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La patata: la storia di questa straordinaria “pianta diabolica”

Si narra che la vicenda della patata cominci nel continente americano, più esattamente sulle aride distese montane della Cordigliera delle Ande dove di sicuro era uno dei cibi capitali per le civiltà precolombiane di Aztechi ed Incas, per poi svilupparsi anche da questa parte del mondo e in seguito in larga parte del pianeta.

È ormai certo che in centro e sud America, e in particolare attorno al lago Titicaca (dove si continua a coltivare la patata e a chiamarla Mama Jatha, Madre della Crescita), le popolazioni hanno su questo argomento più o meno 8.000 anni di esperienza e un’incredibile gamma di prodotti selezionati.

Nei testi di botanica compare alla voce Solanum tuberosum, un nome scientifico dai suoni dolcemente poetici.

Questo bell’appellativo latino Gaspard Bauhin (1560 – 1624, botanico e medico di Basilea), lo assegnò – nel 1596 e nell’opera “Phytopinax” – ad un antico ed umile ortaggio comunemente noto come patata e giunto in Europa da molto lontano.

Lo sapevate che Sua Maestà Luigi XIV, per dire, li amava al punto di volerli quali addobbo per i banchetti reali alla corte di Francia? I fiori li voleva sopra e intorno alla tavola, sì, ma certo non si cibava di patate: erano ritenute buone solo per le bestie, figuratevi un po’ se potevano finire nel piatto e poi nella pancia del potente re Sole.

È una vicenda lunghissima ed interessante, quella della patata. Vediamola insieme.

E per chi fosse interessato al argomento, consigliamo la lettura del libro di Rita Rutigliano intitolato “L’amica americana”. Buona lettura.

 

1. Una storia molto antica

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Si narra che la vicenda della patata cominci nel continente americano, più esattamente sulle aride distese montane della Cordigliera delle Ande dove di sicuro era uno dei cibi capitali per le civiltà precolombiane di Aztechi ed Incas, per poi svilupparsi anche da questa parte del mondo e in seguito in larga parte del pianeta.

E tuttora, malgrado i rischi sempre attuali di vederne sparire in tempi rapidi, soprattutto nelle regioni andine le patate continuano a presentarsi in una stupefacente varietà di forme, colori e sapori.

Il solo dubbio che ancora arrovella gli storici concerne il luogo in cui la patata comparve per la prima volta: gli altipiani della Colombia e della Bolivia, oppure la costa meridionale del Cile?

È certo che in centro e sud America, e in particolare attorno al lago Titicaca (dove si continua a coltivare la patata e a chiamarla Mama Jatha, Madre della Crescita), le popolazioni hanno su questo argomento più o meno 8.000 anni di esperienza e un’incredibile gamma di prodotti selezionati.

Ad un certo punto, però, ecco delinearsi una svolta storica che non è esagerato definire rivoluzionaria. Per il “Vecchio” e, pesantemente, anche per quello che a lungo sarà chiamato il “Nuovo mondo”.

Ecco arrivare, cioè, l’epoca che in Europa è caratterizzata non solo dallo sviluppo del pensiero umanistico e dalla fioritura artistica del Rinascimento, ma pure dai grandi viaggi di esplorazione geografica, dalla “conquista” europea di nuovi territori e delle loro ricchezze (andando piuttosto per le spicce, come si sa), dal conseguente stabilirsi di nuove rotte commerciali.

Così, nell’ultimo scorcio del Quattrocento, nel continente più tardi chiamato America in omaggio al navigatore ed esploratore Amerigo Vespucci (1454 - 1512) arrivarono nell’ottobre 1492 Cristoforo Colombo (1451 - 1506) e le sue famose caravelle e dopo di lui legioni (anche proprio nel senso militare!) di Europei. Con gli Spagnoli in testa.

Quando i primi conquistadores penetrarono nelle regioni dell’America centrale e meridionale, verso la metà del XVI secolo, lì la patata aveva alle spalle una storia più volte millenaria.

La coltivazione - che in Perù è attestata almeno dal 750 a. C., anche se certamente risale ad epoca di molto anteriore - avveniva in grandi terrazze irrigate da canali, era ben organizzata ed era un’impresa che impegnava tutta la famiglia: tra aprile e maggio gli uomini vangavano e rimuovevano il terreno, le donne dividevano i tuberi, i bambini li piantavano nella terra.

