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La perdita di udito nascosta

Martelli pneumatici, concerti e altre fonti comuni di rumore possono causare un danno irreparabile alle nostre orecchie in modi inaspettati.

I tifosi dei Seattle Seahawks e dei Kansas City Chiefs, due squadre di football americano, nelle partite giocate in casa fanno regolarmente a gara per conquistarsi un posto nel Guinness dei primati per lo stadio più rumoroso.

Il 1° ottobre 2014 i Chiefs hanno toccato il picco più recente: 142,2 decibel (dB). Quel livello equivale al doloroso e irritante rumore di un jet a 30 metri di distanza, un tipico esempio che gli esperti di udito citano come un rumore abbastanza forte da causare un danno all’udito.

Dopo la partita, i tifosi erano entusiasti. L’esperienza li aveva divertiti, percepivano un tintinnio nelle orecchie o avevano la sensazione che i loro timpani stessero per esplodere. Quello che però avveniva nelle loro orecchie non era meraviglioso.

Un test audiometrico, se effettuato prima e subito dopo la partita, avrebbe potuto mostrare un marcato deterioramento. Il suono più flebile che un tifoso poteva udire prima dell’inizio, per esempio parole sussurrate, poteva non essere più percepibile a metà partita.

Le soglie uditive potevano essere aumentate addirittura di 20-30 decibel al fischio finale. Con la progressiva diminuzione del tintinnio durante i giorni successivi, il risultato del test uditivo – un audiogramma – sarebbe addirittura potuto tornare ai livelli di base, via via che la capacità di udire suoni flebili era ripristinata.

Per lungo tempo gli scienziati hanno pensato che, una volta tornate nella norma le soglie uditive, anche l’orecchio avrebbe dovuto fare lo stesso. Di recente è stato dimostrato che questa ipotesi non è vera.

Anche esposizioni che portano solo a temporanei aumenti delle soglie uditive possono causare danni immediati e irreversibili alle fibre del nervo acustico che invia informazioni uditive al cervello.

Un simile danno può anche non alterare la percezione dei toni, come emerge dall’audiogramma, tuttavia può ostacolare la capacità di elaborare segnali più complessi.

Questa malattia riconosciuta da poco è chiamata «perdita di udito nascosta», perché un normale audiogramma può nascondere il danno al nervo acustico e la riduzione uditiva a esso associata.

Se una persona continua ad abusare delle proprie orecchie, il prezzo da pagare per le fibre nervose può aumentare. In effetti, questo danno può contribuire al graduale deterioramento della capacità delle persone di mezza età e anziane di distinguere i dettagli di un discorso.

La perdita di udito nascosta però non si limita affatto alle persone anziane. Le ultime ricerche suggeriscono che questa perdita di udito sta emergendo anche in età più giovane nella società industrializzata, a causa della prolungata esposizione a suoni di intensità elevata, alcuni evitabili, altri no.

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1. Una meraviglia sensoriale

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La vulnerabilità dell’orecchio deriva da una stupefacente sensibilità, che permette di funzionare in una vasta gamma di livelli sonori.

La nostra capacità di emettere un suono debole a una frequenza vicina a 1000 oscillazioni al secondo, o 1000 hertz (Hz), in altre parole la soglia a cui possiamo percepire quel suono, è definita come zero decibel (dB).

Usando questa misura logaritmica, ogni aumento di 20 dB del livello sonoro corrisponde a un aumento di dieci volte nell’ampiezza delle onde sonore. A zero dB, gli ossicini dell’orecchio medio, le cui vibrazioni guidano il processo uditivo, hanno un’ampiezza di movimento inferiore al diametro di un atomo di idrogeno.

All’estremo opposto, come il doloroso livello superiore a 140 dB ottenuto nella partita record dei Chiefs, l’orecchio è costretto a fare i conti con onde sonore la cui ampiezza è dieci milioni di volte superiore.

Il processo uditivo inizia quando l’orecchio esterno fa passare le onde sonore nel condotto uditivo fino al timpano, che vibra e mette in movimento gli ossicini dell’orecchio medio.

Le vibrazioni che ne derivano attraversano il condotto uditivo dell’orecchio interno pieno di liquido, la coclea, sede delle cellule ciliate che occupano una striscia spiraliforme di tessuto chiamata organo del Corti.

Queste cellule prendono il nome da filamenti capelliformi detti stereociglia, che si allungano in fasci da un’estremità cellulare. Le cellule ciliate più sensibili alle basse frequenze si trovano a un estremo della spirale cocleare, mentre quelle più sensibili alle alte frequenze si trovano all’altro estremo.

