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La verità sulle fiabe: sono nate per spaventare i bambini

Ogni bambino le ha sentite. Ogni adulto le ha raccontate. Le fiabe fanno parte del nostro patrimonio culturale da sempre, tanto che tutti sanno chi sono Biancaneve e Cenerentola o come finisce la storia di Cappuccetto Rosso.

Rispetto al Settecento e all’Ottocento, secoli in cui le fiabe più famose acquistarono popolarità, il cinema ha contribuito molto alla loro diffusione, grazie alla trasposizione in film di tutte le storie più note che ne hanno immortalato personaggi, trame e finali.

Ma le fiabe originali raccolte dai favolisti più noti, come i fratelli Grimm e Charles Perrault, sono uguali a quelle che conosciamo? La risposta è no.

A proposito dei fratelli Grimm, ad esempio, Jack Zipes, esperto di fiabe e curatore del libro Principessa pel di topo e altre 41 fiabe da scoprire (Donzelli), conferma: «Oggi nessuno conosce per davvero le fiabe della prima edizione poiché i Grimm ne continuarono ad apportare consistenti modifiche, cosicché l’ultima edizione ha relativamente poco a che fare con la prima».

Addirittura, le prime fiabe raccolte dai Grimm non erano state affatto concepite e inventate per i bambini, ma provenivano dalla tradizione popolare. «Le fiabe della prima edizione», continua Zipes, «spesso narravano di giovani “lacerati” e molte venivano raccontate per illustrare conflitti ricorrenti che esistono tuttora ai giorni nostri.
Di frequente raffigurano le dispute tra i giovani protagonisti e i loro genitori o ci narrano di bambini maltrattati o abbandonati; di giovani perseguitate; di rivalità fraterne; di ragazzi sfruttati e oppressi; di pericolosi predoni; di regine e sovrani malvagi che abusano del loro potere; oppure della Morte che punisce gli avidi e premia un giovane e docile guardiano d’oche».

Quali sono le modifiche più evidenti apportate alle prime edizioni delle fiabe? E perché noi le conosciamo a lieto fine? Scopriamolo insieme.

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1. Cappuccetto rosso

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La storia di Cappuccetto Rosso risale almeno al XIV secolo e fu trascritta per la prima volta da Charles Perrault nel 1697.

In questa versione, sia la bambina sia la nonna vengono divorate dal lupo e non c’è un lieto fine.

Perrault pensava, infatti, che la storia dovesse servire da avvertimento alle bambine a non prestare ascolto agli sconosciuti.

Sono i fratelli Grimm a introdurre la figura del cacciatore (che poi diventa un taglialegna) che uccide il lupo e libera Cappuccetto Rosso e la nonna. In versioni precedenti, il cattivo di turno non è sempre un lupo, ma un orco o una sorta di licantropo.

Ad esempio, in una antica variante italiana, intitolata La finta nonna, il lupo è sostituito da un’orchessa, sconfitta da una bambina particolarmente astuta. In alcune versioni popolari francesi, il lupo addirittura invita Cappuccetto Rosso a mangiare parti della carne della nonna e a berne il sangue.

Questo dettaglio raccapricciante che trasforma la bambina in una cannibale, viene espunto da tutte le versioni successive per la sua ovvia crudeltà.

Sempre nella storia di Perrault, a differenza di quella dei Grimm, la mamma non raccomanda alla figlia di fare attenzione al lupo o di non allontanarsi dal percorso tracciato. La bambina, inoltre, non disobbedisce, ma ciononostante finisce nelle fauci del lupo.

Perrault, poi, sostituisce la scena in cui Cappuccetto Rosso percorre una strada con aghi e spilli, che raccoglie, con un’altra dove si ferma invece a raccogliere nocciole e fiori.

Infine, il particolare del cappuccio rosso è aggiunto solo in seguito: nella maggior parte delle versioni orali precedenti quella di Perrault, la bambina ne è priva.

 

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2. Biancaneve e i sette nani

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Nella versione dei fratelli Grimm, la regina cattiva non è la matrigna, bensì la madre di Biancaneve.

