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Leonardo da Vinci: un genio che ancora oggi continua a sorprendere

Leonardo, vissuto tra la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento e noto soprattutto come pittore — grazie a capolavori come il Cenacolo, La Gioconda e La Vergine delle rocce — è stato forse meno conosciuto per la sua intensa attività scientifica, incredibilmente all’avanguardia per l’epoca in cui visse.

Fu infatti anche matematico, fisico, ottico e “inventore”nel senso più ampio della parola.

I suoi studi, gli appunti tecnici, i disegni botanici e anatomici completano quindi il profilo di un uomo capace di fare spaziare la propria mente in tutti i campi del sapere, un genio che volle indagare su tutto ciò che lo circondava per decifrare il complesso mondo di leggi e formule che regolano la natura e l’uomo.

Una mente assetata di conoscenza, che ferma la propria attenzione su tutto ciò che le si pone davanti: un uomo che non indaga solo attraverso la pittura, ma che dilata il proprio raggio d’azione in ogni campo dello scibile.

Un genio che ancora oggi continua a sorprendere attraverso un profilo via via delineato da nuove acquisizioni e da nuovi studi che ne accrescono il mito.

Leonardo da Vinci ha tentato imprese molteplici e veramente ardite per il suo tempo: far volare l’uomo, insegnare la bellezza e la verità, aiutare i suoi simili a prendere coscienza di sé, conoscere i segreti del corpo umano, osservare le stelle, divertire signori e cortigiani.

La sua presenza, fra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo, agisce da stimolo per tutti: i pittori lo ammirano, i signori lo proteggono, (tutti sono in soggezione di fronte a lui; si guarda a lui soprattutto come a un grande artista, come a un pittore di inarrivabile maestria, e il mito dei suoi pochi lavori, in particolare del Cenacolo milanese, e della Gioconda, continuerà ad essere vivo anche nei secoli successivi.

La sua personalità viene spesso messa a confronto con quelle assai diverse di Michelangelo e di Raffaello. Ma mentre il Buonarroti è pittore e scultore che esprime attraverso le proprie arti il suo bisogno di svelare il segreto di Dio, e Raffaello, con le sue opere, raggiunge una delicatezza formale di più facile presa, Leonardo sembra fuori da questo confronto: la sua pittura è quella di un artista-scienziato, di un uomo che, al di sopra del fatto creativo, pone il suo personale bisogno di analisi e autoanalisi. In questo senso la sua figura si proietta ben oltre i tempi in cui vive.

Soltanto agli inizi del Novecento, dopo che la critica romantica aveva teso a dare di lui un’immagine enfatica e solo parziale, si rivaluta il suo enorme lavoro di scienziato. Ed ecco che i suoi appunti, i suoi scritti, i suoi abbozzi, i suoi studi, permettono di delineare l’altra sua grande anima, forse quella più vera: Leonardo è anche e soprattutto un matematico, un ottico, un fisico, un inventore.

L’influenza che la sua pittura eserciterà sugli sviluppi dell’arte dei secoli seguenti resta comunque l’aspetto di maggiore fascino. È vero che i pittori lombardi si rifecero a Leonardo talvolta con esiti rilevanti, spesso con risultali modesti, ma è anche vero che la sua opera fu osservata e compresa dai massimi maestri del Seicento, da Giorgione   a Dürer, da Correggio a Holbein, agli stessi Michelangelo e Raffaello.

Anche la sua vicenda umana, ancora in parte da chiarire, ha dato spesso ampio spazio all’aneddotica e all’invenzione.

1. I primi anni fiorentini: la bottega del Verrocchio, le radici della pittura

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Nascere illegittimi in un piccolo borgo della Toscana quattrocentesca doveva essere un problema di non facile soluzione.

Ma il piccolo, che vide la luce il 15 aprile del 1452, quando ancora le ombre della notte non lasciavano spazio ai bei contorni turriti dell’abitato, nasceva sotto una buona stella.

Fu riconosciuto dal padre e amorevolmente registrato dal nonno, il vecchio e stimato ser Antonio da Vinci, che in un libro notarile era solito appuntare le nascite riguardanti le sua numerosa famiglia:
“Nacque un mio nipote, figliuolo di ser piero mio figliuolo a dì 15 aprile. In sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo battezzollo prete piero di Bartolomeo di Vinccj papino di nanni banttj meo di tonino piero di malvoltto Nanni di Venzo arigo di giovanni tedesco monna antonia di giuliano monna nichoiosa del barna maria figliuola di nanni di Venzo monna pippa di previchone”.

La lunga lista dei presenti al battesimo è un’ulteriore conferma del riconoscimento del neonato. Leonardo poteva contare quindi su un padre benestante e apprezzato nella sua professione notarile, ma la madre, una certa Caterina, rimase per sempre nell’ombra. Essa era infatti una giovane contadina che aveva ceduto alle illecite attenzioni del sanguigno ser Piero.

