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Le nuove tecniche che potrebbero guarirci domani

Non sempre le promesse sono state mantenute, ma la biomedicina resta il settore dal quale ci si attendono, nei prossimi decenni, grandi novità per diagnosi e cure.

Se ne è parlato molto: clonazione, terapia genica, cure a base di cellule staminali…

Frontiere della medicina che sembravano vicine e che talvolta hanno dato ai ricercatori più filo da torcere del previsto, mentre altre volte hanno aperto loro possibilità inaspettate.

Come la recentissima biologia sintetica: il tentativo di produrre microrganismi interamente in laboratorio. Piccolissimi esseri viventi, utili per esempio per disgregare inquinanti oppure per creare vaccini “multimalattie”.

Vediamo a che punto sono le ricerche sui filoni che sono a lungo stati le “speranze” della medicina e da che parte si sta dirigendo la ricerca.

1. Staminali, le cellule di ricambio

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Staminali, le cellule tuttofare che ci guariranno dalle malattie: forse da loro ci si aspettava troppo, ma molto stanno già dando.

Dal primo intervento pionieristico degli anni Cinquanta a oggi, si sono visti topolini di laboratorio guarire dalla distrofia muscolare, dal Parkinson, dal diabete.

Intanto alcune sperimentazioni sono state avviate anche sull'uomo, per esempio sulla sclerosi laterale amiotrofica e sulle lesioni del midollo spinale, mentre diversi pazienti oncologici ed ematologici sono già guariti grazie a iniezioni di cellule staminali.

Non solo: le ricerche del biologo giapponese Shinja Yamanaka hanno permesso di ottenere in laboratorio cellule staminali capaci di trasformarsi in tanti tessuti diversi, senza dover distruggere nessun embrione.

Anche grazie a questa possibilità la ricerca va avanti, e in Italia trova le sue eccellenze per esempio all'università degli Studi di Milano, nei laboratori di Giulio Cossu ed Elena Cattaneo.

Ma rimane ancora molto da fare prima che le iniezioni di staminali diventino terapie d'uso comune.

2. I geni che curano

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Forse, la più grande delusione della ricerca biomedica in epoca moderna, almeno per ora, è stata la terapia genica.

Negli anni Ottanta, con l’espandersi dell’ingegneria genetica e l’invenzione di nuove tecniche di ricerca e intervento sul Dna, si diceva che sarebbe diventata presto la terapia chiave per le malattie genetiche e per i tumori.

Ma in vent’anni non abbiamo superato la fase di sperimentazione.

La terapia genica si basa sull’idea di correggere un gene mal funzionante o malato attraverso l’inserimento di una copia correttamente funzionante.

Una pratica che a volte ha avuto effetti parziali, temporanei o addirittura nocivi, facilitando lo sviluppo di altre malattie. Ma in qualche rara occasione ha funzionato.

E in alcuni (pochi) Paesi il suo impiego è stato approvato: è il caso della Cina, dove dal 2003 il professor Zhaohui Peng esegue terapie di questo tipo su alcuni malati di cancro.

Oggi la ricerca sulla terapia genica prosegue, sebbene con meno riflettori addosso, e inaugura nuove strade, come lo sviluppo dei vaccini a Dna.

Non solo: per ricerche come quelle del Tigem (Istituto Telethon di genetica e medicina) di Napoli su una rara forma di cecità genetica e su un gravissimo deficit immunitario, condotte da Luigi Naldini, Andrea Ballabio e dagli altri ricercatori Telethon, i risultati cominciano a essere interessanti.

Ma per quanto riguarda le malattie genetiche più comuni che si sperava di guarire, per esempio la fibrosi cistica e la talassemia, l’attesa potrebbe essere lunga.

3. Clonazione, una strada difficile

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C'era una volta la pecora Dolly (nella foto accanto).

Il 5 luglio di laboratorio che da quel 1995, al Roslin Institute di Edinburgo, in Scozia, sotto gli occhi attenti di Ian Wilmut, vide la luce il primo mammifero clonato, cioè un animale con lo stesso identico Dna di un altro già vivente.

