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Mante e mobule: alla scoperta dei segreti di questi pesci misteriosi

L’etichetta di “pesce del diavolo” è toccata a degli animali che proprio non se la meritavano, anche se di primo acchito possono sembrare inquietanti.

Una sorta di squalo appiattito, che mangia con le branchie e ha le pinne… sulla testa, avvolto in un mantello due volte più largo che lungo, e che arriva a 7 m di diametro.

Oltre a questo, mante e mobule sono rimaste un mistero fino a pochissimi anni fa. E, in un certo senso, non era poi un male.

La fortuna delle mante era proprio essere ignorate dall’uomo, un po’ perché incutevano soggezione, ma soprattutto perché non avevano valore commerciale – ovvero, non erano buone da mangiare.

Poi, improvvisamente tutto cambia: qualcuno scopre che gli archi branchiali delle mante sono richiesti sul mercato dei medicinali cinesi e inizia una pesca intensiva e distruttiva.

Un guaio, come vedremo, ma nel tentativo di salvarle prima che sia troppo tardi, i ricercatori hanno iniziato a studiare mante e mobule, con interessanti sorprese.

Fino a pochi anni fa, di mante e mobule, avvolte nel loro mantello bianco e nero, si sapeva ben poco. I recenti studi ne hanno svelato aspetti sorprendenti. Ecco cosa hanno scoperto.

1. Lo squalo piatto

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Lo squalo piatto: cosi era stata chiamata la manta.

Con i parenti pescecani le mante hanno in comune lo scheletro fatto di cartilagine, e non di osso come nella maggior parte dei pesci.

Diversissime, però, le abitudini alimentari: le mante non hanno denti (con una piccola eccezione, come vedremo) e si nutrono di zooplancton.

Può sembrare strano che un animale pesante fino a 2 tonnellate possa vivere mangiando animali minuscoli, che deve catturare, evidentemente, in quantità enormi.

Le mante, nel plancton, ci nuotano a bocca spalancata, filtrandolo con le branchie.

Queste ultime si sono adattate a una seconda funzione, oltre a quella della respirazione, e fanno anche da setaccio, trattenendo gli animaletti, in gran parte piccoli crostacei, man mano che passa l'acqua.

Quindi, nulla da temere dai "pesci del diavolo", totalmente inoffensivi per l'uomo. Del resto, se pesi una o due tonnellate, non hai bisogno di difenderti più di tanto.

Fino a pochi anni fa si credeva che ci fosse una sola specie di manta, quella "oceanica”, un gigantesco rombo, nero sopra e bianco sotto, con una lunga coda sottile: un'apparizione spettacolare.

Vederla comparire da sopra ti può, letteralmente, oscurare il sole, per non parlare di quando sono a decine.

Poi, nel 2009, si scoprì che le specie sono due: Manta birostris, la più grande in assoluto, che frequenta soprattutto le zone d'alto mare con occasionali comparse vicino alla costa, e la più piccola (si fa per dire, perché arriva comunque a 3-4 metri di diametro) Manta alfredi, residente sulle barriere coralline.

Questo ha portato a 11 i componenti della famiglia dei Mobulidae, che comprende anche altre 9 specie più piccole, del genere Mobula.

Le mante si trovano in tutti gli oceani, ma mai troppo al freddo; nel nostro emisfero, quelle oceaniche arrivano fino ai 31° N (circa all'altezza del Marocco), e fino alle acque dell'Australia, nell'emisfero meridionale; quelle delle barriere, in una fascia calda più ristretta.

Dalle nostre parti, il Mediterraneo ne vanta una tutta sua: è laMobula mobiliar, la più grande delle mobule, che quasi sicuramente è endemica, cioè vive solo nelle nostre acque.

Può avere un'"apertura alare" di 4,5 - 5 m, tanto quanto la manta delle barriere. Come distinguere una manta da una mobilia?

Le due pinne che hanno in fronte, e che servono per incanalare il cibo verso la bocca, nelle mante sono tenute piegate in giù, a formare una sorta di tubo, mentre nelle mobule sporgono in avanti come due corni.

Proprio questa estate ha registrato un'impennata negli avvistamenti delle mobule, sia nel Mar Ligure sia nella Grecia ionica, dove i ricercatori dell'Istituto Tethys, una onlus per la ricerca sui grandi vertebrati dei nostri mari, pattugliano regolarmente le acque.

