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Olimpiadi: 5 tra i più grandi campioni olimpici di tutti i tempi

Lo sport offre da sempre una straordinaria galleria di personaggi e di storie.

I campioni sono “eroi”, che presto diventano “mitici”, sia nei titoli dei giornali sia nell’immaginazione dei tifosi.

Le Olimpiadi sono la più grande, conosciuta e seguita manifestazione sportiva.

Offrono il palcoscenico ideale alle imprese di chi vuole lasciare un segno nella storia dello sport: con le vittorie, con i record. Il gradino più alto del podio olimpico è il coronamento di una carriera, l’emozione indimenticabile di una vita, la svolta di un destino.

Sono tantissime le vite dei grandi olimpionici che meritano di essere raccontate. In queste vite brillano il talento e l’invenzione geniale, ma anche l’impegno costante degli allenamenti.

Sceglierne 5 tra migliaia di vite appassionanti, memorabili e mitiche, non è un compito facile.

Consiglio: a chi è interessato all’argomento, raccomandiamo la lettura del libro “Olimpiadi – I 100 più grandi campioni“!

 

1. Carl Lewis

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Birmingham, Alabama, 1961
Saltatore in lungo e velocista statunitense

Nove ori olimpici, 7 individuali (Los Angeles 1984: 100, 200, salto in lungo; Seoul 1988: 100 e lungo; Barcellona 1992: lungo; Atlanta 1996: lungo), 2 con la staffetta 4×100 (1984, ’92), 8 titoli mondiali, 5 individuali (Helsinki 1983: 100 e lungo; Roma 1987: 100 e lungo; Tokyo 1991: 100), 3 con la 4×100 (1983, ’87, ’91): è l’eccezionale medagliere dell’atleta statunitense, tra le figure che hanno maggiormente segnato lo sport mondiale del secolo XX.

Inizia a praticare atletica a 7 anni con un club fondato e condotto a Willingboro (New Jersey) da suoi parenti, e a 18 anni, ancora studente, è già tra i migliori del mondo.

Nel 1980, al suo primo anno di college, a Houston, vince i Campionati nazionali universitari, giungendo secondo nelle selezioni olimpiche per Mosca.

Dal 1981 inizia il suo dominio in campo mondiale, con le affermazioni nella Coppa del mondo di Roma (8,15), nel più prestigioso meeting internazionale (Zurigo, misura di 8,52 con forte vento contrario) e nei Campionati nazionali, con la miglior misura mai raggiunta a livello del mare (8,62).

Nel 1982 il suo vantaggio sui rivali diventa abissale, e ai Campionati nazionali ottiene 8,76 m dopo aver effettuato tre salti nulli, dei quali due di 9 m e uno di «oltre 30 piedi (= m 9,14)», nullo per soli 6 mm. È il primo volo di un uomo oltre i 9 m, ma non può essere omologato.

I successi si susseguono: Lewis vince i Mondiali del 1983 (8,55), i Giochi olimpici di Los Angeles del 1984 (8,54), i Mondiali del 1987 (8,67), i Giochi olimpici del 1988 (8,72).

Il suo rendimento è costante oltre gli 8 m e mezzo, fuori della portata degli avversari più agguerriti (Larry Myricks soprattutto nella prima parte della carriera, e dal 1988 in poi Mike Powell).

Nel quadriennio 1989-92, pur riducendo il numero delle competizioni, Carl è sempre dominatore della specialità, affermandosi nel 1992 ai Giochi di Barcellona (8,67), ma subendo la sconfitta meno attesa proprio nel giorno in cui realizza la sua miglior prestazione.

Accade il 30 agosto 1991 ai Campionati mondiali di Tokyo. Powell azzecca un solo salto, ma è il salto del nuovo record mondiale (8,95), mentre Lewis mette inutilmente a segno la più grande serie di salti mai realizzata: 8,68, nullo, 8,83, 8,91, 8,87, 8,84.

Dopo 12 anni di dominio quasi ininterrotto (65 vittorie consecutive tra il 28 febbraio 1981 e il 30 agosto 1991, a causa di sempre più persistenti dolori alla schiena Carl tira i remi in barca.

Con 71 gare a 8,53 e oltre e i già ricordati successi, Lewis è il miglior lunghista di tutti i tempi.