Le fu trovato un marito, certo Attaccabriga di Piero del Vacca, e messa in disparte. Per lei Leonardo nutrirà un sentimento profondo anche se forse mai interamente espresso. Nel 1468 il vecchissimo ser Antonio muore e un documento catastale riporta:
“Figliuoli et redi di ser Antonio di ser Piero di ser Guido .... monna Lucia donna fu di certo Antonio, d’età d’anni 74; ser Piero figliuolo fu di detto Antonio, d’anni 40; Francesco, figliuolo fu di detto Antonio, d’anni 32; Francesca donna di detto ser Piero, d’anni 20; Allecsandra donna di detto Francesco, d’anni 26; Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legiptimo, d’anni 17”.

L’adolescente Leonardo ha un corpo forte e slanciato, e un volto regolare e ben caratterizzato. Fu cresciuto all’aperto, correndo fra i campi rigogliosi di Vinci, e fin dalla prima infanzia ha osservato la natura, ne ha compreso il messaggio profondo e subito ha avuto il desiderio di conoscerne i segreti.

Una mattina del 1469 Leonardo lascia per sempre il paese natale. Parte pieno di speranze per Firenze, al seguito del padre e dello zio Francesco che prenderanno casa in via delle Prestanze, l’attuale via dei Gondi; Caterina guarda il figlio da lontano, ora lo ha perso per sempre. Ser Piero è stato nominato notaio della Signoria, un incarico di prestigio.

È un uomo intelligente, concreto, pratico, di modi bruschi, ma avendo notato nel ragazzo doti non comuni ha la sensibilità necessaria per permettere al suo primo figlio di dedicarsi alla pittura. L’artista entra cosi nella bottega ili Andrea Verrocchio, uno fra i maestri più celebrati del periodo, presso il quale si eseguono, in un continuo fermento, opere di pittura e scultura per una committenza importante.

Leonardo si trova introdotto quindi in un gruppo di giovani artisti, fra i quali si sono già distinti il Botticelli, il Perugino e Lorenzo di Credi, che affrontano già incarichi di un certo rilievo. Dal Verrocchio c’è posto solo per chi ha talento da vendere. E a Leonardo il talento non fa difetto se è vero che quando il giovane collabora col maestro nella stesura del Battesimo di Cristo, eseguendo la dolcissima e già “sfumata” figura dell’angelo di profilo e il paesaggio di sfondo a sinistra, Andrea ha una reazione di disappunto.

La curiosa notizia ci arriva dal Vasari che nelle sue Vite de’ più eccellenti architetti. Pittori, Et Scultori Italiani... racconta:
“Acconciossi... nella fanciullezza a l’arte con Andrea del Verrocchio, il quale faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccare colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui”.

Il Vasari, talvolta tentato dall’aneddotica, sicuramente esagera, ma è certo che al maturo maestro un allievo del genere deve aver creato imbarazzo. È il 1472, Leonardo, appena ventenne, è guardato quasi con soggezione dai suoi amici. È già un esempio, un riferimento. Ha un’intelligenza poliedrica, s’interessa di tutto, è un conversatore vivace, affascinante, esprime idee che neppure sfiorano i compagni.

Non è solo un promettentissimo pittore ma in lui già si annunciano i segni della sua universalità, che si esprimerà con la sua scienza, le sue invenzioni, le sue intuizioni, quella capacità superiore di immaginare il futuro dell’uomo che solo i geni hanno. La sua prima opera certa risale all’anno seguente: un disegno, Paesaggio con la valle dell’Arno, in cui già si prefigura l’interesse per una rappresentazione reale della natura.

Il paesaggio non è infatti idealizzato, ma descrive con precisione e acutezza ciò che sta davanti a lui: un tentativo di riprodurre il vero. Questo nuovo modo di intendere il naturale non compare nelle sue pitture coeve. La celebre Annunciazione, in cui è già delineata la personale concezione del trattare le figure con una dolcezza e un realismo nuovi, e in cui il cromatismo è già frutto di un autonomo ripensamento in senso chiaroscurale, risente ancora, nel paesaggio irreale, dell’astrazione quattrocentesca.

Leonardo è già un pittore compiuto e se è vero che in questo primo periodo fiorentino l'influenza del Verrocchio e di tutta la lezione del XV secolo è ancora fortemente presente in lui, è anche vero che il maestro stesso risentirà della personalità del suo giovane allievo. Opera di grande sintesi, che sembra anticipare i futuri lavori milanesi, il Ritratto di Ginevra Benci (foto), collocabile fra il 1474-77, si pone come elemento di frattura fra la pittura fino ad allora in voga e un futuro tutto da svelare.