Quando le onde sonore piegano i filamenti, queste cellule convertono le vibrazioni in segnali chimici liberando una molecola che agisce come neurotrasmettitore, il glutammato, all’altra estremità, dove le cellule ciliate formano sinapsi con le fibre del nervo uditivo.

A livello di sinapsi, il glutammato attraversa una stretta fessura per legarsi a recettori alla fine, o terminali, di una fibra nervosa uditiva. Ogni terminale si trova a un estremo di una cellula nervosa che estende una lunga fibra, un assone, verso l’altra sua estremità nel tronco encefalico.

Il glutammato legato alle fibre nervose innesca un segnale elettrico che viaggia per tutto il nervo uditivo fino al tronco encefalico. Da qui, i segnali si spostano lungo una serie di circuiti neurali paralleli che attraversano diverse regioni – dal tronco encefalico fino a mesencefalo e talamo – e terminano il proprio viaggio nella corteccia uditiva.

Nel complesso, questa articolata circuiteria analizza e organizza il nostro ambiente acustico in un insieme di suoni riconoscibili, che si tratti di una melodia familiare o di una sirena.

Le cellule ciliate sono di due tipi, quelle interne e quelle esterne. Le cellule ciliate esterne amplificano i movimenti indotti dal suono nell’orecchio interno. Le cellule ciliate interne traducono questi movimenti nei segnali chimici che eccitano il nervo uditivo.

Le cellule interne sono le più dirette responsabili di quello che definiamo «udito», perché il 95 per cento delle fibre nervose uditive forma sinapsi solo con le cellule ciliate interne.

Perché così poche fibre colleghino le cellule ciliate esterne al cervello è ancora un mistero, ma si ipotizza che le fibre connesse a queste cellule possano essere responsabili del dolore che percepiamo quando l’intensità acustica di un’onda sonora si avvicina a 140 dB.

Storicamente, la perdita dell’udito è stata accertata soprattutto con audiogrammi. Gli otorini sanno da tempo che gli operai che martellavano fogli di metallo per ottenerne caldaie soffrivano spesso di una perdita permanente nella percezione dei toni alle frequenze medie.

Gli audiogrammi registrano la capacità di distinguere toni a intervalli di frequenza di un’ottava: per esempio 250, 500, 1000, 2000, 4000 e 8000 Hz.

Nelle fasi iniziali della perdita dell’udito indotta da rumore, l’audiogramma mostra un avvallamento caratteristico per quegli operai, un’incapacità di percepire i suoni alle frequenze medie dello spettro uditivo umano.

 

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2. Linee guida sul rumore e perdita d'udito

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Negli anni cinquanta e sessanta studi epidemiologici su operai in fabbriche rumorose hanno mostrato una correlazione fra durata dell’impiego e declino dell’acuità uditiva.

Con il tempo, il deficit iniziale che riguardava frequenze prossime ai 4000 Hz tendeva a estendersi anche ad altre frequenze. Molti operai più anziani hanno perduto l’udito a frequenze superiori a 1000 o 2000 Hz.

Questa perdita di toni alti provoca un grave deficit uditivo perché gran parte delle informazioni che ricaviamo durante una conversazione si trovano nello spettro di frequenze che è diventato insensibile.

Negli anni settanta, studi del genere hanno spinto il governo statunitense a stilare linee guida sul rumore per limitare l’esposizione sul posto di lavoro. Oggi diverse agenzie disciplinano i livelli di rumore e suggeriscono limiti differenti.

La mancanza di un accordo preciso riflette le sfide che derivano dal valutare il rischio di danno da rumore. I problemi sono duplici. Ci sono enormi differenze individuali nella suscettibilità al rumore: ci sono quelle che potremmo descrivere come orecchie «forti» e orecchie «delicate».

Ciò significa che le autorità regolatorie devono decidere quale percentuale della popolazione intendono proteggere e qual è il livello accettabile di perdita di udito. L’altro problema è che gli effetti del rumore sull’udito derivano da una combinazione complessa di durata, intensità e frequenza dei suoni a cui una persona è esposta.

Attualmente la statunitense Occupational Safety & Health Administration (OSHA) stabilisce che i livelli di rumore non debbano eccedere i 90 dB per giornata lavorativa di otto ore. Il rischio di danno all’udito sopra i 90 dB è circa proporzionale all’energia totale veicolata all’orecchio (il prodotto della durata per l’intensità).