A fare poi di lui uno dei massimi esponenti dello sport mondiale di tutti i tempi sono i risultati nelle gare di velocità (vince i 100 ai Mondiali dell’83 (10′′07) ed entrambe le distanze ai Giochi olimpici dell’84 (9′′99 e 19′′80), affermazioni che sommandosi a quelle nella staffetta 4×100 m e nel lungo lo portano a eguagliare l’exploit olimpico di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino del 1936 ecc.)

2. Usain Bolt

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Choxeath, Trelawny, 1986
Velocista giamaicano

Unico nella storia dell’atletica a detenere contemporaneamente i primati mondiali sui 100 e sui 200 m è, con il nuotatore Michael Phelps, l’atleta simbolo dell’Olimpiade di Pechino 2008.

Figlio di coltivatori, da ragazzo si distingue anche nel calcio e nel cricket, ma sceglie l’atletica guidato da Pablo Mc Neil, velocista con due partecipazioni olimpiche negli anni Sessanta.

Alto 1,96 m, fino al 2007 si cimenta quasi solo nei 200 m. Nel 2002 vince il titolo mondiale juniores sulla distanza a soli 15 anni e 332 giorni di età, diventando il più giovane campione del mondo di categoria.

Nel 2003 vince ai Panamericani juniores e al Festival mondiale della gioventù (poi Campionato mondiale allievi). Nel 2002 e ’03 stabilisce le migliori prestazioni mondiali per ragazzi di 15 e 16 anni di età, e nel 2004 il primato mondiale juniores con 19′′93.

La successiva, graduale maturazione, anche sotto il profilo muscolare, grazie alle cure del nuovo coach Glenn Mills, trova conferma ai Mondiali di Osaka del 2007, in cui Bolt si assicura la medaglia d’argento sui 200 (19′′91) e con la staffetta 4×100 m.

Nel 2008 si rivela come centometrista, esordendo nella stagione, in marzo, con un 10′′3 che uguaglia il suo personale, e scendendo per la prima volta sotto i 10′′ il 3 maggio a Kingston, con 9′′76 (vento +1,8 m/s).

Quattro settimane più tardi, il 31 maggio, a New York, il giamaicano cancella con 9′′72 (vento +1,7 m/s) il primato mondiale appartenente al connazionale Asafa Powell.

Nell’agosto successivo, la pista olimpica di Pechino registra il trionfo del velocista al termine di prestazioni siderali: 100 m in 9′′69  e 200 m in 19′′30 (un baratro sul secondo classificato, Shawn Crawford, 19′′96 e una velocità massima di 43,9 km/h), entrambi primati mondiali.

L’avventura olimpica del velocista si conclude con una terza medaglia d’oro, vinta con il quartetto giamaicano – Bolt terzo frazionista – primo al traguardo della 4×100 in 37′′10, primato mondiale, 3 decimi meno del 37′′40 realizzato da quartetti statunitensi in due occasioni, nel 1992 e ’93.

Ai Mondiali di Berlino del 2009 replica il copione di Pechino, vincendo la finale dei 100 m in 9′′58, nuovo primato del mondo, quella dei 200 m con il tempo di 19′′19, e la staffetta 4×100 con il tempo di 37′′32, non migliorando il primato del mondo, ma stabilendo comunque il record dei campionati.

La stagione 2010 non si rivela all’altezza delle precedenti, ma l’atleta si riscatta nel 2011 ai Mondiali di Daegu, in Corea del Sud. Squalificato per una falsa partenza nella gara dei 100 m, si conferma campione mondiale dei 200 m con il tempo di 19′′40 e conquista l’oro anche nella staffetta 4×100 m  stabilendo con il tempo di 37′′04 il nuovo record mondiale.

Il 12 novembre gli viene assegnato dalla IAAF il premio come miglior atleta dell’anno.

3. Gregory Efthimios “Greg” Louganis

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San Diego, California, 1960
Tuffatore statunitense

Cinque titoli mondiali e 4 olimpici, e un’eleganza inarrivabile, lo consacrano come il più grande di tutti i tempi.

Figlio di una coppia di quindicenni – lui samoano, lei di origini svedesi – viene adottato a nove mesi da un americano di origine greca e da una texana.