Questo particolare viene poi attenuato nelle successive versioni perché i Grimm consideravano sacra la maternità.

Alla fine della storia, Biancaneve non si risveglia dopo il famoso bacio d’amore. La favola racconta che un principe, colpito dallo splendore della fanciulla morta, chiede in dono la bara ai sette nani e la trasporta al suo castello dove la muove da un punto all’altro per contemplarla sempre.

Finché un giorno un servo, stufo di “scarrozzare la bara di qua e di là”, assesta un colpo alla schiena della principessa, facendole rigettare la mela avvelenata che le era rimasta incastrata in gola.

Biancaneve torna in vita e sposa il principe. Il giorno del matrimonio, la regina è costretta a indossare “scarpe di ferro incandescenti” e a danzare ininterrottamente fino a bruciarsi i piedi e morire in maniera atroce.

Esiste anche un’altra fiaba dei Grimm, intitolata Biancaneve e Rosarossa, in cui la protagonista non ha nulla a che vedere con la Biancaneve più famosa.

Infine, secondo lo storico Eckhard Sander, la storia di Biancaneve sarebbe ispirata alla vicenda vera di Margarethe von Waldeck, vissuta nella Germania del 1500.

Sembra che la bella Margarethe possedesse alcune miniere di bronzo in cui lavoravano sia bambini sia nani, considerati migliori lavoratori per la loro forza.

Sembra anche che Margarethe sia stata avvelenata a soli ventuno anni, e proprio per mano della regina.

 

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3. Paperonzolo

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Nella prima edizione Raperonzolo è una fiaba secca e scabrosa, in cui la giovane protagonista resta incinta.

La versione del 1819 è più lunga e sentimentale, senza gravidanza. Pubblicata dai fratelli Grimm nel 1812 , è rivista fino alla versione definitiva del 1857.

Narra di una ragazza prigioniera di una fata, perché suo padre le ha rubato dei raperonzoli per soddisfare le voglie della moglie incinta. La ragazza resta prigioniera fino a quando un principe non si innamora di lei e la libera.

La prima versione breve della fiaba è rilevante per la presenza della fata, la gravidanza inconsapevole di Raperonzolo e il tentativo di suicidio del principe.

In particolare, l’elemento della gravidanza viene narrato in maniera piuttosto grossolana: «Così se la spassarono [Raperonzolo e il principe] per un bel po’, e la fata non si accorse di nulla finché un giorno Raperonzolo non le chiese: ‘‘Ma ditemi, perché i miei vestiti si fanno sempre più stretti e non mi entrano più?’’».

Raperonzolo ha un antecedente italiano in Petrosinella, fiaba del Pentamerone di Giambattista Basile, dove la fata è sostituita da un’orca e il principe riesce a portare via con sé la giovane con l’aiuto di tre ghiande.

Nel 2010 è uscita invece la trasposizione cinematografica della Disney, in cui il principe è sostituito dal ladro Flynn Rider (alias Eugene Fitzherbert) e il migliore amico di Raperonzolo (anzi Rapunzel) è il camaleonte Pascal. In questa versione, i capelli della protagonista sono magici.

 

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4. Cenerentola e Hänsel e Gretel

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- Cenerentola

La favola di Cenerentola è antichissima.
Se ne trovano testimonianze perfino nell’antico Egitto e in Cina, dove indossa le vesti di una fanciulla dai piedi straordinariamente minuti, particolare apprezzato in un Paese in cui era costume fasciare i piedi delle femmine perché rimanessero piccoli.
Del racconto di Cenerentola esistono oltre 300 versioni, una delle quali attribuibile all’italiano Giambattista Basile con il titolo La gatta cenerentola (1634).
La più famosa, se non altro perché è a questa che si ispirò Walt Disney per creare il personaggio che tutti abbiamo in mente, è quella di Charles Perrault, pubblicata nel 1697.
Una versione “pulita” che viene incontro ai nostri gusti senza scandalizzarci, a differenza della versione posteriore dei Grimm, in cui le sorellastre sono invitate dalla matrigna a tagliarsi un dito per calzare la famosa scarpa e, alla fine, dopo la celebrazione del matrimonio della protagonista con il principe, per punizione vengono loro cavati gli occhi da due piccioni vendicativi.
Infine, anche il particolare delle scarpe cambia: in alcune versioni sono di vetro, in altre di oro, paglia o altri materiali. Nella storia di Perrault si parla invece di pantofoline.
Secondo alcune versioni, infine, ciò che Cenerentola perde alla fine del ballo non è una scarpa, ma un anello o un braccialetto.
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- Hänsel e Gretel