Gli ideali del Lippi, del Botticelli e in genere dei pittori del periodo, sono quelli di una bellezza astratta, irreale. I caratteri somatici di Ginevra, invece, sono fortemente sottolineati e, grazie a un sublime gioco di luce-colore, rivelano il volto “vero” di una donna. La tecnica prodigiosa nel tessuto chiaroscurale, il contrasto fra il volto luminoso ma modellato della giovane e uno sfondo intuito più che visto, permettono già di ammirare l’opera di un grande innovatore.

In questi anni Leonardo collabora attivamente col Verrocchio ma gli si possono assegnare altre due tavole di notevole rilievo, anche se non all’altezza della Ginevra: la Madonna del garofano, e la Madonna Benois, dipinte fra il 1475 e il 1478. In entrambe, la lezione verrochiesca è ancora presente, ma continua la ricerca di una nuova concezione luministica, frutto di un attento, scientifico studio.

Nella Madonna del garofano, ad esempio, dalle due bifore poste sullo sfondo penetra una luce che avvolge la Vergine e il Bambino in un caldo abbraccio cromatico. Più dinamica, la Madonna Benois descrive, con toni teneri e divertiti, un momento di intenso rapporto fra la madre e il figlio. La vivacità del Bambino, che alza la gambetta sinistra dando un senso di concitazione, la squisita descrizione delle mani dei due, il sorriso compiaciuto della Vergine, sono elementi di verità che aprono nuovi orizzonti alla pittura.

Nel 1476 Leonardo viene però denunciato alla “polizia dei costumi” con l’accusa di sodomia; un’ombra inquietante sulla sua vita di cui non si hanno notizie dettagliate. Si sa invece che nello stesso anno o forse poco dopo, si licenzia dalla bottega del Verrocchio e si mette in proprio. In città il suo nome è già conosciuto. La nobiltà fiorentina deve aver visto il Ritratto di Ginevra Benci e deve averlo apprezzato in tutto il suo valore.

Il 10 gennaio del 1478, con una deliberazione dei Signori e Collegi, lo si incarica di eseguire una pala d’altare per la cappella di San Bernardo nel palazzo della Signoria. Lui stesso scrive: “...mbre 1478 incominciai le due Vergini Marie”. Che forse una delle suddette sia proprio la Madonna Benois? Pur amando la compagnia, il pittore sente spesso il bisogno di chiudersi nei propri pensieri, di osservare con i suoi occhi di scienziato tutto ciò che gli si pone davanti.

Per lui ogni argomento è degno di essere studiato e approfondito. Quando il 29 dicembre 1479, il corpo di Bernardo di Bandino Baroncelli, l’assassino di Giuliano de’ Medici nella congiura de’ Pazzi, è impiccato in città, l’artista è presente. Gli amici che lo accompagnano inorridiscono, lui invece esegue lucidamente un disegno del cadavere mosso dall’impulso di studiare una nuova forma di realtà. Annota quasi freddamente anche i colori della veste del giustiziato; non un commento di orrore o pietà.

Nel 1481 Leonardo inizia l’ultima sua grande opera fiorentina; si tratta di un'Adorazione dei Magi, da eseguire per la chiesa di San Donato a Scopeto. L’artista, che prima di essere un pittore è un irriducibile teorizzatore, continua la sua affannosa ricerca stilistica. È come se la sua mente gli suggerisse nuove soluzioni e scelte formali più entusiasmanti. Per questo, cioè per questa sua esigenza dell’anima, molte delle sue opere future resteranno incompiute.

È il caso appunto dell'Adorazione che rimane allo stato di abbozzo, ma che si presenta con tutta la sua forza innovativa fatta di tonalità chiaroscurali e quasi impalpabili ritmi tonali. Ma il pur fertile ambiente fiorentino, in cui già Lorenzo il Magnifico è assurto a protagonista assoluto con la sua accademia platonica e il suo giardino di San Marco, sta forse stretto al genio di Vinci che nel I482 parte alla volta di Milano e vi giunge fra la primavera e l’estate.

Perché quest’abbandono? Alla corte del Magnifico, Leonardo, come del resto più tardi Michelangelo e molti altri artisti di genio, avrebbe potuto emergere quale assoluto protagonista. Forse il trentenne maestro, che aveva certo già molti ammiratori a Firenze, aveva metodi ili lavoro troppo lenti, operava più per se stesso che per le committenze, occupandosi di molte cose nello stesso tempo, tanto da risultare, a un occhio maldestro o poco illuminato, dispersivo.

A Milano avrà la comprensione necessaria e, nei diciotto anni che vi trascorre, si dedicherà a un numero impressionante di opere non solo pittoriche.

2. Il periodo milanese: non solo pittore ma uomo di molti ingegni

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L’ambiente milanese, meno colto di quello fiorentino, è però altrettanto sensibile alla realizzazione di un ambizioso disegno intellettuale. La città lombarda, al pari di quella toscana, cerca di proporsi come modello per altre corti italiane.

C’è un forte fermento artistico, letterario, scientifico. In questo clima Leonardo si trova perfettamente a proprio agio. Le figure del duca Giangaleazzo Sforza, e dello zio Ludovico il Moro che gli succederà, danno al genio vinciano ampie possibilità di espressione. 

