Dopo il putsch di Monaco, fuggì all’estero finché non fu graziato nel 1927. Era rimasto ferito all’inguine e per lenire i dolori era stata usata la morfina e lui ne era rimasto dipendente.

Rientrato in Germania, Hitler lo fece eleggere al Reichstag di cui fu nominato presidente. Da qui facilitò la scalata al potere di Hitler: fu lui infatti, dopo l’incendio del Reichstag, a premere perché gli oppositori ai nazisti venissero messi fuori legge.

Nel frattempo era diventato ministro della Aviazione nonché degli Interni della Prussia. Il momento decisivo, per lui come per gli altri gerarchi, fu la grande epurazione della “notte dei lunghi coltelli” (30 giugno 1934).

Con Himmler, pianificò l’operazione dirigendola dal suo ufficio: «Himmler leggeva lentamente i nomi degli elenchi gualciti e strappati», dichiarò in seguito un testimone.

«Göring e Reichenau annuivano o scuotevano la testa, Koerner portava fuori le loro decisioni con l’aggiunta di un perentorio Vollzugsmeldung (dare conferma)».

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Nei confronti degli ebrei sembra che Göring fosse meno fanatico: dopo la “notte dei cristalli”, il pogrom del 9 novembre 1938 da lui stesso aizzato con un violento discorso, si lamentò perché erano andati distrutti troppi negozi per i quali le assicurazioni avrebbero dovuto pagare rimborsi.

Göring non si faceva scrupolo di proteggere ebrei che gli erano utili, come i mercanti d’arte che gli procuravano i capolavori di cui era collezionista (la sua collezione valeva l’astronomica cifra di 50 milioni di marchi).

Un’altra sua passione era la caccia, in pieno disaccordo con Hitler. Nel 1935 Göring fondò la nuova Luftwaffe, l’aviazione militare della Germania nazista.

L’anno successivo venne nominato responsabile dello sviluppo economico del Paese e incaricato di portare a termine un piano quadriennale in vista della guerra imminente: ne approfittò diventando ricchissimo. In particolare fu incaricato del saccheggio delle risorse economiche dell’Unione Sovietica.

Il suo prestigio (nel 1941 era stato indicato espressamente come successore di Hitler) declinò con le sconfitte della Luftwaffe nella battaglia di Inghilterra, poi a Stalingrado nell’inverno 1942-43 (quando gli aerei tedeschi non riuscirono a rifornire l’armata intrappolata dai russi) e nel 1944 quando cominciarono i bombardamenti sulle città tedesche.

Göring si chiuse in se stesso, diventando obeso ed estraniandosi dai suoi compiti politici. Si riscosse solo negli ultimi giorni, quando tentò inutilmente di succedere a Hitler suicida. Catturato dagli americani, fu processato a Norimberga.

Condannato a morte per impiccagione, riuscì a procurarsi una capsula di cianuro che ingerì il 15 ottobre 1946, la notte prima dell’esecuzione. Il suo cadavere venne mostrato ai testimoni, cremato e disperso in un fiume vicino.

 

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3. Paul Joseph Goebbels: il giornalista-filosofo che sapeva manipolare l’opinione pubblica

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Nacque a Reydt, una città della Bassa Renania, nel 1897 in una famiglia di solide tradizioni cattoliche.

Era affetto da una deformazione al piede che lo fece zoppicare per tutta la vita.

In seguito sostenne che era la conseguenza di una ferita di guerra, ma era impossibile perché, proprio a causa di questo problema, era stato scartato alla visita militare.

Laureatosi in filosofia, fece per un po’ il giornalista, avvicinandosi subito al nazismo, per quanto su posizioni diverse da Hitler. Solo nel 1926 si convertì alle idee del futuro Führer che lo ripagò nominandolo Gauleiter, capopartito, di Berlino.

Qui Goebbels mise in luce le sue capacità propagandistiche conquistando all’ideologia nazista i quartieri operai da sempre di sinistra. Fu promosso a ministro della Propaganda nel 1933 e in questa veste controllò ogni aspetto della vita culturale tedesca.

Riteneva che andasse esercitata un’azione di intelligence sugli umori della popolazione per pianificare la manipolazione dell’opinione pubblica.