Si dedica dapprima alla ginnastica e alla danza classica. A 3 anni vince il suo primo premio, in un concorso di esercizi acrobatici a coppie.

L’infanzia è difficile: emarginato a scuola per il colore della pelle, mostra i sintomi della dislessia ed è relegato tra i ragazzi ritardati. È violento persino con i genitori adottivi, fa già uso di droga e finisce in riformatorio.

La sua passione per i tuffi viene finalmente incanalata professionalmente dal tecnico Sammy Lee, due volte olimpionico tra Londra 1948 e Helsinki 1952.

Sedicenne, dà battaglia a Klaus Dibiasi ai Giochi olimpici di Montréal del 1976, conquistando l’argento dai 10 m. La gara appare subito come una sorta di passaggio di consegne.

Nel 1978, infatti, Louganis vince il titolo mondiale dalla piattaforma ed è pronto per la sua laurea olimpica; ma il boicottaggio occidentale del 1980 gli impedisce di gareggiare ai Giochi di Mosca.

L’atleta non si dà per vinto, e continua a collezionare successi: nel 1982 vince il titolo mondiale sia dal trampolino sia dalla piattaforma, e dai 3 m è il primo a superare i 700 punti con soli 11 tuffi.

È anche il primo, in questa circostanza, a vedersi assegnare tutti 10 in una competizione mondiale, grazie a un difficilissimo «triplo e mezzo rovesciato» che all’Universiade del 1983 costerà la vita al sovietico Sergej Šalibašvili.

Nel 1983 stabilisce il record mondiale di punteggio dal trampolino, con 755,49 punti. Nel 1986 fisserà anche il primato della piattaforma, arrivando a quota 717,41. Nel 1984, alle Olimpiadi di Los Angeles, vince l’oro in ambedue le specialità, doppietta che realizza anche ai Mondiali del 1986 e ai Giochi olimpici del 1988.

Prima di Seoul, Louganis viene trovato positivo al test per l’HIV: non lo rivela. Il suo comportamento suscita grandi polemiche dopo l’incidente che lo vede protagonista ai Giochi coreani, quando in un tuffo preliminare si ferisce battendo la testa sul trampolino, esponendo in tal modo gli altri concorrenti al rischio di un contagio.

Dopo i Giochi, i medici gli consigliano di ritirarsi dall’agonismo per non compromettere le cure. Negli anni successivi Louganis si fa paladino dei diritti degli omosessuali, prendendo anche parte ai Gay Games del 1994.

Recita a teatro, nel cinema, e si dedica all’addestramento cinofilo. La sua autobiografia risulta fra i libri più venduti a metà degli anni Novanta. Chiude con un totale di 45 titoli nazionali. Nel suo albo d’oro, anche 4 titoli ai Panamericani e uno alle Universiadi. Dal 1993 fa parte della Hall of Fame.

4. Nadia Elena Comăneci

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Oneşti, Bacău, 1961
Ginnasta rumena naturalizzata statunitense

Una delle più grandi interpreti della disciplina, è la prima ginnasta nella storia ad aver meritato il massimo voto (10) in un esercizio olimpico.

Avviata alla ginnastica già a tre anni, a sei viene iscritta alla sua prima società, a 11 vince il primo titolo nazionale juniores e a 12 è già nella nazionale maggiore.

Ai Campionati europei di Skien (1975) vince 4 medaglie d’oro (generale individuale, parallele asimmetriche, trave e volteggio) e un argento (corpo libero), superando la favoritissima Ljudmila Ivanovna Turiščeva; l’Associated Press la elegge «atleta dell’anno».

Nel 1976, nemmeno quindicenne, si impone come dominatrice assoluta e grande personaggio delle Olimpiadi di Montréal con 3 ori (generale individuale, parallele asimmetriche e trave), un argento a squadre e un bronzo nel corpo libero; nel corso della manifestazione le viene riconosciuto per 7 volte il voto massimo (2 volte nella competizione a squadre, 5 volte in quelle individuali).