Per ogni 5 dB in più sopra le otto ore standard, le linee guida dell’OSHA raccomandano di dimezzare l’esposizione: in altre parole, un lavoratore non dovrebbe essere esposto a 95 dB per più di quattro ore al giorno, o a 100 dB per più di due ore al giorno.

Sulla base di questi livelli, l’esposizione superiore a 142 dB dei tifosi che gareggiano per il Guinness del rumore supererebbe le linee guida dell’OSHA in circa 15 secondi. Naturalmente, l’OSHA non indica normative sui livelli di rumore dei tifosi alle partite.

Negli ultimi sessant’anni gli specialisti dell’udito hanno ritenuto che la lettura di un audiogramma rivelasse tutto quello che c’è da sapere sul danno all’udito indotto da rumore.

In effetti, l’audiogramma rivela la presenza di un danno alle cellule ciliate dell’orecchio interno, e ricerche effettuate negli anni quaranta e cinquanta avevano dimostrato che quelle ciliate erano tra le cellule più vulnerabili nell’orecchio interno a sovraesposizioni acustiche.

Esperimenti sugli animali hanno dimostrato che le cellule ciliate esterne sono più vulnerabili di quelle interne, e che le ciliate della sezione della coclea che rileva toni ad alta frequenza sono più vulnerabili di quelle nella regione a bassa frequenza.

È emerso anche che, una volta danneggiate, le ciliate non si rigenerano più. Addirittura, prima che le cellule degenerino un rumore intenso può danneggiare i fasci di stereociglia in cima alle cellule, e anche questo danno è irreversibile.

Quando le cellule ciliate sono danneggiate o muoiono, le soglie uditive aumentano: bisogna alzare il volume della radio o un collega all’altro lato del tavolo deve alzare la voce.

Studi più incisivi sul danno cocleare nell’essere umano sono stati ostacolati dal fatto che le cellule ciliate non possono essere oggetto di biopsia in modo sicuro e nemmeno di imaging in vivo con le tecniche attuali.

Nell’essere umano, il danno associato alla perdita di udito indotta da rumore è stato studiato solo in persone che hanno donato le orecchie alla scienza alla loro morte.

Anche a causa di questi limiti, se la perdita di udito sia inevitabile durante l’invecchiamento o se sia una conseguenza dell’esposizione al rumore della vita moderna, continua a essere un enigma per gli scienziati che studiano l’udito.

Un indizio interessante è emerso da uno studio degli anni sessanta in cui i ricercatori hanno testato gruppi di persone residenti in ambienti eccezionalmente tranquilli, come la tribù dei Mabaa, nel deserto del Sudan.

Il test dell’udito è risultato assai migliore negli uomini della tribù di età compresa fra i 70 e i 79 anni, rispetto a un gruppo di statunitensi della stessa età. Naturalmente, questi studi non possono distinguere altre differenze fra uno statunitense tipico e il tipico uomo Mabaa, come quelle correlate alla genetica o all’alimentazione.

 

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3. Danno profondo

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Studi recenti riguardo agli effetti del rumore sull’udito hanno aggiunto una nuova dimensione alla comprensione dei danni della sovraesposizione acustica.

Da tempo scienziati e clinici sanno che la riduzione dell’udito da esposizione al rumore è reversibile solo in parte.

In altre parole, a volte le soglie uditive tornano alla normalità in qualche ora o in qualche giorno, dopo un’esposizione; altre volte il recupero è incompleto e la soglia più elevata rimane per sempre.

Un tempo gli scienziati dell’udito credevano che recuperando la soglia di sensibilità l’orecchio avrebbe recuperato del tutto. Oggi sappiamo che non è vero. Il boato della folla a una partita di football non solo influisce sulle cellule ciliate, ma danneggia anche le fibre del nervo uditivo.

Negli anni ottanta studi scientifici mostrato che un rumore troppo forte danneggia le terminazioni delle fibre nervose nel punto in cui formano sinapsi con le cellule ciliate.

Rigonfiamento e rottura finale delle terminazioni si verificano probabilmente in risposta a un eccessivo rilascio del neurotrasmettitore glutammato da parte delle cellule ciliate troppo stimolate. In effetti, un rilascio eccessivo di glutammato in qualsiasi parte del sistema nervoso è tossico.

Era opinione comune che queste fibre danneggiate dal rumore dovessero recuperare o rigenerarsi dopo un’esposizione a rumore intenso perché le soglie uditive possono tornare normali in orecchie che mostravano un consistente gonfiore del nervo immediatamente dopo l’esposizione.

