Mangiare bene per vivere sano2-800x400

Mangiare bene per vivere sano

La Mediterranea è la dieta migliore. Non è importante solo quale cibo scegli, ma anche con che cosa lo consumi e quando.

Ma di diete Mediterranee se ne vedono tante e di vari tipi. Come deve essere esattamente?

Essa, quando viene studiata nel mondo scientifico, è una dieta fondamentalmente povera, fatta per gran parte di frutta e verdura. La verdura era condita con olio d’oliva e aceto.

Dal mare arrivavano a basso prezzo i prodotti della pesca, che spadroneggiavano in tavola. La carne era invece un cibo raro, da comprare, e da destinare alle grandi occasioni.

È vero, ci sono mille piramidi alimentari, e ognuno la fa come gli pare, adattandola alle sue esigenze di vendita, ma alla fine dell’ultima guerra mondiale la Dieta mediterranea era questa.

Poi per fornire l’energia necessaria per il lavoro dei campi, o in mare, alla base dei carboidrati c’erano i cereali; ma si tratta di cereali integrali perché negli anni ’50 era raro che pane e cereali fossero raffinati. Di carne se ne vedeva poca, in tavola arrivavano le proteine del pesce e dei legumi.

Quanto ai dolci erano consumati saltuarissimamente, in occasione delle feste locali o di famiglia. I bambini bevevano acqua, e i grandi un po’ di vino, non puro, ma allungato con l’acqua: anche la vite è parte della coltura mediterranea, ma di vino non ce n’era da buttare, quindi le quantità erano modeste.

E allora che cosa mettere nel piatto per imitare la vera Dieta mediterranea? Scopriamolo insieme!

E ricordatevi di consultare sempre il medico prima di iniziare qualsiasi tipi di dieta.

1. La colazione del mattino

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Tradizionalmente sulla tavola c’era il latte: un bicchiere, caldo o freddo secondo il proprio gusto, senza esagerare.

Latte intero perché la quota di grassi del latte non va demonizzata, soprattutto per i bambini. Se si cerca una dieta con poche calorie si può andare sul latte parzialmente scremato.

Oggi ci sono anche ottimi latti alternativi, che non fanno parte della Dieta mediterranea: latte di soia, di riso, di avena... hanno un indice glicemico leggermente più alto ma non sono un problema se inseriti in una giusta colazione. Per colorare il latte, del caffè, anche d’orzo, o un classico tè.

Lo zucchero va limitato, quindi pochi caffè, forse un altro nella giornata, e basta : non perché il caffè faccia male, ma perché fa male lo zucchero aggiunto: si tratta di calorie vuote, molto più vuote di qualsiasi altro alimento. E di zucchero aggiunto nella Dieta mediterranea ce n’era poco. 

Per i bambini, se piace, il cacao. Non “preparati a base di”. Parliamo di cacao ed eventualmente un po’ di zucchero e, se lo si vuole denso, meglio ricorrere alla farina di semi di carruba ed evitare invece la fecola o la maizena o gli altri amidi di cereali, che vengono assorbiti troppo velocemente.

Bisogna evitare le polveri che hanno una lunga lista di additivi e di aromi. Dal punto di vista fisiologico mangiare molecole che mimano altro significa cercare di confondere il tratto digerente. Se si vuole avere un buon rapporto con il proprio intestino, non gli si devono raccontare delle bugie.

Torniamo alla nostra colazione. Bisogna spostare le calorie verso la mattina, non verso la sera, quindi la colazione e il pranzo sono i pasti abbondanti, la cena invece deve essere leggera. Molti nutrizionisti usano mettere sul piatto della colazione anche 3-4 noci o mandorle o nocciole.

E aggiungono un po’ di carboidrati integrali, per esempio 2 fette di pane integrale con un po’ di marmellata, meglio se fatta in casa, cioè che contenga frutta vera e poco zucchero aggiunto.

Ci sono marmellate in cui non si capisce bene dove sia la frutta. Chi possiede un frutteto o un orto sa che d’estate i vegetali maturano tutti assieme e non si riesce a mangiarli tutti. Per non buttare via nulla, un tempo si facevano grandi conserve.

Ma lo zucchero per la frutta andava comprato e costava: se ne usava veramente poco, giusto il necessario per il suo ruolo di conservante; la proporzione era di 200-300 grammi di zucchero per ogni chilo di frutta, per cui le marmellate erano poco dolci. Sono quelle le marmellate più adatte per la colazione.

2. Lo spuntino

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E poi un pugno di frutta fresca: una mela o un’arancia o due kiwi o una manciata di ciliegie secondo la stagione.

Per i bambini magrolini si può ricorrere a un uovo alla coque: in passato, fresco del pollaio, faceva parte della tradizione mediterranea. Ma non tutti i giorni, ogni tanto.