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Le informazioni dovevano essere trasmesse in modo accattivante, sfruttando i media più incisivi come la radio e il cinema.

In guerra considerò la diffusione delle informazioni come una vera e propria arma da usare per confondere il nemico (nel marzo del 1942 scrisse: «È meglio che gli inglesi credano soltanto di aver ottenuto grandi successi nella guerra aerea piuttosto che li abbiano davvero conseguiti»).

«Costa molta fatica assemblare in modo corretto il rullo delle notizie settimanali ma ne vale la pena», scrisse nei suoi diari; «milioni di persone ricavano da questi notiziari la loro visione della guerra, delle sue cause e dei suoi effetti».

Nell’aprile del 1945, quando tutto era perduto, venne nominato da Hitler suo successore. Rimase in carica due giorni, giusto il tempo di inviare la resa ai generali russi.

Il 1° maggio la moglie Magda addormentò con la morfina i loro sei figli e poi li uccise rompendo loro in bocca una pastiglia di cianuro. Poi Paul uccise lei con un colpo di pistola, suicidandosi subito dopo.

 

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4. Reynhard Heydrich, il Boia di Praga

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Nacque a Halle il 7 marzo 1904, ereditando dal padre, musicista e compositore, la passione per il violino.

Si arruolò nei Freikorps dopo la Prima Guerra mondiale e nel 1922 passò in Marina. Nel 1929 ebbe una relazione con la figlia di un superiore che poi abbandonò per un’altra donna.

Il superiore allora lo sospese, lo fece processare e infine espellere. La sua carriera nel partito nazista iniziò in sordina.

Nel 1931 Himmler cercava qualcuno per organizzare un servizio segreto all’interno delle SS: il nome di Heydrich venne fatto da un gerarca nazista della Baviera.

Il suo lavoro era fondamentale: doveva costruire un archivio di notizie riservate su tutte le persone che potevano rappresentare una minaccia per Hitler e il partito.

Ciò gli diede grande influenza e seppe usarla per scalare la gerarchia. Quando Hitler prese il comando, Heydrich venne nominato capo della Gestapo, la polizia segreta di Stato, e il suo potere crebbe a dismisura.

Nel 1941 venne inviato a controllare il Protettorato della Boemia, già occupato nel 1939, compito che assolse con tale brutalità da essere soprannominato il Boia di Praga.

Il suo ruolo fu decisivo anche nella caccia e nello sterminio degli ebrei: il 20 gennaio 1942 organizzò la cosiddetta Conferenza di Wansee in un quartiere periferico di Berlino, dove venne decisa la “soluzione finale”, ossia l’annientamento di tutti gli ebrei caduti nelle mani dei nazisti.

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La pressione sulla popolazione boema fece sì che il governo cecoslovacco in esilio ritenne di dover organizzare una reazione, chiedendo la collaborazione inglese. Vennero scelti sette uomini dell’esercito cecoslovacco in esilio per una missione denominata Anthropoid.

I commandos vennero paracadutati vicino a Praga alla fine del dicembre 1941: dopo un volo di notte di oltre mille chilometri il navigatore del bombardiere Halifax che trasportava il gruppo di avanscoperta si perse perché abbondanti nevicate avevano cancellato i punti di riferimento; gli uomini vennero fatti scendere a 80 km dal punto previsto; senza la resistenza ceca sarebbero stati catturati dai nazisti.

I membri del commando dovettero rimanere nascosti oltre cinque mesi, prima di attaccare: il 27 maggio l’auto di Heydrich venne intercettata in una via di Praga, ma il mitra con il quale si voleva ucciderlo si inceppò. Mentre Heydrich e l’autista reagivano sparando, un altro attentatore riuscì a lanciare una granata che ferì gravemente l’alto ufficiale.

Sarebbe sopravvissuto se non fosse sopraggiunta una setticemia: morì il 4 giugno. La vendetta dei nazisti fu terribile. Il piccolo villaggio di Lidice, sospettato di ospitare la resistenza, fu distrutto: tutti i maschi furono fucilati, tutte le donne trasferite nei campi di concentramento, i bambini (82 su 99) trasportati nel campo di concentramento di Chelmno e gasati.