Si sa anche che il danno nervoso indotto da rumore non si sarebbe necessariamente riflettuto nei test usati abitualmente, perché studi degli anni cinquanta su animali avevano dimostrato che la perdita di fibre del nervo uditivo, non accompagnata da perdita di cellule ciliate, non incide sulla qualità dell’audiogramma fino a quando la perdita non diventa catastrofica, superiore all’80 per cento.

Sembra che non sia necessaria una gran quantità di fibre nervose per rilevare una nota all’interno di una cabina silente. Per analogia, prendiamo l’immagine digitale di un gruppo di persone e riproduciamola ripetutamente, ogni volta a una risoluzione minore. Riducendo la densità di pixel, i dettagli dell’immagine diventano meno chiari. Possiamo ancora dire che ci sono persone nella foto, ma non ne riconosciamo l’identità.

Allo stesso modo, è stato ipotizzato, una diffusa perdita di neuroni non deve necessariamente danneggiare la capacità di individuare un rumore, ma potrebbe alterare la comprensione di un discorso in un ristorante rumoroso.

Negli anni ottanta, M. Charles Liberman (insegnante di otologia e laringologia alla Harvard Medical School e dirigente degli Eaton-Peabody Laboratories presso il Massachusetts Eye and Ear Hospital), quando ha iniziato a studiare il danno nervoso indotto da rumore, l’unico modo per contare le sinapsi fra fibre nervose uditive e le cellule ciliate interne sfruttava una tecnica di microscopia, un procedimento laborioso che richiede quasi un anno di lavoro per analizzare le sinapsi nervose su un ridotto numero di cellule ciliate di una coclea.

Venticinque anni dopo, Liberman con Sharon G. Kujawa del Massachusetts Eye and Ear, cercarono di determinare se un episodio di sovrastimolazione acustica su orecchie di giovani topi accelerava l’insorgenza di perdita di udito legata all’invecchiamento.

Il rumore a cui esponevano gli animali era pensato per produrre solo un aumento temporaneo delle soglie uditive, dunque nessun danno permanente alla cellule ciliate. Come si aspettavano, le coclee dei roditori avevano un aspetto normale pochi giorni dopo l’esposizione.

Ma quando hanno osservato gli animali in un arco di tempo che andava da sei mesi a due anni dopo l’esperimento, hanno notato una massiccia perdita di fibre nervose uditive, nonostante ci fossero cellule ciliate intatte.

Per fortuna dagli anni ottanta abbiamo imparato molto su come studiare la struttura molecolare di queste sinapsi. Sono diventati disponibili anticorpi che si legano, ed etichettano, a diversi marcatori fluorescenti, strutture su entrambi i lati della sinapsi fra cellule ciliate interne e fibra del nervo uditivo.

Le etichette hanno permesso di contare facilmente le sinapsi con la luce del microscopio. Così hanno accumulato dati che mostravano che pochi giorni dopo l’esposizione al rumore, quando la soglia uditiva era tornata normale, la metà delle sinapsi del nervo acustico era danneggiate e non si sarebbe più rigenerata.

La perdita del resto dei neuroni – corpi cellulari e assoni che si proiettano al tronco encefalico – diventavano evidenti in pochi mesi. Dopo due anni, metà dei neuroni uditivi era scomparsa. Non appena le sinapsi erano distrutte, le fibre collegate diventavano inutili e non rispondevano a suoni di alcuna intensità.

Negli ultimi anni abbiamo documentato la degenerazione delle sinapsi indotta dal rumore in topi, porcellini d’India e cincillà, ma anche in tessuti umani post mortem.

Abbiamo dimostrato con studi animali e nell’orecchio umano che la perdita di connessioni fra fibre del nervo uditivo e le cellule ciliate si verifica prima dell’innalzamento delle soglie associato con la perdita di cellule ciliate.

L’idea che il danno al nervo uditivo provochi una perdita di udito nascosta – una componente importante della riduzione uditiva causata da rumore e correlata all’età – è oggi accettata, e molti scienziati e clinici sono all’opera per sviluppare test in grado di determinare se il problema sia diffuso e se il nostro stile di vita rumoroso stia portando a un’epidemia di danno uditivo nelle persone di ogni età.

 

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4. Risanare i nervi

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In termini semplici, l’audiogramma, il test dell’udito che rappresenta il test standard di riferimento, misura le soglie uditive ed è una spia sensibile di danno alle cellule ciliate della coclea.