Continua a primeggiare a livello europeo con due ori ai Campionati di Praga del 1977 (generale individuale e parallele asimmetriche, più l’argento al volteggio) e 3 a quelli di Copenaghen del 1979 (generale individuale, volteggio e corpo libero); ai Campionati mondiali di Strasburgo, nel 1978, vince un oro (trave) e due argenti (volteggio e concorso a squadre) ma finisce solo quarta nel concorso generale individuale.

Nella sua seconda, e ultima, apparizione olimpica, ai Giochi di Mosca del 1980, vince due ori (trave e corpo libero) e due argenti (generale individuale e concorso a squadre).

Tipico esempio di precocità forzata (con il naturale sviluppo del corpo, regredisce), a soli 20 anni si ritira, esternando rancori per i metodi, severi e persino violenti, dei suoi allenatori, Márta e Béla Károlyi.

Nel 1989 emigra negli Stati Uniti dove, caduto il regime di Nicolae Ceauşescu, denuncia le violenze subite a opera del figlio del dittatore, Nico, del quale era stata costretta a diventare l’amante.

Lo stile della Comăneci, votato a un acrobatismo esasperato, fulmineo ed elegante, quasi una sfida alle leggi della gravità, sancisce una svolta definitiva nell’evoluzione della disciplina, scalzando il modello stilistico classico, imperante in campo ginnico femminile fino agli anni della Turiščeva.



5. Sergej Nazarovič Bubka

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Luhansk 1963
Saltatore con l’asta e dirigente ucraino, già sovietico

Se mai una specialità è strettamente legata al nome di un atleta, questo è il caso di Bubka e del salto con l’asta.

Il binomio nasce a Helsinki, il 14 agosto 1983, nella finale della gara nella prima edizione dei Campionati mondiali.

Tutti attendono alla vittoria lo specialista sovietico Konstantin Volkov, accreditato delle migliori prestazioni del tempo.

Ma, a sorpresa, è un ventenne semisconosciuto l’unico capace di valicare l’asticella al primo tentativo alla misura di 5,70 m, gelando il connazionale e conquistando il titolo iridato.

È l’inizio di una traiettoria che non subirà cedimenti, legando indissolubilmente il nome dell’atleta alla specialità.

Sergej, che ha come passione esclusiva l’hockey su ghiaccio, viene scoperto appena quindicenne a Vorošilovgrad (successivamente denominata Luhansk) dal tecnico Vitalij Petrov, lo stesso che porterà più avanti alle affermazioni internazionali l’italiano Giuseppe Gibilisco e che ne intuisce immediatamente le potenzialità.

La crescita atletica di Bubka è continua e senza intoppi, arricchita negli anni da una incredibile serie di primati e di affermazioni. Bubka è il primo astista proiettato oltre i 6 m di altezza, primato che stabilisce a Parigi il 13 luglio 1985.

Velocità e forza fisica, tecnica perfetta, uso di un’asta più lunga e rigida di quella abitualmente impiegata da altri specialisti, che assicura una più forte spinta catapultante, sono la chiave dei successi del sovietico.

Fra il 1984 e il 1994 firma 17 primati mondiali all’aperto, dall’iniziale 5,85 al finale 6,14, realizzato al Sestriere il 31 luglio 1994, e 18 primati indoor, dal 5,81 del 1984 al 6,15 realizzato il 21 febbraio 1993 a Doneck (a partire dal 6,05, il primato all’aperto verrà migliorato centimetro su centimetro).

La straordinaria carriera viene completata da un titolo europeo (1986), dalla vittoria olimpica conseguita a Seoul nel 1988 (5,90 m), da 6 titoli mondiali consecutivi (dalla prima alla sesta edizione dei Campionati del mondo, da Helsinki 1983 ad Atene 1997), da 43 prestazioni oltre i 6 m.

Abbandonato definitivamente l’agonismo nel 2000 (5,60 m), Bubka avvia una fiorente attività imprenditoriale e si distingue in ambito dirigenziale, entrando nel Council della Federazione internazionale e divenendone vicepresidente nel 2007.

Nominato membro del CIO nel 1999, fa parte dell’esecutivo dell’organismo olimpico dal 2000 e ne presiede la commissione atleti dal 2002 al 2008. Nel 2002 è anche eletto membro del parlamento ucraino e nel 2005 alla presidenza del comitato olimpico nazionale. 






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