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Nanotecnologia: uno sguardo al prossimo futuro

Scalare un grattacielo senza dover ricorrere a scale o gru, semplicemente attaccandosi alle pareti, come l’Uomo Ragno; curare il cancro attaccando e uccidendo le cellule tumorali con una precisione estrema senza intaccare i tessuti sani; avere superfici che non si bagnano.

Scienza o fantascienza? Grazie alle nanotecnologie quelle che fino a pochi anni fa potevano apparire come utopie del progresso, oggi sono diventati strumenti e applicazioni già disponibili o comunque lo saranno a breve.

Gli studi in questo settore sono infatti tra quelli in maggiore espansione degli ultimi tempi e anche l’Italia può ormai contare su una nutrita e preparata schiera di ricercatori impegnati nell’esplorazione di questa frontiera della scienza.

Le prossime innovazioni scientifiche avverranno a scala 10-9 metri, cioè quella dei nanometri. Ma già oggi esistono delle applicazioni destinate a cambiare il mondo.ù

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1. Un micromondo affascinante

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Ma che cosa sono esattamente le nanotecnologie? In realtà esistono definizioni diverse.

Una di queste afferma che esse comprendono tutte quelle tecnologie che si occupano di controllare e manipolare la materia alla scala del nanometro o dei nanometri (il nanometro è pari a un miliardesimo di metro).

Si tratta quindi della capacità di poter costruire oggetti estremamente piccoli, con pochi atomi”.

Per capire meglio le dimensioni in questione bisogna pensare a un capello umano e immaginare di tagliarlo lungo il suo diametro in 80mila parti: i singoli pezzi che si ottengono sono pari a un nanometro, cioè 10-9 metri, appunto un miliardesimo di metro, pari a un milionesimo di millimetro.

Per nanotecnologie si intendono però anche tutte le tecnologie che consentono di studiare la materia alla scala del nanometro. Vengono quindi contemplati sia l’aspetto della manipolazione e costruzione di oggetti, sia quello dello studio e della comprensione sulla materia a scale così piccole.

A queste dimensioni le proprietà della materia possono cambiare, aprendo così la strada a orizzonti fisici ai quali, normalmente, non si ha accesso: questa è forse la parte più affascinante.

Mettendo insieme tanti oggetti piccoli se ne può ottenere uno grande con proprietà completamente nuove. E questo oggetto può avere applicazioni molto interessanti.

 

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2. Obiettivo: superidrofobicità

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Una delle applicazioni che si possono ottenere dalle nanotecnologie è quella della cosiddetta “acqua che non bagna” e che, come spesso accade nelle scienze, parte dal principio della biomimetica, l’analisi cioè di alcune caratteristiche fisiche della natura con lo scopo di comprenderne il funzionamento e replicarlo in laboratorio.

In questo caso si parte dallo studio della foglia di loto e dalla sua superidrofobicità, la capacità cioè di respingere l’acqua tanto da risultare completamente asciutta, senza alcun residuo di liquido, anche se viene bagnata.

Usando microscopi elettronici che permettono di arrivare a ingrandimenti tali da vedere la materia alla scala nanometrica i nanotecnologi hanno scoperto che la superficie della foglie di loto non è liscia, ma presenta una rugosità su scala gerarchica, cioè una serie di "gobbette’ che a loro volta ne hanno altre e così via fino alle più piccole che hanno un ordine di grandezza nanometrico.

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Grazie a queste rugosità, quindi, la foglia di loto respinge l’acqua e la fa scorrere su di sé rimanendo completamente asciutta. Non è quindi l’acqua che non bagna, ma è la foglia che è ingegnerizzata naturalmente per respingere l’acqua.

Essa si può replicare per creare delle superfici con un comportamento superidrofobico come, per esempio, le superfici autopulenti.