Con una colazione così si dovrebbe arrivare all’ora di pranzo senza problemi. Qui ci sono due teorie: quella che prevede lo spuntino e quella che invece non lo prevede.

Dipende dal singolo: se non si sente bisogno di mangiare, lo spuntino non è obbligatorio, ma se a metà mattina si ha fame e a pranzo ci si lancerebbe sul piatto, meglio mangiare un frutto a metà mattina per rompere il digiuno.

A pranzo i più oggi mangiano un panino al bar e bevono una bibita. Dal punto di vista nutrizionale è sbagliatissimo. È vero, viviamo in un ambiente stressogeno, sempre di corsa.

Per non “sprecare” tempo si passa al bar e si prende la prima cosa commestibile che si trova. Ma la scelta è sbagliata perché in questo modo si mette sul piatto della bilancia un po’ della propria salute.

Se anche non ci scappa la bibita zuccherata, il pane bianco del panino non fa bene. Manca tutta la parte vegetale e quindi scatena il picco glicemico. Con soli 5 minuti in più si può mangiare un’insalata e il conto salute va meglio. Per questo si consiglia sempre di associare la fibra dei vegetali con i carboidrati.

I piatti della tradizione delle cucine povere erano sempre fatti così e ancora oggi in India e nel Sud Est asiatico prevedono un insieme di riso e verdure cotte, perché le fibre delle verdure riducono l’assorbimento dei carboidrati. Così come è da preferire un’alimentazione a bassa densità energetica, come quella dei cibi tradizionali.

Invece l’hamburger del fast-food, fatto di pane bianco e maionese, spesso contenente anche zucchero, produce un picco glicemico elevato e ha un’enorme densità calorica.

Se poi ci si mette accanto una bevanda gasata e zuccherata il gioco è fatto e la strada va dritto verso il rischio obesità e diabete. C’è poi un ulteriore effetto collaterale, quello della sensazione di fame.

3. Il pranzo e la cosiddetta "fame da insulina"

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È il pasto principale della giornata, e ci sta bene un piatto grande, come quelli da pizza.

Per metà almeno va riempito con verdure crude di stagione: pomodori, peperoni, finocchi, carote, cetrioli, con fantasia. Per quanto sia pieno le calorie sono veramente poche.

E lo condiamo con un cucchiaio raso di olio extra vergine di oliva, e poi aceto, sale e pepe (un cucchiaio di olio è pari a circa 10-15 grammi).

La parte rimasta libera del piatto sarà occupata per metà dai carboidrati, cioè patate, pasta, riso, orzo tutti integrali, pari a circa 60-70 grammi di prodotti pesati crudi, conditi ancora con verdure cotte, 2-3 cucchiai (la porzione di pasta da 60- 70 grammi dà circa 230 calorie).

Resta un quarto di piatto per cibi proteici: cioè due volte la settimana il pesce, raramente un po’ di carne bianca, più spesso legumi.

E' necessario fare una precisazione sul pesce. Qualitativamente, fra pesce pescato e pesce di allevamento, c’è una differenza, anche se negli ultimi anni gli allevamenti sono molto migliorati. 

A favore del pesce pescato restano alcune differenze nei profili degli acidi grassi. Ma qui si apre anche il tema della sostenibilità della pesca, sostenibilità non nutrizionale, bensì morale.

La maggior parte delle specie sono infatti sovra-pescate: dovremmo perciò ragionare sulle nostre scelte. Il centro di biologia marina di Fano, che sorveglia le risorse ittiche dell’Adriatico, definisce se la pesca è eccessiva anno per anno, specie per specie, per cercare di limitare l’eccesso di catture.

Ma cos'è la "fame da insulina"? Se prima di mangiare un panino la glicemia è di 100 mg/dl di sangue, dopo il panino il picco glicemico arriverà a 130. A quel punto il pancreas produce insulina, e il picco di insulina fa scendere la glicemia a 80, cioè si va in ipoglicemia.

Il cervello percepisce l’insulina nel sangue come un segnale di sazietà, e la successiva caduta del contenuto di insulina nel sangue segnala il contrario, e scatena il segnale di fame, che ri-indurrà a mangiare; e se si mangerà ancora male, si innescherà un altro picco glicemico e sarà un continuo oscillare fra picchi glicemici e crisi ipoglicemiche.

Anche l’alcol fa salire rapidamente il picco glicemico: per questo gli alcolici vanno bevuti a pasto e se non si vuole diluire il vino basta bere anche acqua fra un sorso di vino e l’altro. Bere a stomaco vuoto ha anche altri effetti dannosi.

4. La cena

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La cena invece deve essere il pasto leggero della giornata. Un piatto piccolo o una scodella saranno più che sufficienti. La sera i carboidrati sono da limitare.