Subito Leonardo dà prova delle sue immense capacità e conoscenze. Spazia dalla musica all’improvvisazione poetica, dalla filosofia all’architettura, dalla scultura alle scienze:

“Fu condotto a Milano con gran riputazione ... e Lionardo portò quello strumento (una lira), che gli aveva di sua mano fabricato d’argento gran parte, acciocchè l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce. Laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare; oltra ciò fu il migliore dicitore di rime a l'improviso del tempo suo. Sentendo il duca i ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, talmente si innamorò delle sue virtù, che era cosa incredibile. E pregatolo, gli fece fare in pittura una tavola d'altare, dentrovi una Natività che fu mandata dal duca a l’imperatore”. Così racconta il Vasari.

L’opera in questione è probabilmente la celebre Vergine delle rocce, che fu commissionata al maestro nel 1483 dalla Confraternita della Concezione e destinata alla chiesa di San Francesco Grande. Un’opera in cui Leonardo, aiutato dai fratelli Evangelista e Ambrogio de’ Predis, sconvolge la tradizionale iconografia della Vergine col Bambino.

La Madonna infatti non è ritratta in trono con il Bambino in braccio, ma appare in un atteggiamento inusuale: è inginocchiata al centro dello spazio risultando il fulcro di un gruppo di figure impostate secondo uno schema piramidale. I personaggi emergono da un gioco fitto di ombre e di luce che avvolge anche l’ambiente sfumando in toni sottili di chiaro e di scuro. Prende vita un’atmosfera avvolgente, che crea un rapporto intimo fra le figure e il paesaggio.

Questa e altre opere pressoché coeve quali il Ritratto di musico, e la Dama con l'ermellino (foto), presunto ritratto di Cecilia Gallerani, amica del Moro, impongono Leonardo all’attenzione del mondo pittorico locale. Le immediate ripercussioni si risentono in artisti quali il Boltraffio, Andrea Solario, e i minori come Marco d’Oggiono, il Giampietrino, il Salai.

Le innovazioni di Leonardo affascinano questa nuova generazione che può così superare l’ormai stanca lezione foppesca, tanto in auge nella prima metà del Quattrocento. Ma ben presto l’influenza dell'ancora giovane maestro supera i confini della Lombardia; gli echi si risentono a Firenze, a Roma, e un po' in tutta la penisola.

Sempre in questo periodo, un altro sublime lavoro esce dalla mente indagatrice di Leonardo: il Ritratto di dama (La belle Ferronnière), in cui si rafforzano i caratteri della sua nuova pittura: lo sfondo non è previsto, il busto è impostato in senso diagonale, lo sguardo è intenso e malinconico. Leonardo cerca, attraverso un’acuta e sensibile indagine psicologica, la verità di questa donna e non la sua idealizzazione.

L'artista, che sta ormai raggiungendo la piena maturità, continua i suoi studi nei vari campi dello scibile. E' spesso utilizzato come organizzatore di feste e di giochi. Anche qui la sua geniale inventiva si manifesta con complicati marchingegni che divertono la corte. È il caso dei festeggiamenti per le nozze Sforza-Aragona tenuti il 13 gennaio del 1490 al castello, dove si svolge la tanto ricordata Festa del Paradiso.

Il Bellincioni nelle sue rime racconta:
“Si era fabbricato con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino il paradiso con tutti li sette pianeti che giravano, e li pianeti erano rappresentati da uomini”.

Leonardo viaggia, esegue lavori di bonifica, restaura la tenuta dei duchi presso Vigevano, fa progetti per l’inondazione dei fossati del castello di Milano e soprattutto continua il grandioso studio per il monumento equestre allo Sforza, cominciato già agli inizi del suo soggiorno milanese.

Nel 1495 è chiamato per un affresco che lo impegnerà per due anni. Deve dipingere un’Ultima cena nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie. La sua natura di sperimentatore, anche nelle tecniche, lo porta a utilizzare un nuovo tipo di pittura a fresco. È per questo che già dopo pochi decenni il Cenacolo comincerà a subire i primi segni di un degrado che oggi è avanzatissimo.

Quest’opera di Leonardo è uno fra gli episodi più alti dell’intera avventura artistica di sempre. Se messa in relazione ad altre opere dello stesso tema eseguite da maestri coevi o dell’immediato passato, il Cenacolo si impone con tutta la sua forza innovativa. I moti umani sono espressi con grande forza di penetrazione. Il Cristo, di una bellezza dolente, ha appena annunciato agli apostoli che uno di loro lo tradirà; la reazione di questi è di sorpresa e di sdegno.

Per sottolineare tale aspetto Leonardo concepisce una disposizione rivoluzionaria, accorpando in gruppi di tre i partecipanti alla cena. Gruppi ritmati dalla figura centrale del Salvatore. L’opera suscita un’ammirazione grandissima, il Moro ne è entusiasta. Anche l'amico intimo Luca Laeioli, insigne matematico, tesse le lodi del Cenacolo nella De divina proportione, dedicata al duca.