Il commando venne rintracciato e annientato pochi giorni dopo nella chiesa di Cirillo e Metodio a Praga, dove era nascosto dal clero ortodosso. Più di 250 persone vennero torturate e uccise oppure mandate nei campi di concentramento a morire.

 

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5. Martin Bormann e Adolf Eichmann

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- Martin Bormann, il segretario di Hitler
Nacque a Wegeleben nel 1900. Pur arruolato nell’esercito tedesco nella Prima Guerra mondiale, non partecipò a nessuna battaglia.
Dopo il conflitto si iscrisse ai Freikorps e al partito nazista (1927), ma la sua carriera decollò solo nel 1934 quando divenne segretario personale di Rudolf Hess, a sua volta segretario di Hitler, in cui si segnalò soprattutto per il suo accanimento contro il cristianesimo.
Quando nel 1941 Rudolf Hess dovette volare in Inghilterra per ragioni mai ben chiarite (forse per cercare di stabilire contatti per la pace), Bormann riuscì a subentragli, accrescendo il suo potere e diventando due anni dopo il segretario ufficiale del Führer.
La sua influenza era enorme perché rappresentava il vero filtro tra Hitler e il mondo. Alcuni storici ritengono che molte delle assurde decisioni militari da Hitler siano state in realtà suggerite proprio da Bormann.
Secondo la versione ufficiale Bormann rimase ucciso nella notte tra il 1° e il 2 maggio 1945 mentre abbandonava il bunker di Hitler.
Nel 1972 venne recuperato un cadavere che corrispondeva alle sue caratteristiche autoptiche: l’identità venne confermata dall’esame del DNA nel 1998. Tuttavia, esiste una nutrita corrente di complottisti per i quali Bormann sarebbe riuscito a fuggire in Sudamerica, protetto dai dittatori filonazisti della regione.
Secondo questa fantasiosa interpretazione, il terriccio nel quale fu trovato il suo corpo non sarebbe compatibile con le caratteristiche del terreno di Berlino e ciò dimostrerebbe che il cadavere sarebbe stato riportato nella capitale tedesca solo dopo la morte dell’ex gerarca nazista.

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- Adolf Eichmann: andò a studiare il mondo ebraico in Palestina per poi sovrintendere alla Shoah
Nato nel 1906 a Solingen, entrò nel partito nazista solo nel 1933 grazie a un amico che militava nelle SS.
Capendo che una conoscenza approfondita del mondo ebraico lo avrebbe favorito nella scalata alla gerarchia, nel 1937 visitò in incognito la Palestina (all’epoca sotto il mandato britannico) dove già sorgevano numerosi insediamenti ebraici.
Al suo ritorno venne incaricato di sovrintendere all’espulsione degli ebrei da Vienna dopo l’Anschluss nel 1938 e l’anno dopo a Praga.
Qui gli ebrei dovettero essere ammassati nei ghetti prima di essere deportati, in condizioni molto simili a quelle dei lager, e proprio grazie all’esperienza acquisita in questa circostanza Eichmann divenne il coordinatore delle deportazioni degli ebrei nei lager quando venne decisa la “soluzione finale”.
Fu cioè uno degli esecutori materiali più importanti della Shoah, anche se non divenne mai un importante gerarca e rimase sconosciuto ai più.
Proprio il suo basso profilo gli permise di evitare la cattura e di rifugiarsi in Argentina sfruttando un passaporto rilasciato dalla Croce Rossa di Ginevra.
Visse in America meridionale fino al 1960, quando in modo rocambolesco il Mossad, cioè il servizio segreto israeliano, venne a conoscenza della sua esistenza (il figlio di Eichmann iniziò a frequentare una ragazza che, senza che lui lo sapesse, era figlia di un sopravvissuto ai lager).
Il Mossad rapì Eichmann (non esisteva un trattato di estradizione) che venne processato in Israele nel 1961 e condannato a morte. Dopo l’impiccagione il 31 maggio 1962, il suo corpo fu bruciato e le ceneri disperse in mare fuori dalle acque territoriali di Israele.
L’urna utilizzata venne accuratamente lavata con acqua di mare affinché nessun resto di lui tornasse a terra.

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