Ma questo test è un indicatore scadente di danno alle fibre nervose uditive.

Le ricerche effettuate da M. Charles Liberman hanno dimostrato che il danno nervoso che si verifica nella perdita di udito nascosta non incide sulla capacità di rilevare un rumore, ma più probabilmente peggiora la nostra capacità di capire un discorso e altri suoni complessi.

In effetti, potrebbe dare un significativo contributo alla classica lamentela delle persone anziane: «Riesco a sentire le persone che parlano ma non capisco cosa dicono».

Gli audiologi sanno da tempo che due persone con un audiogramma simile possono dare risultati molto diversi nei test che misurano il numero di parole identificate quando il livello di un rumore di fondo aumenta.

In precedenza, gli audiologi attribuivano queste differenze all’elaborazione del cervello. Le suddette ricerche suggeriscono che gran parte di esse emerge a causa di differenze nella popolazione di fibre nervose uditive sopravvissute.

La perdita di udito nascosta potrebbe anche aiutare a spiegare altre lamentele comuni, inclusi acufeni (tintinnio nelle orecchie) e iperacusia (l’incapacità di tollerare anche suoni di moderata intensità acustica).

Questi disturbi spesso sono presenti anche quando un audiogramma non mostra problemi. In passato, scienziati e medici sottolineavano il normale audiogramma di soggetti con acufene o iperacusia concludendo, ancora una volta, che il problema doveva risiedere nel cervello.

Liberman, invece, suggerisce che il danno possa essersi verificato nel nervo uditivo. Le ricerche sollevano domande sul rischio di esposizione abituale a musica elevata, ai concerti o nei locali, e alla musica ascoltata in cuffia.

Sebbene la perdita di udito indotta da rumore sia un problema che interessa i musicisti professionisti, anche quelli di musica classica, studi epidemiologici effettuati su ascoltatori casuali hanno fallito nel trovare un impatto significativo sui relativi audiogrammi.

Le linee guida statunitensi stilate per minimizzare il danno da rumore tra i lavoratori si basano sull’ipotesi per cui se le soglie post-esposizione tornano alla normalità, l’orecchio ha recuperato le proprie capacità.

Come abbiamo visto, questa ipotesi è errata: ne consegue che le normative attuali sul rumore possono essere inadeguate a impedire un diffuso danno nervoso indotto da rumore e la conseguente riduzione uditiva.

Per affrontare il problema, abbiamo bisogno di test diagnostici migliori per individuare il danno al nervo uditivo, senza contare le sinapsi in campioni autoptici.

Un approccio promettente si basa sulla misurazione dell’attività elettrica nei neuroni uditivi, chiamata potenziali evocati acustici del tronco encefalico (o ABR da auditory brain stem response).

I potenziali ABR si possono misurare in un soggetto sveglio o in sonno, sul cui cranio ci sono elettrodi che misurano l’attività elettrica (elettroencefalografia) generata in risposta a stimoli sonori in serie (tone burst) di frequenza diversa e diversi livelli di pressione sonora.

Storicamente, il test ABR è stato interpretato in modo che una risposta elettrica evocata da un suono è interpretata come udito normale, l’assenza di una risposta è segno di danno.

In studi su animali, fu dimostrato che l’ampiezza dell’ABR a livelli sonori elevati fornisce informazioni: aumenta in proporzione al numero di fibre nervose uditive che mantengono una connessione vitale con cellule ciliate interne.

In modo analogo, uno studio ha usato una variante del test ABR su studenti inglesi che avevano un audiogramma normale, trovando ampiezze inferiori nella risposta nei soggetti che riferivano di una ripetuta esposizione al frastuono di locali e concerti.

Nella ricerca di potenziali terapie per la perdita di udito nascosta, ora viene chiesto se sia possibile invertire la degenerazione indotta da rumore trattando i neuroni sopravvissuti con farmaci ideati per far ricrescere le fibre nervose, ristabilendo le connessioni con le cellule ciliate interne.

Sebbene le stesse sinapsi siano distrutte subito dopo l’esposizione al rumore, la lentezza con cui il resto del nervo (del suo corpo cellulare e degli assoni) degenera fa ben sperare sul fatto che una normale funzione possa essere ripristinata in molti pazienti.

Furono ottenuti risultati incoraggianti su modelli animali somministrando neurotrofine (proteine che proteggono i neuroni) nell’orecchio interno. La perdita di udito nascosta potrebbe essere presto curata con iniezioni attraverso il timpano di gel che libera lentamente neurotrofine per ricostituire le sinapsi mesi o anni dopo un danno.