Per venire al mondo niente sesso, ma una complessa tecnica di laboratorio che da quel giorno fu usata per mucche, tori, maiali, cani, gatti, topi...

Gli obiettivi erano assieme vari: creare “fabbriche” di animali per l’alimentazione umana o per avere organi da trapiantare, “fabbriche” di cellule per ricostruire o curare tessuti o organi malati, “fabbriche” di embrioni da cui estrarre cellule staminali o sui quali fare ricerca.

C’era anche chi ipotizzava “fabbriche” di bambini su misura e chi la fine della riproduzione convenzionale.

Paure giustificate anche dai proclami del ginecologo Severino Antinori, che nel 2002 annunciò di aver usato la clonazione umana per tre gravidanze reali, in realtà mai confermate.

Ventidue anni dopo, niente di tutto questo è diventato prassi.

Nessun malato ha ancora ricevuto un organo fabbricato grazie alla clonazione, nessun uomo è stato clonato e gli alleva-menti di animali clonati sono solo fantasia.

4. Nemico cancro

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Abbiamo conquistato la Luna, sconfiggeremo anche il cancro: gli anni Settanta si aprirono con la “profezia” di Richard Nixon e dell’Intero Parlamento americano, che nel 1971 dichiarò guerra ai tumori per legge.

All’epoca, la fiducia nella scienza era granitica: per questo si prevedeva di riuscire a vincere il cancro al massimo in una decina di anni.

Non è andata così, ma la ricerca finanziata dal National Cancer Act, che impiegò risorse enormi e sempre crescenti, diventò l’impresa scientifica di punta degli Stati Uniti.

Grazie a quello sforzo sono nate la diagnostica, la chirurgia, la radio e la chemioterapia che usiamo oggi, e che offrono ai nostri malati una sopravvivenza sei volte superiore a quella dei malati dei tempi di Nixon.

La vera differenza è che oggi, pur continuando a fare ricerca sulla diagnosi precoce e sulla terapia dei tumori, si è capito che conviene puntare soprattutto sulla prevenzione.

Una missione al centro dell’attività dello Iarc, l’agenzia dell'Organizzazione mondiale per la sanità, che ha sede a Lione e definisce le classi di pericolosità per agenti chimici e fisici.

L'ottimismo non manca: nel giugno del 2012, l’oncologo più famoso d’Italia, Umberto Veronesi, ha dichiarato che la sconfitta del cancro è un traguardo raggiungibile in quindici anni. Appuntamento dunque al 2027.



5. Batteri al nostro servizio

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Produrre batteri artificiali, che fanno di tutto grazie alla manipolazione dei loro geni: è la cosiddetta biologia sintetica.

Dopo l'assegnazione nel 1978 del Nobel per la medicina agli scopritori delle proteine che “tagliano" il Dna (la tecnica alla base dell'ingegneria genetica), l'oncologo Waclaw Szybalski scrisse un famoso editoriale in cui prevedeva la nascita di una nuova biologia capace di inventare geni artificiali, e con questi la possibilità di costruire organismi nuovi.

Ci ha provato il biologo-imprenditore americano Craig Venter. Le difficoltà però sono tante: nel 2010 la rivista Nature le ha elencate tutte, dalla scarsa conoscenza delle parti più piccole del Dna ai rischi di un loro assemblaggio artificiale.

Senza escludere i timori per la diffusione in natura di batteri artificiali o il loro possibile impiego terroristico. Comunque, 35 anni dopo la profezia di Szybalski, con la biologia sintetica si cominciano a inventare vaccini.

E si lancia un’altra scommessa: la costruzione di un microrganismo carico in superficie di pezzetti di virus e batteri diversi, capace di proteggerci da tante malattie.

Un vaccino universale, insomma, come quello che Rino Rappuoli studia alla Novartis dì Siena I tempi? Dieci anni.






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