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Le grandi estinzioni di massa: il ciclo vitale del pianeta Terra

La parola “estinzione” evoca immagini apocalittiche; ma le estinzioni – di una singola specie o di intere famiglie – si susseguono da sempre sulla Terra.

Perché la vita non è mai stata un percorso lineare, una parabola crescente: anzi, è andata avanti a singhiozzo.

E che singhiozzo: negli oltre 4,5 miliardi di storia della Terra il 99,9% di tutti gli esseri viventi mai esistiti si è estinto, nel corso di una ventina di grandi choc su scala planetaria.

E con ogni probabilità tra qualche milione di anni molte delle specie oggi presenti sul Pianeta saranno sparite, sostituite da nuove forme di vita. Le estinzioni, infatti, non sono tanto stragi quanto «fasi di rivoluzione, di crisi: un momento di transizione e riformulazione».

Non solo fine, dunque, ma anche nascita di un equilibrio diverso. A ogni estinzione segue infatti un’esplosione evolutiva: chi sopravvive a un evento catastrofico è equipaggiato per occupare le nicchie lasciate libere dalle specie scomparse.

La storia della Terra è segnata da fasi di transizione che hanno cancellato specie e habitat. Ma quella che tanti oggi temono è diversa dalle precedenti. Per la velocità e perché siamo noi a provocarla.

 

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1. RUMORE DI FONDO

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Ma che cos’è un’estinzione, e come si distinguono quelle di massa (per esempio quella che ha cancellato i dinosauri) da quelle, su scala molto inferiore, che possiamo osservare oggi, quando sentiamo parlare di “specie in via di estinzione”?

Nel 2010, ad esempio, esistevano solo 3.200 tigri, il 97% in meno rispetto a un secolo prima. Senza le campagne di tutela mondiali, sarebbero sparite in pochi decenni.

È uno dei tanti sintomi che si sta avviando una nuova estinzione di massa?

Prima di rispondere, bisogna chiarire un concetto. Le estinzioni non sono eventi rari: sono un rumore di fondo accompagnato ogni tanto da picchi devastanti che, nel giro di pochi milioni di anni, riducono drasticamente la biodiversità planetaria; quelle di massa.

Sono molto lente: avvengono soprattutto su scala geologica, ovvero in milioni di anni, durante i quali la biodiversità terrestre crolla, e riguardano almeno il 75% delle specie.

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Il che non significa che in quei momenti sulla Terra ci siano veramente un numero inferiore di animali e piante, ma solo una varietà calante, con (relativamente) poche specie che cominciano a occupare tutte le nicchie ecologiche lasciate libere dalle specie estinte.

Non solo... Concentrarsi sulla percentuale delle specie scomparse, calcolata su una soglia arbitraria, è fuorviante in quanto questi eventi producono effetti devastanti anche sugli ecosistemi.

Se l’estinzione di una specie è un evento drammatico e osservabile dall’occhio umano, un’estinzione di massa invece è una catastrofe al rallentatore, un evento complesso, che scuote gli ecosistemi portandoli oltre i limiti della tolleranza, fungendo da grande mietitrice della vita e da motore dell’evoluzione.

E se per l’estinzione di una specie è facile individuare le cause, nel caso di quelle di massa «si dibatte ancora». C’è però un tratto in comune tra tutti questi eventi: le rapide fasi di alterazione climatica – causate da eruzioni vulcaniche, impatti di grandi asteroidi o fasi glaciali – sono state fondamentali per mandare in crisi l’ecosistema Terra.

Gli eventi di estinzione di massa più significativi sono stati almeno una ventina nella storia e la loro frequenza, relativamente alta, è stato un potente motore di rinnovamento per la vita.

Fra questi 20 eventi, i paleontologi americani Jack Sepkoski e David Raup ne hanno identificati 5 che, più di tutti, hanno segnato la storia della vita sul Pianeta negli ultimi 540 milioni di anni (vedi sotto i nostri punti 4 e 5).

Qua sotto, la tigre (Panthera tigris) è ancora oggi una delle più note specie a rischio estinzione: dal 1910 al 2010, un secolo, la sua popolazione è diminuita del 97%.

 

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2. APOCALISSE INCOMBENTE

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E oggi? Siamo sull’orlo di una sesta estinzione come afferma- no molti ecologi? I numeri non sembrerebbero inquietanti.

Secondo un recente studio di Gerardo Ceballos dell’istituto di ecologia dell’Università del Messico, su 29.400 specie di vertebrati terrestri, quelle che rischiano di sparire perché hanno meno di mille individui sono 515, l’1,7%.

Ma oggi, avverte Massimo Sandal, autore di La malinconia del mammut (Il Saggiatore, 2020), «il numero di specie che si estingue è da 50 a centinaia di volte superiore a quello del passato».