2. Una storia oltreoceano

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I documentati “Comentarios Reales de los Incas” (prima parte pubblicata nel 1609, seguita nel 1617 dalla complementare “Historia General del Perú”) stilati da Garcilaso Inca de la Vega (pseudonimo di Gómez Suárez de Figueroa, 1539 -1616), scrittore e poeta peruviano figlio di un conquistador e di una principessa india, testimoniano che già si praticava anche una rudimentale, ma efficiente tecnica per la conservazione.

Gli Incas del Perù, i primi piantatori di patate, coltivavano piccoli tuberi chiamati papas nella loro lingua quechua. Li essiccavano, anche, ricavandone una bevanda dal leggero tasso alcolico.

Ed erano talmente importanti, per loro, che alle patate tributavano riti religiosi e su di esse si basavano per calcolare il tempo (unità di misura: quanto ci vuole per cuocerle) e le superfici agrarie (ancor oggi l’unità di misura fondiaria utilizzata è il topo, pari al terreno necessario a coprire il fabbisogno di patate per una famiglia).

Avevano pure inventato una semplice forma di liofilizzazione e surgelazione ante litteram, detta chuño e tuttora impiegata in alcune zone rurali del mondo andino.

Consisteva nel sottoporre le patate ad un trattamento che permetteva di preservarle per anni: prima le lasciavano a mollo per un bel po’, poi le calpestavano a lungo per eliminare l’acqua, infine (per completare il processo di disidratazione) per qualche notte le lasciavano a gelare all’aperto con l’aggiunta di sale.

Coltivatori esperti e previdenti, questi Incas, non è vero? Non è per un caso, dunque, che ogni 30 maggio i peruviani celebrano la loro “festa annuale della patata”.

Così come certo non è per un caso che - secoli e secoli dopo l’arrivo degli Spagnoli - proprio a Lima sia stato creato l’importante “Centro International de la Papa” o CIP (http://www.cipotato.org): il numero uno al mondo, dove - sotto l’egida della FAO/Food and Agricoltural Organization delle Nazioni Unite (http://www.fao.org) e di prestigiose Università - tecnici provenienti da ogni parte del pianeta lavorano per proteggere la biodiversità delle patate (più di 4.300 le varietà indigene custodite) e creare nuove cultivar che contribuiscano a sfamare le popolazioni dei “Paesi in via di sviluppo”.

All’epoca dell’assoggettamento del Nuovo Mondo, comunque, i conquistadores non mancarono di notare questi tuberi (bianchi, gialli, rossi, chiari, scuri…) che per loro erano un’assoluta novità.

Come oggi, lì erano chiamati “papa” e gli esploratori del continente appena scoperto ne parlarono nei loro libri di viaggio, sia pur in genere sottolineandone l’aspetto o il sapore più che nominandole.

La patata (così chiamata unendo “papa”, parola presa dalla lingua degli Incas, e “batata”, voce haitiana) era dunque estranea agli Spagnoli, che tuttavia non tardarono ad ammetterne le virtù alimentari.

Quasi esclusivamente, però, come cibo per le masse di schiavi impegnati nelle miniere d’argento del Potosì (anche se - come ammise uno dei conquistadores - si trattava di «un piatto delizioso persino per gli Spagnoli»).

Oppure come provvista per le ciurme che, sulle navi, dovevano affrontare lunghi viaggi per trasportare in patria le immense ricchezze depredate nel “Nuovo Mondo”.

3. Dal "Nuovo Mondo" al "Vecchio Continente"

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Al suo debutto nel “Vecchio continente” la patata sorprende per l’eterogeneità di forme e colori, ma davvero non si può dire che entusiasmi il palato degli europei.

I quali, anzi, rifiutano persino di assaggiarla e in generale più che snobbarla la detestano.

Tuttavia, dopo aver attraversato tante vicende ed il vasto e insidioso «Mare Oceano»  - un gran mare d’acqua, ma pure di leggende e superstizioni - la storia della patata ha aperto qui nuove pagine.

Tanto per cominciare, ancora non è ben chiaro con chi la patata sia arrivata dall’America sul suolo europeo dove peraltro dal “Nuovo mondo” giunsero pure mais, fagioli, peperoni e pomodori (questi ultimi appartenenti anch’essi alla famiglia botanica delle Solanacee).

C’è chi sostiene che approdò alla corte iberica grazie al sopraccitato Francesco Carletti. Secondo altri a portarla in Spagna fu invece Francisco Pizzarro (1475 - 1541), lo spietato conquistador del Perù, che nel 1524 ne regalò alcuni esemplari al suo re come curiosità botanica.