Il Bandello poi racconta di aver visto il maestro lavorare all’opera:
“Soleva [Leonardo] anco spesso, et io più volte l’ho veduto e considerato, andare la matina a buon’hora a montar su ’l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto: soleva (dico) dal nascente Sole sino all’imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di contìnovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì, che non v’averebbe messo mano, e tuttavia dimorava talora una o due ore al giorno e solamente contemplava, considerava et essaminando tra sé, le ligure giudicava”.

Quando, nel 1499, le fortune del Moro finiscono e la Lombardia viene invasa dalle truppe francesi di Luigi XII, Leonardo, ormai nella condizione di essere ospitato da qualsiasi signore italiano, lascia la città. Parte con i suoi disegni, i suoi studi, i suoi manoscritti, le sue annotazioni; parte con i suoi pensieri e i suoi intendimenti, fermati sulla carta quasi ancora in forma di appunti, che più tardi svilupperà.

Francesco Melzi, l’allievo prediletto, l’uomo che copierà molte sue opere e che parlerà di lui al mondo dopo la sua morte, lo ospita per un breve periodo nella sua casa di Vaprio d’Adda. Poco dopo Leonardo, il cui mito ormai è diffuso in ogni parte d’Italia, si ferma a Mantova ospite dei Gonzaga. Isabella d’Este gli chiede un ritratto nel tentativo di trattenerlo a corte.

Ancora una volta il risultato è uno splendido cartone preparatorio ma nulla più. Agli inizi del Cinquecento Leonardo si reca a Venezia e offre la propria consulenza in lavori di ingegneria militare; nell’agosto dello stesso anno è ospite del convento dei Serviti alla Santissima Annunziata di Firenze.

3. Il secondo periodo fiorentino: la consacrazione di un mito

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Da diciotto anni Leonardo non vedeva la sua città. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, che certamente l’artista aveva conosciuto in giovane età, e gli anni bui del Savonarola, ora è salito al potere un governo oligarchico retto dal gonfaloniere Pier Soderini.

La città rinasce culturalmente ed è onorata di potersi di nuovo avvalere del genio di Leonardo. Se è vero che in questo secondo periodo fiorentino egli intensificherà i suoi studi di anatomia, andando a sezionare cadaveri, disegnando con calligrafica precisione i vari organi del corpo umano, è anche vero che non perde l’amore per la pittura.

Anzi d ritorno nella città del giglio sembra risvegliare in lui nuovi stimoli. E' impegnato nell’esecuzione di un nuovo capolavoro: Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e san Giovannino. Realizza un cartone bellissimo che viene mostrato alla cittadinanza. Molti artisti l’osservano ammirati, fra questi c'è probabilmente anche il giovanissimo Raffaello giunto da poco ii Firenze dalla nativa Urbino. 

Il dipinto ancora una volta non viene eseguito, Leonardo sembra distratto da altre cose. Ma basta il cartone per avere la misura delle sue ricerche formali. Ritorna infatti il tema, già sperimentato nella precedente Vergine delle rocce (foto), di una composizione piramidale composta da figure colte in atteggiamenti colloquiali e in posizioni ardite. La Vergine infatti è seduta su una gamba di sant'Anna e tiene in braccio il Bambino che dialoga a gesti con il san Giovannino che sembra rapito dalla sua presenza.

Il pittore lavora a questo tema con il solito bisogno di approfondimento e, qualche anno dopo, dipinge una versione della stessa su tavola, in cui dimostra un’ulteriore elaborazione: le figure sono meno monumentali, c’è più dinamismo nel corpo della Vergine, il san Giovannino è sostituito dall’agnello, le montagne sullo sfondo sembrano un contrappunto di vibrazioni luminose, lo sguardo accondiscendente della sant’Anna è come quello di una madre che osserva con tenerezza il gioco dei propri figli.

Improvvisamente Leonardo si allontana da Firenze, per circa un anno; trascorre infatti il 1502 mettendosi al servizio, come architetto e ingegnere militare, di Cesare Borgia, il terribile figlio di papa Alessandro VI che, con inaudita violenza, era riuscito a creare un proprio stato nella Romagna e nell’Italia centrale.

Può sorprendere che Leonardo metta il suo genio al servizio di un despota, ma in realtà per lui questa è una nuova esperienza di ricerca, la sua mente pragmatica non può fermarsi di fronte a un problema di coscienza.

Nel marzo del 1504 rientra a Firenze, stimolato da un incarico grandioso affidatogli dal gonfaloniere Pier Soderini. Si tratta di dipingere ungrande affresco nella sala del Gran Consiglio in palazzo Vecchio. I fiorentini, per sottolineare il nuovo corso politico della città, hanno bisogno di ricordare i momenti gloriosi del loro passato; per questo si pensa di fargli raffigurare la Battaglia di Anghiari, svoltasi nel 1440 e che vide la schiacciante vittoria degli armati fiorentini sulle milizie milanesi di Filippo Maria Visconti.

