La Seconda guerra mondiale è stata il conflitto più vasto e costoso, in termini di vite umane, della storia intera che assunse una dimensione veramente colossale.
Si pensi che oltre 50 milioni furono i morti causati dal conflitto e che il 50% di essi furono civili.
Forse questo dato identifica come pochi altri il carattere di «totalità» che la guerra assunse.
Le occupazioni di intere nazioni e paesi, lo stato di persecuzione e dominio attuato dalle forze dell’Asse, i metodi dell’internamento e dell’assassinio di massa attuato contro gli oppositori e contro i popoli ritenuti subalterni, offrono un quadro inquietante e sinistro del tipo di confronto messo in atto.
L’uso di nuove e terribili armi, che già avevano dato una triste prova di sé nel corso della prima guerra, assume con la seconda guerra mondiale una dimensione ancora più vasta e incombente.
L’impiego massiccio dei carri armati e la rapidità delle manovre; l’uso delle portaerei e dei sottomarini; il grande impiego dell’aviazione ed i bombardamenti a tappeto: non sono che un rapido e insufficiente elenco dei nuovi e terrificanti mezzi messi a disposizione dei moderni eserciti.
Ma quali sono stati i momenti decisivi del conflitto più violento, distruttivo e sanguinoso della storia? Scopriamoli insieme.
1. PEARL HARBOR, 7 DICEMBRE 1941
La battaglia di Pearl Harbor non fu decisiva per chi l'ha vinta, ma mise le premesse della sconfitta delle forze attaccanti.
Essa rappresentò simbolicamente il culmine dell’avanzata giapponese, capace di assumere per qualche tempo il controllo dell’area del Pacifico e dell’Asia Orientale, e in questo senso Pearl Harbor fu fondamentale per l’assetto di gran parte del mondo per un breve periodo.
Ma più importante è che essa risultò decisiva ai fini dell’intera Seconda guerra mondiale perché portò all’ingresso degli Stati Uniti, cioè all’entrata nel conflitto di quella potenza che ne determinerà militarmente l’esito.
Uno spunto di riflessione relativo al primo aspetto, quello considerato dal punto di vista giapponese, è osservare come l’attacco di Pearl Harbor fosse legato alla prima esecuzione del Patto Tripartito firmato nel 1940 fra Giappone, Germania e Italia.
I patto divideva il mondo in sfere di influenza e al Giappone spettava l’area asiatica. Di fronte ai successi dell’Asse in Europa, e per garantirsi la sua quota di mondo, il Giappone volle dimostrare la sua forza e assicurarsi di eliminare i rivali nel Pacifico.
Ecco dunque l’attacco alla base della flotta statunitense a Pearl Harbor. Ma quell’attacco ebbe conseguenze ben più ampie e decisive, seppure opposte agli auspici di Tokyo.
Con la Carta Atlantica firmata da Churchill e Roosevelt nell’agosto 1941, Washington e Londra delinearono come avrebbe dovuto essere il mondo dopo la guerra, con la ripresa dei liberi commerci. Ma in quella Carta gli Stati Uniti ancora evitavano di farsi tirare dentro al conflitto.
Per capire l’importanza di Pearl Harbor bisogna partire da lì: ancora pochi mesi prima gli USA non intendevano scendere in guerra e ritenevano meglio tutelare i loro interessi economici, commerciali e finanziari sostenendo gli inglesi ma senza un coinvolgimento diretto.
Esisteva ancora un forte spirito isolazionista che risaliva alla dottrina Monroe (“L’America agli americani, l’Europa agli europei”) e che già aveva portato il congresso repubblicano a non ratificare mai gli accordi di pace voluti da Wilson dopo la Prima guerra mondiale.
Dopo Pearl Harbor gli americani realizzarono che anche dal punto di vista economico diventava conveniente intervenire: capirono che stare a guardare avrebbe portato conseguenze peggiori. Il predominio dell’Asse su vasti territori avrebbe danneggiato gli interessi economici e commerciali americani.
Pearl Harbor fu uno smacco politico e militare, ma fu anche un monito sul fatto che non si potevano difendere interessi economici con dichiarazioni di intenti e senza un intervento militare diretto.
Per questo gli Stati Uniti, pur combattendo da lì in avanti nel Pacifico una guerra di fatto parallela, decisero a quel punto di intervenire anche in Europa.