In ogni caso, nel 1565 si hanno testimonianze di coltivazione nelle isole Canarie ed è appurato che nel 1573 avveniva la stessa cosa anche in alcune aree della terraferma spagnola (a Siviglia le patate facevano già parte della dieta giornaliera dell’Ospedale del Santissimo Sangue, che ne ordinava consistenti quantitativi. Destinandole ai malati poveri, s’intende).

Nel 1565 il tubero giunse in Irlanda per merito dell’ammiraglio John Hawkins (1532 - 1595), corsaro e commerciante di schiavi, che l’avrebbe portata da Santa Fé. E in Irlanda, complice una gran carestia, si comincia relativamente presto (1633) a prospettare l’opportunità di utilizzarla per l’alimentazione umana.

Una ventina d’anni dopo la patata sbarcò in Inghilterra grazie a sir Francis Drake (1540 - 1596), di professione pirata, che se l’era procurata saccheggiando le navi spagnole lungo la costa cilena e ne fece dono alla regina Elisabetta I (1533 - 1603).

In proposito circola però un’altra versione, per la quale il merito andrebbe tutto all’ammiraglio sir Walter Raleigh (1552 - 1618). Un altro bel tipo davvero, anche questo: un aristocratico che è ricordato come scrittore e poeta, ma fu anche navigatore, corsaro, soldato, esploratore, spia...

4. Il difficile esordio

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Introdotta nelle diverse regioni europee per lo più solo come curiosità botanica o per studiarne gli eventuali aspetti medici (dalle terre di recente scoperta si sperava di ricevere nuovi farmaci, come avvenne tra l’altro con la scoperta dell’azione antimalarica della corteccia di china), la patata vi è diventata cibo importante solo nei secoli successivi.

Si propagò a partire dall’Europa settentrionale e centrale: in Irlanda (primo paese a basare l’alimentazione popolare sulla patata, ne è tuttora il massimo consumatore europeo), poi nel Regno Unito, quindi in Olanda e in Germania da dove la produzione si estese successivamente all’Europa Orientale a cominciare dalla Polonia.

E, non prima del XVIII secolo, altrove: per esempio in Francia e in Italia.

La sottolineatura può apparire quasi scontata, ma va comunque detto che alle nostre latitudini la patata fu accolta prima e meglio nelle regioni povere che nelle ricche pianure cerealicole.

Sicuramente, però, in questo fenomeno ebbero il loro peso anche le tradizioni alimentari locali: i «mangiatori di stufati della Germania del Nord», per esempio, si sarebbero dimostrati assai più recettivi dei «consumatori di farinate della Germania del Sud».

E, parlando della Germania: malgrado la precocità della loro introduzione in alcune regioni, i contadini tedeschi iniziarono a coltivar patate con solerzia ben avanti nel XVIII secolo.

La diffusione, cioè, fu accelerata da una serie di cattivi raccolti di cereali; e lo zelo degli agricoltori si amplificò soprattutto in seguito alle epidemie e alle carestie degli anni 1743 e 1754-55, quando a salvare la popolazione dalla fame furono proprio le preziose scorte di tuberi.

A questo punto la patata divenne abbastanza in fretta un alimento considerevole, quindi, e tuttavia anche in Germania la sua adozione come nutrimento per gli esseri umani diventò definitiva - “senza se e senza ma” - soltanto con la grande crisi agricola dell’inizio del XIX secolo.

Da allora la Germania resta fra i Paesi maggiori consumatori di patate, e nelle classifiche europee sui consumi compare subito dopo l’Irlanda. Ciò che non cessa di stupire, e non me soltanto, è il problematico iter  dell’accoglienza che l’Europa riservò alla patata.

Una spiegazione la si può forse trovare riflettendo sul fatto che nel continente europeo non esistevano tuberi simili a quelli andini, che oltre ad avere un aspetto inconsueto non potevano neppure esser trasformati in farina (non si sapeva ancora estrarne la fecola, o “farina di patate”) e dunque in pane.

Uno svantaggio non piccolo, occorre rimarcarlo, in epoche in cui la fame induceva a tentar di ridurre in farina, e poi panificare, qualsiasi cosa: non solo il frumento, come si faceva da secoli e secoli, ma anche il mais (da questa operazione nacque poi la polenta), o i ceci (da dove pensate sia saltata fuori la celebre “farinata” ligure?) e persino le ghiande (in Italia, parecchie fonti attestano che nell’Ottocento in Sardegna si mangiava anche pane di ghiande).