Ancora una volta, come nel caso del Cenacolo, Leonardo non si ferma all’esecuzione del lavoro, ma cerca in esso nuovi stimoli tecnici, nuove sperimentazioni. Per questo, durante l’esecuzione dell’affresco, il maestro si accorge che le nuove tecniche adottate hanno dato cattivo frutto: il colore cola dalla parete, inesorabilmente.

Leonardo è costretto a rassegnarsi alla sconfitta. Di lì a poco dell’affresco resterà solo uno sbiadito ricordo. Ma dai suoi studi preparatori e da una copia del Rubens si comprende la prodigiosa idea del genio vinciano che, a sottolineare la violenza della guerra e, in un certo senso, per dimostrare il suo dissenso, concepisce un’immagine vorticosa di uomini e cavalli impegnati in una lotta furibonda, che è frutto soltanto di una furia cieca.

Vasari sostiene che in questo stesso periodo fiorentino Leonardo, chiuso nel sereno silenzio del suo studio, inizia l’opera più esemplare della sua produzione:
“Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Mona Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo”.

Ma la critica assegna il capolavoro al successivo soggiorno milanese. Nel 1506 Leonardo abbandona di nuovo Firenze ed accetta l’invito del governatore di Francia Charles d’Amboise.

4. Il secondo periodo milanese, il soggiorno romano: gli ultimi capolavori, la morte in terra di Francia

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A Firenze Leonardo aveva approfondito lo studio del corpo umano, eseguendo disegni con mano di grande artista e mente di altrettanto grande scienziato

Ora, a Milano, collabora come architetto e ingegnere idraulico, si impegna sull’ambizioso progetto del monumento equestre di Giangiacomo Trivulzio, dipinge Sant’Anna, la Madonna e il bambino con l’agnello, a cui precedentemente abbiamo fatto riferimento, e porta a compimento la seconda versione della Vergine delle rocce, una pittura sempre di altissimo valore estetico ma forse appesantita da un eccessivo intervento di aiuti.

Nel 1513 parte alla volta di Roma su invito di Giuliano de’ Medici, che lo alloggia nel principesco ambiente di villa del Belvedere. A Roma Leonardo trova un clima di grande fermento attorno alle figure di Michelangelo e di Raffaello e non sembra, almeno apparentemente, interessato ad entrare in competizione con loro, visto che ormai non è più un pittore “militante” ma uno scienziato di universale ingegno.

Lavora, così, appartato, e si appassiona agli studi matematici e scientifici; pensa a come fare volare l’uomo, concepisce macchine avveniristiche, e si dedica a un gruppo di disegni fantastici, in cui riprende i temi della natura e della violenza insita in essa.

Con la serica del Diluvio (sedici disegni realizzati a carboncino, con tratti a inchiostro), raggiunge una nuova chiave espressiva. Si tratta di una meditazione dolente, quasi una visione apocalittica, in cui l’essere umano non sembra più al centro dell'universo e nella quale la furia devastatrice della natura prende il sopravvento. È un messaggio chiaro: Leonardo, dopo aver trascorso la vita a cercare di scoprire i segreti della natura, sembra ora stanco e sconfitto.

Fra il 1511 e il 1516 l’artista realizza altri due dipinti, che sono, per sintesi formale e felicità cromatica, una sorta di summa della sua intera produzione: il Bacco, e il San Giovanni Battista. Entrambe le figure incarnano il suo ideale di bellezza; una bellezza ammiccante, vagamente inquietante e ambigua. I volti dei due personaggi potrebbero essere infatti anche quelli di una giovinetta.

Forse dello stesso periodo è anche la Gioconda (foto), sulla cui datazione, comunque, le riserve sono ancora da sciogliere. Si pensa infatti che sia stata iniziata dal maestro fra il 1503 e il 1506 e ultimata in questi anni proprio a Milano.

Leonardo esegue una figura di donna che, per la naturalezza dell’impostazione, per la morbidezza delle forme e dei panneggi, e soprattutto per le implicazioni espressive e psicologiche comunicate dal suo sguardo indefinibile, si pone come emblema delle inquietudini umane. Non è un modello ideale di bellezza femminile bensì un simbolo dell’enigma, del segreto che sta in ognuno di noi.

Nel 1517 Francesco I invita Leonardo in Francia. Lo accoglie con tutti gli onori e gli dà la possibilità di attendere alle sue ricerche nella tranquillità del magnifico castello di Cloux dove il maestro, il 2 maggio 1519, muore amorevolmente assistito dall’amico e seguace Francesco Melzi, suo esecutore testamentario. Scompare così il genio più grande di tutto il Rinascimento, colui che fu capace di aprire nuove strade all’avventura umana.