Cosa può significare? Forse una conseguenza del riscaldamento globale delle acque? Per ora è solo un'ipotesi, tutta da verificare.

2. Sorprendenti cervelloni e i luoghi di incontro

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Chi, tra tutti i pesci, ha il cervello più grosso? Proprio le mante.

Non solo perché è grande l'animale, ma anche perché sono particolarmente sviluppate le parti dedicate alle funzioni "elevate" e sensoriali.

Spesso i "pesci del diavolo" interagiscono con i subacquei, qualcuno si lascia addirittura "cavalcare", qualcuno sembra voler giocare.

Un segno di intelligenza? A noi umani piace crederlo; è di certo un pesce dotato di sensibilità e di una buona capacità di comunicazione.

Il comportamento di questi straordinari animali è forse l'aspetto che ha riservato più sorprese. Nuotare attraverso un brodo di plancton sembrerebbe non richiedere grande impegno intellettivo - e invece non è così.

Intanto questo cibo non è uniformemente distribuito: si presenta a "chiazze", che bisogna saper trovare, cosa che probabilmente le mante imparano a fare nel corso della loro lunga vita (pare raggiungano i 100 anni di età).

Ma sanno fare anche di meglio, per esempio cooperare, come quando si dispongono a catena, o si mettono a vorticare a spirale tutte assieme per concentrare e addirittura risucchiare copepodi e gamberetti.

Alcune poi hanno messo a punto una tecnica particolarissima: ruotano su se stesse, come un cane che insegue la propria coda, ma in senso verticale.

Dove si possono incontrare le mante? Nuotare con le mante può aiutare la loro conservazione, creando un interesse economico per gli animali vivi (sempre che si rispettino le regole di condotta per ridurre al minimo il disturbo).

La popolazione meglio conosciuta si trova alle Maldive, dove si possono incontrare immergendosi sia con le bombole sia solo con maschera e boccaglio.

Altri posti sono la penisola dello Yucatan in Messico; il distretto di Mancora a nord del Perù; Raja Ampatin Indonesia; Yap, in Micronesia, il Mar Rosso nel Nord del Sudan.

Nel Mediterraneo le mobule vengono avvistate nel Santuario Pelagos dalle spedizioni per lo studio dei cetaceidiTethys (www.tethys.org): partono in estate da Sanremo e sono aperte a tutti.

3. Stazioni di pulizia

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L'interazione tra mante non si ferma qui.

Un'intensa vita sociale si svolge nei pressi delle cosiddette stazioni di pulizia: sulle barriere ci sono diversi organismi, soprattutto pesci labridi, specializzati nella rimozione di residui di cibo, alghe e parassiti rimasti in bocca o tra le branchie di altri pesci.

Il vantaggio è reciproco: i pulitori ne ricavano cibo, i "clienti" l'igiene. Solo nelle Maldive si contano centinaia di queste stazioni, dove miriadi di pulitori sono sempre a disposizione.

Le mante ci si recano spesso e volentieri, e i ricercatori hanno notato un comportamento curioso: le femmine adulte sono quelle che passano più tempo nelle "Spa", ben più dello stretto necessario.

Le sessioni sembrano essere piacevoli e si possono fare anche incontri galanti, quando è stagione.

Le mante hanno una fecondazione interna: devono accoppiarsi, e l'uovo fecondato si sviluppa nel ventre della femmina che, alla fine, partorisce quasi come un mammifero, se non fosse che una volta nato, il piccolo è in grado di cavarsela da solo e la mamma ha esaurito il suo compito.

Subito dopo che una femmina ha messo al mondo il suo discendente, i maschi cominciano a interessarsi a lei, seguendola in codazzi fino a 20 - 25 pretendenti. I più intraprendenti le si avvicinano e le accarezzano la testa con una delle pinne cefaliche.

In genere lei li respinge, perlomeno sulle prime, prendendo i suoi corteggiatori per sfinimento e scegliendone uno solo alla fine di un lungo inseguimento.

Il maschio "approvato" la blocca, mordendole con i piccoli dentini la punta della pinna sinistra (nel 95% dei casi solo quel lato e non l'altro).