Un esempio è quello di una lastra di vetro trattata per avere le stesse caratteristiche nanometriche superficiali della foglia di loto: durante gli esperimenti le particelle di sporco accumulate sulla superficie vengono letteralmente trascinate via dalla goccia di acqua che non bagna il vetro, ma vi rotola sopra. Questa applicazione è già stata realizzata.

Con principi simili sono stati messi a punto anche dei trattamenti per tessuti basati su nanotecnologie che hanno come obiettivo quello di renderli idrofobici e repellere quindi l’acqua e le macchie.

Nella foto sotto, il fiore di loto viene studiato per la sua alta idrofobicità. Questa caratteristica viene replicata nei nuovi materiali nanotech per creare, per esempio, superfici autopulenti.

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3. Forza amplificata

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Partendo sempre dall’osservazione della natura vivente e dallo studio nanometrico delle sue caratteristiche, gli scienziati si sono anche concentrati sulla capacità, comune ad alcuni animali, di camminare senza difficoltà lungo superfici verticali, come muri o vetri, e addirittura a testa in giù.

Una caratteristica presente non solo negli insetti, ma anche in alcuni animali di dimensioni maggiori, come il geco.

Il fatto che un essere vivente grande anche decine di centimetri possa muoversi sfidando le leggi della fisica ha ovviamente incuriosito i ricercatori i quali hanno scoperto che le sue zampe sono ricoperte di “setae”, piccole setole o peli, disposte esattamente come le rugosità della foglia di loto, cioè secondo una struttura gerarchica che arriva fino alla nanoscala.

Per capire come questo possa garantire al geco l’altissima aderenza alle superfici bisogna chiamare in causa la forza di adesione. Secondo questo principio se si avvicina un oggetto a un altro c’è sempre una forza attrattiva.

Nelle situazioni normali essa è molto piccola, ma diventa proporzionalmente più forte via via che le dimensioni degli oggetti diminuiscono. E se il numero degli oggetti coinvolti è ampio sarà grande anche la forza di adesione.

Ed è proprio sfruttando questa legge fisica e la struttura gerarchica delle “setae” che il geco riesce a camminare lungo le pareti o sul soffitto: ciascuna delle parti più piccole delle sue zampe, che hanno dimensioni nanometriche, si attacca alla superficie con la sua forza di adesione ed essendo le setae molto numerose tale forza è estremamente grande.

Per levare la zampa dalla superficie è poi sufficiente staccare progressivamente tutte le “setae”. Un po’ come avviene in una zip. Se si cerca di aprirla tutta insieme non si riesce, devo farlo un dentino alla volta.

Lo stesso avviene con le zampe del geco. I nanotecnologi stanno cercando di replicare queste caratteristiche in laboratorio per realizzare, per esempio, un adesivo efficace e completamente reversibile, una sorta di post-it con una forza adesiva estremamente maggiore e utilizzabile molte più volte.

E poi c’è il progetto ben più avveniristico di dotare l’uomo di accessori che lo rendano un “geco umano” così da poter scalare agilmente le pareti.

Nella foto sotto, dettaglio delle zampe dei gechi. Esse sono dotate di “setae”, setole disposte secondo una struttura gerarchica che arriva alla nanoscala.

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4. Mi vedi? la luce nelle nanotecnologie

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Anche per il mantello dell’invisibilità, probabilmente, occorrerà attendere ancora, anche se in laboratorio qualche risultato interessante e promettente è già stato realizzato.

Alla base di questo settore di ricerca delle nanotecnologie ci sono la luce e il suo comportamento di fronte agli ostacoli.

La luce è un’onda che ha dimensioni medie di qualche centinaio di nanometri. Se lungo il suo tragitto incontra un ostacolo con dimensioni simili, questa onda subisce una diffrazione, cioè cambia direzione.

Per capire questo fenomeno è sufficiente pensare agli opali, pietre costituite da tante nanosfere di silice una vicina all’altra che creano una struttura ordinata denominata cristallo fotonico e in grado di deviare la luce in diverse direzioni.