I gel sarebbero iniettati subito dopo l’esposizione a un rumore intenso. Un otorino potrebbe un giorno somministrare farmaci alla coclea servendosi di trattamenti minimamente invasivi per curare un danno acustico, con la stessa facilità con cui un oculista corregge un occhio miope con la chirurgia laser della cornea.

 

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5. Come proteggere l’udito

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In studi effettuati su diverse specie animali fu indotto un danno nervoso irreversibile nell’orecchio con un’esposizione per due ore di fila a un rumore compreso fra 100 e 104 dB.

Ci sono tutte le ragioni per credere che l’orecchio umano sia altrettanto sensibile.

La maggior parte delle esposizioni quotidiane che caratterizzano la nostra vita non dura così a lungo. Tuttavia, è prudente evitare un’esposizione non protetta a qualsiasi rumore che superi i 100 dB.

Molti rumori nella vita quotidiana ci collocano in una zona di pericolo. Nelle sale da concerto e nei locali si producono abitualmente picchi di 115 dB, e livelli medi che superano i 105 dB.

A livello dell’orecchio dell’utente, gli aspirafoglie a motore a scoppio e le falciatrici raggiungono livelli compresi fra 95 e 105 dB, come le seghe circolari a motore. Ma anche la frequenza del suono ha importanza.

A parità di decibel, il gemito acuto di una levigatrice a nastro è più pericoloso del rombo meno acuto di una motocicletta smarmittata. I martelli pneumatici producono livelli di 120 dB anche per i passanti, e i rapidi colpi prodotti dalla punta metallica che incide l’asfalto producono una gran quantità di rumori acuti pericolosi.

Che cosa possiamo fare? Oggi quasi tutti hanno accesso a misuratori accurati di livelli sonori da tenere in tasca o nel portafoglio.

Ci sono innumerevoli app gratuite o a poco prezzo per smartphone con sistemi operativi come iOS o Android, che forniscono letture attendibili della pressione sonora prodotta da uno strumento musicale o da un’automobile la cui marmitta emette un ritorno di fiamma fino a 1-2 dB rispetto al più costoso equipaggiamento professionale per monitorare il suono.

L’app per iOS che è stata più utile, Sound Level Meter Pro, costa meno di 22 Euro e ha fornito letture con un’accuratezza prossima a 0,1 dB. Una volta consapevoli dei rumori potenzialmente pericolosi nell’ambiente in cui viviamo, c’è una buona notizia: c’è una protezione acustica efficace, poco costosa, facile da usare e da trasportare.

Se inseriti adeguatamente, i tappi per le orecchie in schiuma possono attenuare il livello sonoro di 30 dB alle frequenze più pericolose. Arrotolatene uno fra le dita e trasformatelo in un cilindro più sottile che potete, poi inseritelo rapidamente più profondamente possibile nel vostro condotto uditivo.

Non è più difficile né più pericoloso che mettersi gli auricolari per il telefonino. Lasciate che i tappi si espandano lentamente e nel giro di un minuto siete pronti per fare baldoria. Se siete a un concerto, questi tappi di schiuma smorzeranno un po’ troppo il suono.

Quando invece volete sentire il suono ma a un livello appena inferiore (sicuro), usate i tappi da musicista. On line sono disponibili diversi modelli per 10-15 euro al paio.

Sono ideati in modo da fornire un’attenuazione del suono di 10-20 dB, con un’identica capacità di smorzare picchi sonori acuti e bassi, in modo da non incidere sul timbro della musica.

Più importante ancora, fate attenzione a quello che le vostre orecchie vi dicono. Se avete appena lasciato un evento o concluso un’attività, e avete la sensazione di avere le orecchie ovattate, o se le sentite tintinnare, ci sono buone probabilità che abbiate distrutto alcune sinapsi del nervo uditivo. Non disperatevi, ma cercate di non rifarlo.

In breve
- È opinione comune che rumori forti ovattino le orecchie o provochino tintinnio, ma che le orecchie recuperino presto la loro funzionalità.
- Livelli elevati di rumore possono causare un danno permanente alle fibre del nervo acustico che trasmettono il suono fino al cervello.
- La perdita di udito nascosta che ne deriva può far sì che qualcuno senta i suoni senza capire che cosa dice chi parla.
- Un farmaco che permetta alle fibre nervose di recuperare la funzionalità potrebbe essere una soluzione a questo problema diffuso.








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