“Veramente mirabile e celeste fu Lionardo [...]. Laonde volle la natura tanto favorirlo, che dovunque è rivolse il pensier, il cervello e l’animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfezione di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia nessun altro mai gli fu pari”. Così scriverà il Vasari alcuni decenni dopo.



5. Per vedere Leonardo

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Lavoratore infaticabile, genio poliedrico dalla produzione a getto continuo, Leonardo si trasforma in lentissimo, pignolo perfezionista al momento di tradurre in forme concrete la magmatica, generosissima quantità di studi e di appunti.

Il bilancio è mortificante: le pitture su tavola sono poche, l’ambizioso monumento equestre a Francesco Sforza non è giunto a compimento, nemmeno uno dei trattati scientifici progettati ha visto la luce.

Proprio per la loro rarità, le opere di Leonardo sono pietre miliari della civiltà, e conoscono una certa distribuzione in diverse nazioni. L’itinerario ha come punti fondamentali le tappe della vicenda biografica del maestro (Firenze, Milano e la Francia), ma non mancano importanti digressioni.

Opere in Italia
E' opportuno chiarire che come “opere” di Leonardo non intendiamo solamente i dipinti, che pure costituiscono la parte saliente della produzione del maestro: vogliamo qui considerare anche i disegni, i progetti architettonici, gli studi scientifici, tecnici e ingegneristici.
E magari ricordare, sia pure di sfuggita, l'attività di Leonardo per l'“effimero”, per le feste degli Sforza: l’allestimento della Festa dello Zodiaco nel Castello di Milano è rimasto proverbiale.

  • A Firenze non è rimasto nulla dell’affresco con la Battaglia di Anghiari in palazzo Vecchio: recenti saggi sulle murature, alla ricerca di eventuali frammenti, hanno dato un esito del tutto negativo. Pertanto, tutte le opere di Leonardo sono concentrate negli Uffizi.
    I dipinti sono tre, tutti del periodo giovanile, anteriore alla partenza per Milano:
    1) Si comincia con il Battesimo di Cristo, una solenne composizione concepita da Andrea Verrocchio ed eseguita con la collaborazione dell’esordiente Leonardo, autore dell’angelo di profilo e del delicato paesaggio.
    2) Segue l'Annunciazione, preziosa per i particolari e già attenta alla psicologia dei personaggi.
    3) Infine, l’importantissima Adorazione dei Magi, grande tavola rimasta incompiuta: rispetto al sostanziale immobilismo della pittura fiorentina intorno al 1480, Leonardo ricerca un vibrante dinamismo, che si manifesta nei gesti e nelle espressioni.
    Il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi conserva importantissimi disegni giovanili di Leonardo, fra cui il Paesaggio del 1473, ritenuto il più antico pervenutoci.
  • Il comune di Vinci ha pensato di onorare il proprio illustre figlio con due iniziative: una è la conservazione della modesta casa natale del maestro, l’altra è l’istituzione, presso il locale castello, di un museo dedicato alle invenzioni e alle “macchine” leonardesche. Attraverso i disegni e i progetti sono stati realizzati modelli lignei degli strumenti ideati da Leonardo.
  • Milano è la città in cui Leonardo si è fermato a lungo. Le tracce del maestro sono numerose, anche se molto spesso indirette. La scuola di pittura lombarda dell’inizio del XVI secolo è fortemente influenzata dal “leonardismo”, mentre in molte architetture imponenti si sente l’eco della consulenza del maestro.
    Tuttavia, il punto di partenza non può essere che il Cenacolo dipinto nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Leonardo ha rivoluzionato l’iconografia dell’Ultima Cena, scegliendo il momento in cui Cristo annuncia il tradimento. Purtroppo, la tecnica sperimentale per fissare i colori al muro ha dato pessimi risultati: il recente restauro non può che confermare lo stato precario del capolavoro. Molte copie, di vario formalo, epoca e qualità, sono distribuite nei musei milanesi e in diverse chiese lombarde.
    È stata da qualche anno formulala l’ipotesi che Leonardo abbia ideato la decorazione della volta della sagresta Vecchia, sempre nell'ambito del convenlo domenicano delle Grazie.
    Quasi completamente ridipinta (salvo qualche porzione delle parti basse), si presenta la sala delle Asse, lo spettacolare ambiente del castello Sforzesco trasformato da Leonardo in un vasto pergolato. Significativi ricordi leonardeschi (disegni e incisioni) sono nella Raccolta Vinciana, sempre all’interno del castello.
    L’unico dipinto su tavola di Leonardo a Milano è il penetrante Ritratto di musico della Pinacoteca Ambrosiana, ricca anche di dipinti dei leonardeschi. Nella biblioteca della stessa istituzione è conservato un fondo importantissimo di manoscritti (il Codice Atlantico) e di disegni del maestro.
    La Pinacoteca di Brera, pur ricchissima di dipinti di scuola leonardesca, non possiede nessuna opera del maestro: parzialmente attribuito a Leonardo è un disegno colorato con la Testa del Redentore, studio o derivazione dal volto di Cristo nel Cenacolo.
    All'attività ingegneristica e di inventore è dedicata la Galleria di Leonardo, il più importante ambiente del Museo della Scienza e della tecnica. Sono ricostruiti strumenti e macchinari progettati dal maestro, oltre a modellini di studi architettonici.
    L’artista ha inoltre offerto la propria opera di consulente di ingegneria idraulica in imponenti lavori di sistemazione delle vie d’acqua (l’articolazione dei Navigli che collegano Milano al sistema fluviale lombardo) e di matematico specialista in strutture complesse per grandiose architetture di committenza sforzesca come il duomo di Milano, la piazza Ducale di Vigevano e il duomo di Pavia.
  • Altre località italiane: L’unico dipinto di Leonardo in Italia, escluse Firenze e Milano, è l’incompiuto San Gerolamo della Pinacoteca Vaticana di Roma.
    Notevoli, invece, sono i disegni conservati in altre città. A metà tra il disegno e il dipinto si pone la cosiddetta Scapigliata della Galleria Nazionale di Parma.
    Nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia è conservato un gruppo di fogli molto celebri, come le Proporzioni del corpo umano, con la figura di un uomo inserito entro un quadrato e un cerchio; inoltre, i primi schizzi per il Cenacolo e studi di Teste grottesche e caricature.
    Importante è anche la serie della Biblioteca Nazionale di Torino: fra l’altro, vi si trova il famoso Autoritratto a sanguigna.