2. EL ALAMEIN, 23 OTTOBRE-3 NOVEMBRE 1942
Ultimo tentativo della Germania hitleriana di mutare il corso degli eventi militari già in declino per le forze dell’Asse, la battaglia di El Alamein fu veramente decisiva?
Se vittoriose in Africa settentrionale, le armate tedesche e italiane avrebbero probabilmente eliminato dal Mediterraneo la presenza navale britannica occupando l’Egitto e il Canale di Suez e marciando sul Medio Oriente, verso il Caucaso. Avrebbero soprattutto dimostrato l’assunto che le guerre in Europa si vincono nel Mediterraneo.
L’assalto anglo-americano da sud alla fortezza euro-germanica avrebbe subito quanto meno un forte rinvio, se non un arresto definitivo, con pesanti conseguenze sullo sforzo bellico alleato. Tutto ciò spiega abbondantemente perché Londra avesse deciso di difendere a ogni costo l’Egitto e i vitali rifornimenti attraverso il Mar Rosso.
Fanterie, artiglierie, soprattutto mezzi corazzati dell’una e dell’altra parte furono impegnati in uno scontro che avrebbe deciso le sorti del Secondo conflitto mondiale, in un continuo, spesso confuso alternarsi di attacchi e contrattacchi, di ritirate e di avanzate, con migliaia di perdite e di prigionieri da una parte e dall’altra.
Da quando nel 1941 era sbarcato in Africa al Comando dell’“Africa Korps”, per fermare la ritirata italiana in Libia, il generale Erwin Rommel aveva puntato tutto su una offensiva rapida e senza soste, determinato a infliggere agli inglesi la sconfitta decisiva e a entrare ad Alessandria occupando l’Egitto.
La prima battaglia di El Alamein, nel luglio 1942, su una stretta striscia di territorio tra il mare e la depressione di Qattara, impraticabile per i mezzi corazzati, vide già una forte resistenza da parte dell’8a Armata britannica, che tuttavia dovette limitare, esausta, il proprio contrattacco.
Un’altra serie di durissimi scontri tra mezzi corazzati e aerei in agosto e settembre, con numerose perdite umane e di materiali, vide gli inutili tentativi degli italo-tedeschi e degli inglesi di sferrare l’offensiva finale contro le forze avversarie.
Si confermarono, comunque, alcuni fattori fondamentali: l’importante base strategica e logistica di Malta rimase in mano inglese; le difficoltà di approvvigionamento di munizioni e carburante si rivelarono fatali e irreversibili per Rommel, mentre aumentavano i rifornimenti in uomini e materiali per gli inglesi; persisteva la scarsa cooperazione tra i comandi tedesco e italiano; infine, il quadro strategico generale cambiava con l’operazione ”Torch”, lo sbarco delle forze americane in Nord Africa.
Altri due fattori determinarono le sorti della seconda e più importante battaglia di El Alamein, dal 23 ottobre al 3 novembre: gli ordini di Hitler per la continuazione di un’offensiva a tutti i costi, malgrado lo stesso Rommel fosse ora più prudente, e la decisiva assunzione del comando dell’8a Armata inglese da parte del generale Bernard Law Montgomery.
L’offensiva scatenata dagli inglesi contro le forze corazzate e di fanteria italo-tedesche dopo furiosi e spesso incerti combattimenti riuscì a scardinare le forze avversarie, anche se quelle tedesche e italiane riuscirono in alcuni punti del fronte a resistere e a infliggere ancora pesanti perdite al nemico.
La ormai netta superiorità inglese, in uomini, mezzi corazzati e aerei, sancì la completa vittoria finale delle forze britanniche, ma la resistenza italo-tedesca continuò sporadica (numerosi furono gli episodi in merito per quanto riguardò, per esempio, le divisioni italiane “Ariete” e ”Folgore”).
L’Africa settentrionale e il Mediterraneo furono definitivamente in mano anglo-americana, proprio mentre sulle forze tedesche in Russia iniziava ad allungarsi l’ombra nefasta della sconfitta di Stalingrado. In poche settimane le sorti della guerra erano diventate ormai saldamente a favore degli Alleati.
3. STALINGRADO, 17 LUGLIO 1942-2 FEBBRAIO 1943
Le battaglie decisive della Seconda guerra mondiale, quelle che dagli stessi belligeranti furono percepite come tali, si situano in particolare nella seconda metà del 1942 in tre teatri diversi: El Alamein in Africa, Guadalcanal nel sud-est asiatico e Stalingrado in Unione sovietica.