Per i ricercatori il dettaglio è di non poca importanza, perché proprio grazie a questi segni riescono a capire periodo e numero di accoppiamenti.

Come si può immaginare, non è semplice studiare le mante, soprattutto quelle che trascorrono gran parte della vita in oceano aperto. Quante sono? A che profondità vanno? Dove mangiano? Tutte domande fondamentali per poterle proteggere.

4. Impronte digitali

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È un po' più semplice quando si tratta delle mante delle barriere, che tendono a essere fedeli ai propri atolli. Come lo si è scoperto?

Attraverso le "impronte digitali": si trovano sulla pancia, sotto forma di macchie scure grandi e piccole, diverse da individuo a individuo - una cosa facile da verificare.

Con questa tecnica, la cosiddetta foto-identificazione, si catalogano gli individui a ogni avvistamento, per poi controllare se sono vecchie conoscenze o nuovi arrivati.

Dal tasso di riavvistamento si può anche stimare, per esempio, il numero di animali presenti in una certa zona.

Gli esperti del Manta Trust (www.mantatrust.org), un'organizzazione dedicata alla conservazione dei mobulidi, si avvalgono anche della citizen science per la raccolta di "carte d'identità" delle mante.

In sostanza, chiunque ne fotografi una può inoltrare il dato ai ricercatori, e contribuire così allo studio. Alle Maldive sono state fotoidentificate a oggi 2.700 mante: la più famosa è una certa Ping Pong, avvistata regolarmente fin dal 1989.

Un approccio diverso è invece quello usato nel Mediterraneo, dove le mobule sono più schive.

Scopritore di una specie nuova, negli anni '80 del secolo scorso, Giuseppe Notarbartolo di Sciara, presidente di Tethys, ha pubblicato di recente una stima dall'aereo del numero di Mobilia mobular presenti nel Mediterraneo nord occidentale: circa 12.000, da unirsi alle 3.000 che probabilmente popolano l'Adriatico.

Ma per studiarne il comportamento sott'acqua ci vuole anche altro, come il trasmettitore satellitare utilizzato, per la prima volta nel Mediterraneo, da Simone Canese dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) con le mobule nello Stretto di Messina.

Il risultato è lo stesso ottenuto anche nel Mar Rosso da un altro gruppo di ricercatori: gli animali compiono immersioni fino a 600 metri, ma trascorrono la maggior parte del loro tempo nei primi 50, dove l'acqua è più calda - un'abitudine che purtroppo li espone a una serie di pericoli.



5. Preziosi tesori

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Oggi mante e mobule sono a rischio, classificate come "vulnerabili" nella lista rossa dell'IUCN, l'Unione internazionale per la conservazione della natura.

Il motivo è soprattutto la pesca indiscriminata, che ha distrutto in pochi anni intere popolazioni.

Come detto, non è la carne che è richiesta, ma la cartilagine dell'apparato filtratore, una piccola parte dell'animale (nella foto) - tutto il resto viene buttato.

Questa vera e propria strage avviene in molte parti del mondo, compresa Gaza, nel Mediterraneo, e ha fatto scattare l'allarme.

Le mante sono particolarmente vulnerabili, poiché hanno un tasso riproduttivo molto basso: raggiungono la maturità intorno ai 20 anni, partoriscono un solo piccolo alla volta e non tutti gli anni, bensì ogni 2-5.

Quanto a minacce, non è tutto. Le mante sono soggette anche alle catture accidentali nelle reti da pesca, addirittura più di altre specie.

Come gli squali, non hanno la "retromarcia", e in più devono continuare a nuotare per poter respirare, con il risultato che impigliate in una lenza o nelle reti soffocano velocemente.

Ma se dietro alla strage dei mobulidi ci sono motivi prettamente economici, esistono anche interessi diametralmente opposti: in molte parti del mondo le mante sono l'attrazione turistica più richiesta da subacquei e snorkeler.

Si calcola che nei 23 Paesi in cui si può nuotare con le mante si crei un reddito diretto di oltre 66 milioni di euro all'anno che, con l'indotto, diventano 127 milioni.

Quale sarà dunque il futuro degli splendidi "diavoli" dal mantello bianco e nero? Se è destino che debbano essere sfruttati dall'uomo, cosa è meglio: vive o morte?






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