E ogni volta che una specie o una popolazione svanisce, la Terra perde un frammento della biodiversità: una perdita le cui conseguenze non sono sempre note.

Il problema è che questo aumento dei tassi di estinzione dipende sostanzialmente dall’azione dell’uomo. Stabilito che piante e animali si estinguono a una velocità superiore al passato, è importante chiarire le cause.

Che sono cambiate nel corso della storia: fino al secolo scorso la più importante è stata la caccia. L’uomo estingue specie da almeno diecimila anni, fin dai tempi dei mammut.

Un altro problema sono le specie invasive: già 2.000 anni fa l’imperatore Augusto veniva implorato dagli abitanti delle Baleari affinché mandasse l’esercito per liberarli dal flagello dei conigli importati dalla Spagna: si erano moltiplicati a dismisura.

Ma in questo momento la più grande minaccia di estinzione è il cambiamento di uso del suolo. Cioè l’abbattimento delle foreste e la sostituzione di ambienti naturali con terreni agricoli o città.

Solo più recentemente a queste minacce s’è aggiunto il cambiamento climatico, anch’esso opera dell’uomo: il clima sta cambiando per l’effetto serra, dovuto alle massicce emissioni di CO2 prodotte dai combustibili fossili.

All’inizio, il ruolo del clima è stato sottovalutato. Ma le proiezioni su scenari futuri dicono che il cambiamento climatico potrebbe diventare la principale causa di estinzioni entro il 2050/2070.

Se inseriamo negli scenari una diminuzione del cambiamento di uso del suolo, sarebbe possibile rallentare le estinzioni. Ma se si tiene in considerazione il cambiamento climatico, anche il più lieve, è impossibile fermarle.

Qua sotto, la deforestazione, come quella in Malesia, hanno effetti devastanti sulla biodiversità.

 

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3. CORALLI IN PERICOLO

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Dove si fanno sentire di più le conseguenze del cambiamento climatico? Negli ecosistemi più delicati come le barriere coralline.

Che sono sottoposte a due effetti concomitanti, dovuti alle emissioni di CO2. Una è l’acidificazione degli oceani; in circa 200 anni, il pH degli oceani (la misura dell’acidità e della basicità dell’acqua) è diminuito del 30%.

Le ripercussioni per i coralli, e per molti animali che vivono attorno alle barriere, sono terribili, perché un’acqua anche solo leggermente più acida scioglie il carbonato di calcio, senza il quale è difficile costruire i gusci dei molluschi e lo scheletro dei coralli.

La minaccia più grave viene però dalle ondate di calore, causate proprio dall’aumento di temperatura globale; questi aumenti improvvisi provocano nei coralli l’espulsione delle alghe con cui convivono, e che forniscono molte risorse agli animali che costruiscono la barriera. Il risultato è lo sbiancamento dei coralli stessi e la loro morte.

Circa un quarto della grande barriera corallina australiana è stato colpito dall’ultimo episodio di sbiancamento del 2020.

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Un altro ecosistema in pericolo sono gli ambienti montani. «Il riscaldamento globale riduce l’estensione delle aree coperte di neve e ghiaccio. Il suolo sottostante, più scuro, rimane scoperto», spiega Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr, e uno degli autori del volume Una montagna di vita.

«Il suolo scuro aumenta la quantità di radiazione solare assorbita dalla superficie, che in questo modo si riscalda amplificando il riscaldamento iniziale». È un meccanismo che si autoalimenta e fa diminuire ancor più la superficie coperta da neve.

Animali e piante che fanno affidamento sulla copertura nevosa per la protezione in inverno diventano così esposti a temperature più basse e ne soffrono. «Un’altra conseguenza del riscaldamento è lo spostamento verso l’alto della linea degli alberi», continua Provenzale.

Di conseguenza anche le altre specie vegetali e quelle animali che vivono di solito in quell’ecosistema devono inseguire gli alberi, verso l’alto. Arrivati nei pressi della cima, non c’è più spazio per spostarsi.

Dunque, se siamo entrati nella sesta estinzione lo dobbiamo a noi stessi e non a cause naturali esterne, ed è ciò che distinguerà questo evento da tutti i precedenti.

Per adesso il cambiamento radicale dell’ambiente, dall’abbattimento delle foreste alla trasformazione di tutte le praterie in terreno coltivabile, è ancora la causa principale dell’estinzione delle specie.

Il cambiamento climatico, però, è l’effetto più grande, e lento, che sta per ferire – forse in maniera definitiva – gli ecosistemi e le specie animali e vegetali più delicate. Gli effetti diretti del cambiamento del clima sulla civiltà dell’uomo si vedono da anni.

Le conseguenze di queste continue ferite sulle popolazioni e il numero delle specie terrestri, e soprattutto sull’integrità degli ecosistemi, sono ancora ignote. Ma dobbiamo stare attenti: le strette interazioni delle specie sull’orlo del baratro tendono a spingere altre specie verso l’annientamento: l’estinzione genera estinzioni.