Questa storia, resa popolare dai Grimm nel 1812, presenta affinità con il Pollicino di Perrault.
Nella prima versione, è la madre, non la matrigna, a decidere di abbandonare i due bambini assieme al padre. Anche qui, come in Biancaneve, la madre è trasformata in matrigna per motivi di convenienza sociale.
Parallelamente, mentre la madre/matrigna diventa sempre più crudele da una versione all’altra, il padre, che inizialmente abbandona i due bambini senza scrupoli, si fa sempre più mite e roso dai rimorsi.
Le versioni successive dei Grimm includono numerosi dettagli che rendono più poetica e sentimentale la storia: per esempio, l’episodio in cui i due fratelli fuggono dalla casa della strega e attraversano un fiume con l’aiuto di un anatroccolo.
Oggi è percepita come una delle fiabe più crudeli e censurabili dei Grimm per il riferimento a temi come l’abbandono dei minori e il cannibalismo.
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5. La bella addormentata nel bosco e Il gatto con gli stivali

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- La bella addormentata nel bosco

La versione più famosa di questa favola è di Charles Perrault (1697). Il suo personaggio è, però, edulcorato rispetto alle versioni orali precedenti.
Nel Roman di Perceforest del 1340, probabile archetipo, i protagonisti sono Zellandine e Troilo e quando lei cade addormentata, lui la mette incinta.
L’altra versione che precede quella di Perrault è Sole, Luna e Talia, inclusa nel Pentamerone di Giambattista Basile (1634). Anche qui ci sono elementi inadatti a un pubblico infantile: la principessa, che si chiama Talia, non è risvegliata dal bacio del principe, ma stuprata.
Dallo stupro nascono due figli, Sole e Luna, e sarà uno di questi a risvegliare la principessa dal suo sonno incantato, dopo che le avrà succhiato il dito facendo uscire la punta del fuso incantatore.
Nella fiaba di Basile, si parla inoltre di cannibalismo, infedeltà coniugali e uccisioni cruente, tutti temi destinati a sparire nella fiaba di Perrault, che dà il nome di Aurora alla figlia della principessa (alla quale lo scrittore francese non assegna alcun nome) mentre il celebre film di Walt Disney del 1959 lo trasferisce dalla figlia alla madre.
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- Il gatto con gli stivali

La prima versione di questa favola risale al Cinquecento e s’intitola La gatta. Un’altra viene elaborata quasi cento anni dopo da Giambattista Basile con il titolo di Cagliuso.
Quella che conosciamo oggi deve la sua forma scritta a Charles Perrault, dove si narra quello che succede al figlio più piccolo di un mugnaio quando riceve in eredità il gatto di suo padre.
Il gatto fa la sua fortuna perché sa parlare ed è intelligente. Grazie ai suoi trucchi, infatti, il giovane sposa la figlia di un re e si impossessa del castello di un orco.
Nelle versioni precedenti, i protagonisti non sono gatti, ma gatte che non indossano alcuna calzatura. Ne La gatta, il padre moribondo è sostituito da una madre moribonda.
Inoltre, al posto dell’orco troviamo un anziano signore che ha misteriosamente abbandonato il castello (e quindi non c’è bisogno di “mangiarlo” come fa il gatto di Perrault).
Nella fiaba di Basile, ambientata a Napoli, la gatta collaborativa fa invece una brutta fine: il suo padrone, credendola morta, la getta dalla finestra.
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