È vero, hanno alcuni effetti positivi, aiutano a dormire, ma i carboidrati sono energia prontamente disponibile e se si va a letto o ci si piazza davanti alla televisione, tutta quella energia finisce dove non vorremmo finisse: in grasso.

Per cui la sera è meglio fare un pasto leggero e non è sbagliato neppure, come gli inglesi, mangiare presto, nel pomeriggio, in modo da avere più tempo per smaltire la cena. Il pasto della sera d’inverno sarà a base di grandi quantità di verdure cotte, o un minestrone con legumi, ma senza troppe patate.

D’estate un’insalatona con porzioni di verdure cotte e crude. Le verdure cotte hanno il vantaggio che saziano abbastanza, forse a parità di peso più di quelle crude, perché hanno una quantità di fibra superiore.

Verdure che possono essere insaporite con le spezie come curcuma e curry, affiancate ogni tanto con un po’ di proteine dei legumi o del pesce, ogni tanto anche dell’uovo, o di carne e formaggi (senza esagerare).

Il formaggio merita un discorso a parte: nella Dieta mediterranea c’erano i formaggi, ma non nelle quantità che si vedono nelle piramidi alimentari di oggi. I latticini venivano consumati in piccole quantità perché andavano acquistati.

Anche la carne bovina e di maiale spesso doveva essere acquistata, mentre il pollo andava in tavola più spesso perché tutti avevano il pollaio. Quanto al pesce, era quello povero, azzurro: sardine (non il sushi) servite marinate o in altre preparazioni.

Il pesce azzurro è da preferire per il miglior contenuto di grassi polinsaturi. Possiamo permettercelo un paio di volte la settimana, con porzioni di 100- 150 grammi compresi gli scarti. E un pugno di frutta di stagione chiude anche la cena. Ma ricordatevi di consultare il medico prima di iniziare la dieta.



5. Il picco glicemico, che cos’è e come tenerlo sotto controllo

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Il picco glicemico è un picco di zucchero nel sangue, che si genera in seguito all’assorbimento dei carboidrati presenti nel pasto.

Questi carboidrati vengono digeriti a partire dalla bocca, grazie ad alcuni enzimi, le amilasi. Poi vengono ridigeriti nell’intestino e assimilati.

In altre parole gli zuccheri complessi vengono scissi da molti enzimi, tra cui le disaccaridasi, in complessi sempre più piccoli, finché il panino o il piatto di pasta sono ridotti in molecole molto piccole, i monosaccaridi, che possono essere assimilati dalle cellule dell’intestino e passano nel sangue dove generano un aumento della concentrazione di glucosio, la glicemia.

Questo aumento può essere pericoloso, perché gli zuccheri tendono a legarsi alle proteine alterandone la funzione. Tutte le proteine del sangue tendono ad agganciare lo zucchero (in termine tecnico sono soggette a glicazione).

Oggi si tende a sostituire la misurazione della glicemia a riposo con quella dell’emoglobina glicata, cioè la proteina del sangue che trasporta l’ossigeno e che ha agganciato lo zucchero. Il corpo si difende da tutto questo zucchero in circolo producendo insulina, un ormone che scatena l’assorbimento dello zucchero.

Il fegato comincia a raccogliere le molecole di zucchero dalla circolazione e lo stesso fanno i tessuti periferici, finché la concentrazione glicemica si abbassa. A ogni picco glicemico rispondiamo quindi con un picco insulinemico che ordina alle cellule del corpo di raccogliere e portare al loro interno lo zucchero che è in circolo.

Ma il picco insulinemico crea un’altra serie di reazioni: favorisce anche accumulo di grassi nel tessuto adiposo, e le cellule adipose producono molecole infiammatorie (le adipochine) che hanno un ruolo anche nelle malattie cardiovascolari e nell’infiammazione, e fanno vivere meno a lungo.

Se poi picchi di insulina toppo elevati si ripetono possono innescare la resistenza a questo ormone: le cellule smettono di rispondervi. A questo punto se i livelli di insulina sono alti e la risposta delle cellule all’insulina è bassa ci sono tutti gli ingredienti per la resistenza all’insulina, anticamera del diabete-2.

Come rimediare? Dovremmo cercare di far diventare questi picchi glicemici delle colline glicemiche.Se si evitano i corrispondenti picchi insulinici migliora la qualità e la lunghezza della vita: al diabete, oltretutto, si affiancano altre patologie come quelle cardiovascolari.

La soluzione è nella fibra, che impedisce l’assimilazione di grandi quantità di zuccheri liberi perché li lega durante il transito intestinale; per questo condire la pasta con la verdura o mangiare cereali integrali rallenta il picco glicemico.






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