 

4. LE GRANDI ESTINZIONI SULLA TERRA: Tardo Ordoviciano, Tardo Devoniano e Permiano-Triassico

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- Tardo Ordoviciano (450-440 milioni di anni fa)
La seconda in classifica.
Fu causata da due eventi: prima una glaciazione che portò all’abbassamento del livello dei mari e alla scomparsa di molti habitat, poi un rapido riscaldamento globale che abbassò i livelli di ossigeno in atmosfera e aumentò la quantità di solfiti tossici, responsabili delle piogge acide.
La biodiversità crollò dell’85%; furono decimati in particolare brachiopodi, bivalvi e coralli.
Pur essendo la seconda estinzione più catastrofica, gli ecosistemi terrestri si sono ripresi più in fretta: nei primi 5 milioni di anni del successivo periodo Siluriano la biodiversità sul Pianeta tornò a livelli pre-estinzione.
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- Tardo Devoniano (375 milioni di anni fa)
Povero mare.
Circa 380 milioni di anni fa le prime piante avevano cominciato a colonizzare la terraferma: esplosero le foreste, trasformando la Terra in un pianeta verde.
Più piante significa meno CO2 in atmosfera, e un clima più fresco.
Qualche milione di anni dopo si verificò l’estinzione, che colpì solo le specie acquatiche: il drastico abbassamento del livello dei mari, e del livello di ossigeno contenuto negli stessi, portò all’estinzione di interi gruppi di vertebrati (tra cui i placodermi, i pesci corazzati), e soprattutto di quasi tutti gli organismi costruttori di barriere coralline, che lasceranno il loro posto ai coralli moderni.

- Permiano-Triassico (250 milioni di anni fa)
La più devastante.
È la peggiore che il Pianeta abbia mai visto. Gli ecosistemi ci misero 10 milioni di anni a riprendersi. L’estinzione cancellò il 96% di tutte le specie marine e il 70% dei vertebrati terrestri, senza risparmiare gli insetti.
Potrebbe essere stato un unico, devastante evento o tre eventi separati ma molto ravvicinati. E non sono chiare le cause: forse le massicce eruzioni vulcaniche avvenute in Siberia (le cui ceneri hanno “spento” il Sole e impedito alle piante di fare la fotosintesi), l’effetto sul clima della formazione della Pangea (il super continente con tutte le terre emerse), o l’impatto di un meteorite.

 

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5. LE GRANDI ESTINZIONI SULLA TERRA: Triassico-Giurassico, Cretaceo-Terziario ed Episodio pluviale carnico

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- Triassico-Giurassico (200 milioni di anni fa)
Vulcani nell’Atlantico.
Prima di essere spazzati via, i dinosauri sopravvissero a un’estinzione di massa, avvenuta circa 200 milioni di anni fa. A loro andò bene: grazie ad essa infatti i dinosauri divennero i vertebrati dominanti sul pianeta Terra.
Causato con ogni probabilità da una serie di devastanti eruzioni vulcaniche avvenute nell’Atlantico, l’evento vide la scomparsa di alcuni importanti vertebrati marini (tra cui i conodonti, simili ad anguille) e di più del 40% di tutti i vertebrati terrestri (soprattutto rettili): molti gruppi fino a quel momento dominanti sparirono, lasciando posto a dinosauri, coccodrilli e lucertole.

- Cretaceo-Terziario (65 milioni di anni fa)
Dinosauri addio.
Si presume causata dall’impatto di un meteorite del diametro di 10 km. L’impatto, avvenuto nello Yucatán, causò una serie di disastri ambientali: polvere che oscurò il Sole per decine di anni, crollo delle temperature, piogge acide, ma anche incendi che provocarono un aumento della CO2 in atmosfera e un conseguente effetto serra.
Fra gli effetti, la scomparsa quasi totale dei dinosauri, prima di tutto, che oggi sopravvivono sulla Terra sotto forma di uccelli, ma anche di giganteschi rettili marini come i mosasauri e, più in generale, del 75% delle specie animali (e del 57% di quelle vegetali).

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- Episodio pluviale carnico (220 milioni di anni fa)
L’ultima scoperta.
Quest’anno un gruppo di ricerca guidato da Jacopo Dal Corso dell’università cinese di geoscienze (con le Università di Padova e Ferrara, CNR, MUSE e Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige), ha identificato una nuova estinzione di massa.
Un’enorme eruzione vulcanica tra Canada e Alaska produsse un milione di km3 di magma e immense quantità di CO2.
Si aprì una fase di riscaldamento globale e di precipitazioni intense: durarono un milione di anni e provocarono gravi perdite negli oceani e sulle terre emerse. Ma da questo evento si diversificarono molti animali tra cui le prime tartarughe, i coccodrilli, le lucertole.

 

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