Si tratta di tre sconfitte dell’Asse che inaugurano nuove fasi strategiche. Di queste, la più sanguinosa e, per ciò che riguardi il futuro dell’Europa, la più importante, resta Stalingrado.
Sotto vari profili: la quantità degli uomini coinvolti; il numero dei caduti, dispersi, feriti e prigionieri; gli effetti immediati e quelli di lungo periodo (l’offensiva di Hitler verso il Caucaso si fermò e cominciò la controffensiva sovietica). I russi la considerano il culmine della Grande Guerra Patriottica, il momento in cui le sorti del Paese cambiarono.
La battaglia si svolse fra la fine di agosto del 1942 e il febbraio 1943: Hitler decise che la conquista di Stalingrado, centro industriale sul Volga, aveva un significato simbolico fondamentale; per questo, vi impiegò la 6a Armata del generale Paulus, coperta ai lati da romeni, italiani (oltre 220mila), ungheresi e altri alleati. Stalin, per motivi opposti, la pensava nella stessa maniera: anche per lui, Stalingrado non doveva cadere, a costo di trasformarsi in un inferno.
La battaglia infuriò per mesi casa per casa, con enormi perdite da ambo le parti, ma il generale russo Cujkov non si ritirò; poi, nel cuore dell’inverno russo, il maresciallo Zukov immaginò una manovra avvolgente, che prendesse ai fianchi lo schieramento avversario.
I romeni, deboli sotto il profilo dei materiali e della logistica, furono spazzati via e una tenaglia si chiuse intorno alla 6a Armata di Paulus, con oltre 250mila effettivi intrappolati nella sacca di Stalingrado, definita il Kessel, ovvero il "calderone”.
Sarebbe stato possibile salvare una parte degli uomini, ma Hitler insistette perché si resistesse fino all’ultimo; così il tentativo delle forze di von Manstein di spezzare l'accerchiamento non riuscì. Un ponte aereo rifornì, in condizioni meteorologiche proibitive, i soldati di Paulus fino ai primi del 1943; dopodiché, al generale non restò che la resa.
Le armate romena e italiana furono distrutte rapidamente: dell’una, che subì il peso della prima offensiva sul Don, pochi sopravvissero; della seconda, anch’essa accerchiata fra dicembre e gennaio, ancora non è definitivo il numero dei morti, dei dispersi e dei prigionieri (in ogni caso intorno al 50 per cento degli effettivi).
Stalingrado non fu così solo una memorabile sconfitta nazista: fu anche vissuta da altri Paesi dell’Asse come una tragedia nazionale, con effetti permanenti sul morale delle truppe e del "fronte interno”.
Agli alpini italiani reduci dalla Russia - il corpo in poche settimane aveva perso tanti uomini quanto nell’intera Grande Guerra - sarebbe toccato di incarnare in patria, nella memorialistica del dopoguerra, il senso di questa remota, immane tragedia.
4. SBARCO IN NORMANDIA, 6 GIUGNO 1944
II D-Day ha una serie di implicazioni che vanno persino oltre il solo successo militare.
Lo Sbarco alleato in Normandia è stato il trionfo della guerra industriale e in questo senso ha completato l'evoluzione dell’arte bellica iniziata con la Grande Guerra, segnando un cambiamento da cui non si torna indietro.
Con l'immenso dispositivo predisposto per il D-Day, gli americani hanno messo in campo tutto lo strapotere di cui disponevano.
Parallelamente, per compiere un ’operazione di questa portata, gli Alleati hanno mostrato di aver raggiunto un livello di organizzazione superiore e una elevata capacità di coordinare gli sforzi e hanno saputo mettere in piedi un comando unificato ottimamente funzionante.
E non era una cosa scontata. Fra l’altro un ulteriore aspetto che va messo in luce e proprio il fatto che il comando supremo affidato allo statunitense Eisenhower ha segnato in maniera emblematica il passaggio della guida dalla mano britannica a quella americana, concretizzando una superiorità che esisteva soprattutto sul piano industriale.
Atro aspetto clamoroso è la capacità che ebbero gli Alleati di condurre un’operazione così vasta mantenendo il segreto sugli aspetti fondamentali.
Va infatti detto che i tedeschi, pur attendendo uno sbarco alleato in Europa, non lo aspettavano per quei giorni (infatti Rommel si era anche allontanato dal fronte) e soprattutto erano quasi certi che sarebbe avvenuto a Calais.