È un fatto, inoppugnabile, che in Europa per molto tempo la patata conservò - ovunque e comunque - la sua immagine di vivanda riservata ad indigenti e sventurati.

In un paio di secoli, tuttavia, questo tubero strano e straordinario - ora considerato il più gran tesoro scoperto dagli spagnoli in America - avrebbe rivoluzionato le abitudini alimentari di grandi masse di europei  e permesso lo sviluppo demografico registrato nei secoli XVIII e XIX specialmente nella parte settentrionale e centrale del continente.



5. Una "pianta diabolica?"

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Poiché sono bellissimi e delicati, ricchi di profumo e di colori più o meno intensi di varie sfumature, i fiori della pianta di patata (nella foto) li si usava volentieri a scopo decorativo.

Sua Maestà Luigi XIV, per dire, li amava al punto di volerli quali addobbo per i banchetti reali alla corte di Francia.

I fiori li voleva sopra e intorno alla tavola, sì, ma certo non si cibava di patate: erano ritenute buone solo per le bestie, figuratevi un po’ se potevano finire nel piatto e poi nella pancia del potente re Sole.

Perché, si può chiedere, gli innocui e generosi tuberi erano visti con così grande sospetto? Beh, innanzitutto a causa dell’incompetenza riguardo alle caratteristiche di un ortaggio sconosciuto nel Vecchio mondo.

Molti, infatti, li trattavano con scarsa perizia e commettevano l’errore di mangiare non le patate (cotte e sbucciate a dovere) bensì le foglie e i frutti. Velenosi, esattamente come quelli di altre solanacee famose e già note (Belladonna, Dulcamara, etc).

Inevitabilmente ciò provocava intossicazioni, e pertanto non ci volle molto a far guadagnare al tubero americano una fama fortemente negativa.

Inoltre la patata non si coltiva per semina, ma - al contrario di tutte le piante allora commestibili - si moltiplica sotto terra per germinazione, e da ciò nacque la leggenda delle sue proprietà diaboliche.

In Scozia e Irlanda le popolazioni arrivavano a guardarla con sospetto perché non era citata nella Bibbia. La patata fu addirittura sottoposta ad un processo, riconosciuta colpevole e condannata al rogo.

Si riteneva pure che fosse capace di provocare malattie contagiose: In Francia, nel 1619 fu proibita in Borgogna perché la gente era persuasa che «un suo uso troppo frequente causasse la lebbra»; e, di nuovo perché portatrice di lebbra, nel 1630 la proibì anche il Parlamento di Besançon.

Sempre nel Seicento, in Svizzera le si attribuivano la scrofola e la tubercolosi e in altri paesi altri morbi non meno orribili.

Ancora a proposito della sua pessima fama. Alla fine del Settecento l’innocente tubero veniva denunciato come afrodisiaco dai pulpiti d’Inghilterra (ma Elisabetta Tudor lo offriva nei suoi banchetti).

Nel 1774 i cittadini affamati di Kolberg, nella Polonia nord-occidentale, si rifiutarono di toccare le patate quando Federico II di Prussia detto “il Grande” (1712 - 1786) ne inviò un carro allo scopo di alleviare l’indigenza dovuta alla penuria di cibo.

E, sempre nel XVIII secolo, i mugiki (i contadini poveri) preferivano morire di fame piuttosto che coltivare e mangiare le patate - soprannominate, del resto, “mele del diavolo”- che secondo la leggenda furono introdotte in Russia dallo zar Pietro il Grande nel 1697, dopo un viaggio in Europa occidentale.

Tutto ciò accadeva proprio mentre c’era ovunque un gran bisogno di vegetali, nutrienti e di facile coltivazione, capaci di sfamare i popoli durante le funeste carestie di cui l’Europa era periodicamente (ma piuttosto di frequente) vittima.

Prima che l’insistenza di tali avanguardie riuscisse a convincere gli Europei delle ottime qualità nutritive della patata fu necessario superare paure, disprezzo e periodi di precari accostamenti seguiti infine da risolutive dimostrazioni sui campi e sulla tavola.

Solo nel XVIII secolo si potrà dunque assistere al “lancio” e poi allo strepitoso successo della patata nell’agricoltura europea, dove - come il mais - divenne prima di tutto fondamentale strumento di sussistenza delle grandi masse rurali.






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