Partendo da questo presupposto, i nanotecnologi hanno iniziato a lavorare sulla costruzione di un ipotetico materiale costituito da una struttura simile, grande qualche centinaio di nanometri.

La soluzione è giunta con la creazione dell’opale inverso (nella foto in alto a sinistra), un materiale che presenta cioè una struttura “al negativo” della pietra: dove c’erano le nanosfere ci sarà il vuoto mentre dove prima c’era il vuoto ci saranno le nanosfere.

Con questa struttura è possibile ottenere un controllo del percorso della luce in modo molto raffinato. Se l’opale inverso è ben progettato, il raggio di luce che lo attraversa può essere curvato anche di angoli importanti.

Una prima applicazione di questo controllo sul percorso della luce è nel campo della fotonica, il settore cioè che gestisce ed elabora informazioni utilizzando il fotone, cioè i quanti di luce: così come l’elettronica utilizza elettroni per trasmettere informazioni, la fotonica fa lo stesso ma con i fotoni, risultando quindi molto più veloce ed efficiente.

Grazie agli opali inversi creati dai nanotecnologi, quindi, la fotonica potrebbe andare incontro a un notevole sviluppo e rappresentare il futuro della trasmissione di informazioni.

Ma una struttura simile a un opale inverso potrebbe avere risvolti fino a oggi insperati anche in altri campi, come, per esempio, quello dell’invisibilità. Sappiamo che si riesce a vedere un oggetto solo se da esso sta arrivando la luce.

Quindi se si riuscisse a circondare l’oggetto di un materiale simile a un opale inverso, si potrebbe riuscire a deviare la luce in modo tale da passare attorno al corpo e, di fatto, renderlo invisibile.

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5. La cura del cancro

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Altri interessanti campi di applicazione delle nanotecnologie sono il fotovoltaico e il biomedicale.

Nei laboratori dell’Università di Trieste, i ricercatori stanno portando avanti alcune ricerche che puntano a ottenere materiale molto più efficiente nell’assorbimento della luce, così da poter dar vita a futuri pannelli fotovoltaici migliori di quelli attualmente in uso.

In campo biomedico, invece, i nanotecnologi stanno studiando le nanoparticelle in grado di individuare e curare i tumori con una precisione finora impensabile, evitando così di coinvolgere anche la parte sana del corpo, come avviene nella chemioterapia.

L’idea di partenza è quella di agganciarsi alle cellule tumorali. Se si conoscono gli antigeni del tumore, infatti, è possibile costruire delle nanoparticelle dotate di proteine perfettamente compatibili con tali antigeni.

In questo modo, una volta iniettate le nanoparticelle attraverso una semplice endovena, queste andrebbero a riconoscere e ad agganciarsi solo e unicamente alle cellule tumorali loro complementari, ignorando tutte le altre sane.

A questo punto si può decidere sulla diagnostica e creare quindi delle nanoparticelle rivelatrici in grado di localizzare il tumore con estrema precisione, ma non solo: grazie a questo meccanismo, infatti, è possibile anche cercare e individuare eventuali metastasi già diffuse nel corpo, ma troppo piccole per poter essere scoperte con le attuali tecnologie di imaging.

Inoltre, alle nanoparticelle create si potrebbero associare specifici medicinali che, sfruttando lo stesso meccanismo, siano in grado di attaccare e distruggere unicamente le cellule tumorali. O ancora si potrebbero creare delle nanoparticelle sensibili a un campo magnetico, dotandole di piccole calamite.

Il passaggio successivo prevederebbe quindi l’accensione di un campo magnetico oscillante dall’esterno che, per le leggi della fisica, scalderebbe le nanoparticelle agganciate al tumore e, raggiunte determinate temperature, distruggerebbe le cellule tumorali e solo quelle.

Una speranza nella diagnosi e nella cura che al momento rimane confinata nei laboratori, ma che presto potrebbe essere una realtà grazie alle nanotecnologie.

Nella foto sotto, rappresentazione di nanoparticelle che si agganciano a cellule tumorali.

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