C'è poi da aggiungere che la Normandia rappresenta la vera apertura del secondo fronte tanto atteso da Stalin e il vero ritorno in Europa degli Alleati.
Non va poi trascurata la capacità di interagire con la resistenza francese: con ordini precisi essa si dimostra assai efficace, e questo ha avuto un valore non solo sul piano militare, ma anche su quello psicologico, per ridare dignità e vigore a tutte le resistenze europee. Tutto questo comportò un effetto univoco: la fine della guerra con la vittoria alleata.
E' vero che il Reich nazista resistette ancora quasi un anno, ma di fatto a partire dallo Sbarco in Normandia è solo un’agonia. Il D-Day è l’inizio della fine, irreversibile.
Per capire quanto sia stato decisivo basta fare l’esercizio inverso: poteva fallire? Visto lo strapotere americano forse l’invasione dell’Europa non poteva avere un esito diverso, ma certo se ci fu un momento in cui qualcosa poteva andare storto fu proprio quello.
Poteva non funzionare la segretezza cui abbiamo accennato. Rommel avrebbe potuto avere a disposizione quelle divisioni corazzate che furono mosse in ritardo. O qualcos’altro poteva incepparsi in un meccanismo tanto complesso.
Soprattutto, i tedeschi avrebbero probabilmente potuto ritardare e rendere più difficile lo sbarco e l’avanzata successiva, e a quel punto non sappiamo quali decisioni politiche e militari avrebbero potuto prendere gli Alleati di fronte a un successo solo parziale, condizionando magari in modo diverso il prosieguo della guerra.
5. DRESDA E I BOMBARDAMENTI SULLA GERMANIA, 14 FEBBRAIO 1945
Furono decine di migliaia le vittime dell’attacco aereo alleato che rase al suolo Dresda all’alba del 14 febbraio 1945.
Dresda era una città importante, ma che era rimasta quasi intoccata dai bombardamenti, ed era divenuta strategica per i trasporti e l’industria militare tedesca solo in seguito alla progressiva distruzione delle altre località.
Delle 3-4000 tonnellate di bombe sganciate sul capoluogo sassone, più della metà erano ordigni incendiari, il cui effetto devastante fu decisivo nel far scomparire la città. Il bombardamento di Dresda e il simbolo di quella che in realtà fu una lunga campagna aerea condotta dagli Alleati sulla Germania dal 1943 fino al 1945.
La lunga campagna di bombardamenti aerei strategici contribuì largamente alla sconfitta di Hitler: furono decisive ai fini della guerra le ondate quasi quotidiane di bombardieri sulle città europee. Era la prima volta che la campagna aerea decideva una guerra.
Va fatta però una distinzione fra la strategia britannica e quella americana. Gli attacchi aerei inglesi sono quasi sempre notturni e hanno come obiettivo le città per spaventare la popolazione e indurre i tedeschi alla resa.
Dresda ne è l’esempio più evidente. Gli americani invece preferiscono l’attacco diurno per colpire con precisione industrie, ferrovie, porti, aeroporti.
E' questa la strategia che si rivela quella vincente. I tedeschi si troveranno con ferrovie semidistrutte, dissesto stradale, carenza di carburante non solo per le raffinerie devastate, ma anche perché la rete di trasporto è inservibile e quindi il carburante non arrivava ai reparti.
Ci si potrebbe chiedere perché questa battaglia aerea ha avuto così successo mentre quella d’Inghilterra da parte tedesca fallì. Ci furono differenze importanti. Nel 1940 i tedeschi sembravano avviati a vincere, ma commisero degli errori fatali.
Avevano iniziato con la giusta strategia di colpire le basi aeree inglesi, poi preferirono concentrarsi sulle città come in seguito fecero gli inglesi: altra prova che la strategia giusta era quella americana di colpire l'economia.
Ci fu poi una differenza tecnica importante: i tedeschi avevano puntato su bombardieri medi, bimotori, con carichi fino a una tonnellata di bombe. Gli anglo-americani invece disponevano di bombardieri quadrimotori che portavano fino a tremila chili di esplosivo.
Infine fu decisivo il supporto dei caccia: i bombardieri tedeschi potevano essere scortati solo fino a un certo punto a causa della limitata autonomia dei caccia tedeschi, mentre gli americani svilupparono caccia come i Mustang, che protessero i bombardieri sui cieli di tutta Europa.