 

Opere in Europa
I dipinti di Leonardo sono conservati lutti in collezioni pubbliche e solo pochissimi disegni appartengono a privati; a metà tra pubblico e privato consideriamo la raccolta reale d’Inghilterra, di gran lunga il più importante fondo di disegni leonardeschi del mondo.

  • A Parigi, tra le opere che risalgono agli anni trascorsi da Leonardo ad Amboise e i dipinti pervenuti nei secoli successivi, nel Musée du Louvre si raccoglie circa un terzo dell’intera produzione pittorica del maestro, con tavole appartenenti ai diversi periodi dell’attività.
    La sequenza si apre con la piccola Annunciazione giovanile, nata come predella per una pala dipinta dall’amico Lorenzo De Credi. Segue il Ritratto di dama (La belle Ferronnière) e la prestigiosa prima versione della Vergine delle rocce (iniziata nel 1483), la prima pittura eseguita a Milano.
    Gli effetti di resa naturale e atmosferica, già sperimentati nella Vergine delle rocce, si sviluppano straordinariamente nella Gioconda, collocata su uno sfondo di un paesaggio tipicamente prealpino. Il ritratto di Monna Lisa è probabilmente il quadro più famoso del mondo, riprodotto in infinite maniere, a volte irriguardose. Così, è diventato perfino difficile provare emozione per la straordinaria bellezza e novità dell’opera, tutta giocata su sottili rapporti di luce e di psicologia.
    Un ulteriore sviluppo nel senso della complessità degli aspetti naturali è la stupenda pala della Vergine con sant’Anna. Il gioco degli ambigui sorrisi ritorna nella misteriosa effige di San Giovanni Battista (foto), l'ultima opera di Leonardo.
    La raccolta di grafica del Louvre vanta inoltre alcuni dei più bei disegni di Leonardo, fra cui studi di anatomia e il Ritratto di Isabella d ’Este.
  • A proposito di disegni leonardeschi in musei francesi va citata la raccolta del Musée Bonnat di Bayonne, in cui si conserva anche la cruda immagine dell'Impiccato.
  • L’incendio che ha devastato il castello di Windsor nel dicembre del 1992 ha fortunatamente risparmiato le opere d’arte della collezione reale inglese, e in particolare non ha nemmeno sfiorato l’eccezionale sequenza di disegni e di appunti manoscritti di Leonardo. Fra i fogli più preziosi i grandi studi per le teste degli apostoli nel Cenacolo; inoltre memorabili Studi di natura, gli appunti di idrodinamica e gli schizzi per i monumenti equestri progettati a Milano.
  • A Londra si trovano altri disegni di Leonardo nel British Museum; ma il riferimento è soprattutto la National Gallery, che ha affidato al pittore un ruolo di grande significato: il meraviglioso Cartone per la Vergine con sant’Anna è stato collocato infatti a conclusione del percorso di visita organizzato nella nuova ala del museo. Accanto si trova la seconda versione della Vergine delle rocce, dipinta da allievi di Leonardo sotto il diretto controllo del maestro.
    - La dolce Madonna del garofano del periodo giovanile è conservata nella Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.

 

Opere in Europa orientale
Un certo numero di significative opere di Leonardo si trova nei musei dei paesi dell’Est.

 

Altre località








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