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Ordine e disordine: anche la confusione ha i suoi pregi

L’ordine è utile e rende il lavoro più semplice ed efficiente, lo dicono vari studi. L’importante è che non sia eccessivo.

Meglio che non diventi un sistema (e che non si esageri), ma a volte un po’ di caos può aiutare la produttività. Il disordine sovraccarica la mente, e la distrae da ciò di cui deve occuparsi.

Organizzare scrivanie improvvisate per lavorare o studiare gomito a gomito coi familiari: negli ultimi mesi la pandemia ci ha costretto spesso in spazi più ristretti del solito, a fare i conti con la propensione per l’ordine, nostra e altrui.

C’è chi lavora sereno solo su un tavolo sgombro e in stanze minimali, chi invece vive circondato da un guazzabuglio di carte, libri e suppellettili.

Ma l’ambiente esterno può influenzare le prestazioni del cervello? Il disordine in casa o in ufficio può essere “creativo” o al contrario ci confonde le idee? Scopriamolo insieme.

 

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1. INCAPACI DI PROGRAMMARE

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La ricerca scientifica per lo più dà ragione a Marie Kondo, la guru giapponese dell’arte del riordino che in quattro e quattr’otto rassetta armadi, dispense e case intere con precisione chirurgica.

Tanto che Elizabeth Sander, psicologa della Bond University in Australia, ha per esempio dimostrato che l’ordine, la bellezza e l’assenza di caos dell’ambiente in cui lavoriamo è correlato a risposte cognitive ed emotive migliori.

«La disorganizzazione non piace al cervello perché drena le sue risorse e riduce la capacità di concentrazione: pile di fogli, tazze sporche, oggetti buttati alla rinfusa sulla scrivania distraggono la mente, creano una specie di sovraccarico di informazioni visive che compromette anche la memoria di lavoro».

La produttività e la chiarezza di pensiero ne risentono, come ha confermato uno studio del Princeton Neuroscience Institute: indagando l’attività cerebrale di alcuni volontari in ambienti domestici e lavorativi più o meno confusionari, Stephanie McMains ha verificato che fare ordine regala una miglior capacità di attenzione e di elaborazione delle informazioni, con un beneficio netto sulla resa cognitiva.

Come se non bastasse, un ambiente disorganizzato e caotico porta anche a rimandare di più le incombenze: chi ha una scrivania sommersa di carte e faldoni buttati là senza un criterio preciso tende a procrastinare più di chi lavora fra fascicoli impilati per priorità.

«La disorganizzazione e la tendenza a temporeggiare hanno un fondo comune: mettere a posto le proprie cose scegliendo che cosa buttare o meno richiede tempo ed è un compito che molti non amano», spiega Joseph Ferrari, docente di psicologia alla DePaul University di Chicago (Usa) che ha dimostrato come chi è più disordinato tenda a rinviare gli impegni in ufficio, finendo però per essere anche più insoddisfatto delle proprie performance lavorative.

Marie Kondo (nella foto sotto) ha fatto della sua abilità nel riordino degli spazi una professione, quasi una filosofia. I suoi metodi sono diventati libri di successo.

 

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2. IL “MACELLO” METTE PIÙ A DISAGIO LEI

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L’effetto negativo sul cervello della disorganizzazione degli ambienti sembra dipendere dallo stress indotto dal caos: volenti o nolenti, una stanza confusa e disordinata ci mette inconsciamente in allarme.

Aumenta infatti il livello dell’ormone dello stress, il cortisolo, con un effetto ancora più evidente nel sesso femminile che forse dipende dal retaggio culturale.

«Le donne si sentono spesso responsabili dell’ordine e quando non riescono provano maggior disagio», specifica Darby Saxbe, psicologa dell’Università della California del Sud (Usa) che ha studiato gli effetti del disordine sul grado di stress.

Tutto questo ha conseguenze non solo sull’attività cognitiva, che peggiora, ma anche sul benessere in generale: alcune ricerche dimostrano che dormire in stanze disordinate per esempio facilita la comparsa di disturbi del sonno, rendendo più difficile addormentarsi o favorendo brutti sogni, e vivere in una casa caotica fa ingrassare perché si tende a mangiucchiare di più.

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Un ambiente confusionario può poi mettere alla prova le relazioni personali, perché, stando a dati raccolti da ricercatori del Dipartimento di Psicologia della Cornell University statunitense, il disordine impedisce di interpretare correttamente le espressioni e le emozioni dell’altro, finendo per provocare pure più litigi e discussioni.

Gli altri per giunta ci giudicano proprio in base all’organizzazione dei nostri spazi: uno studio statunitense dell’Università del Michigan ha dimostrato che entrare in un ufficio ordinato (libri sugli scaffali, carte ben impilate, cartacce nel cestino) porta a giudicarne il proprietario più coscienzioso e affidabile rispetto a chi lavora in uno spazio disorganizzato (con libri per terra, fogli sparsi e così via).

L’apparenza conta insomma: l’impressione, spiegano gli autori della ricerca, è che si tratti di una persona negligente e pure più irritabile e difficile da gestire. Vale perfino per l’abbigliamento: chi è poco curato viene considerato meno preparato, competente e perfino intelligente di chi si presenta in ordine, stando a dati raccolti da Eldar Shafir dell’Università di Princeton.

Nella foto sotto, a sinistra uno chef in una cucina, in Germania; a destra un artigiano nella sua bottega, in India. L’ordine può dipendere anche dal mestiere e dall’ambiente culturale.

 

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3. POTENTE ANTISTRESS

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Quindi il cosiddetto “decluttering ”, ovvero rimettere in ordine i propri spazi di vita, ha effetti positivi sul benessere e la produttività?

Pare proprio di sì: studi del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali dell’Università di Washington (Usa) hanno mostrato che riordinare aiuta a concentrarsi perché toglie il rumore di fondo che compromette la capacità di attenzione del cervello.

Come sottolinea l’autrice, Brenna Renn, «Pensiamo di essere multitasking, ma in realtà passiamo soltanto da un compito all’altro: così, se lo sfondo all’home office è un lavello colmo di piatti o una lavatrice di panni da piegare, la nostra mente sa di doversene occupare prima o poi e fatica di più a focalizzarsi sugli altri compiti.
Riordinare è la soluzione, ancora di più per chi soffre d’ansia ed è quindi costantemente in stato di iper-vigilanza: per queste persone gli oggetti fuori posto pos- sono essere una fonte di disagio ancora maggiore».

Secondo la psicologa, perfino i disordinati più impenitenti possono riuscire nel decluttering: spesso il disordine deriva dall’eccesso di cose e dall’iper-attaccamento che proviamo per ciò che possediamo, che ci impedisce di separarci dagli oggetti e così rassettare stanze e scrivanie.

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La soluzione? Innanzitutto acquistare di meno, poi iniziare a mettere ordine un mobile o una stanza alla volta. Anche l’ordine, però, è negli occhi di chi guarda: per qualcuno il mucchietto di posta sul mobile all’ingresso non è disordine, per altri le chiavi di casa fuori posto possono già suscitare fastidio.

E ci sono poi momenti della vita in cui il caos sembra quasi la norma: chi ha un adolescente in casa sa che spesso è bene non aprire la porta della sua camera. Già nell’antica Grecia ordine e virtù erano inscindibili.

Lo conferma la celebre “teoria della finestra rotta”, proposta per la prima volta nel 1982 dai due sociologi James Wilson e George Kelling: se l’ambiente è brutto e degradato siamo più portati a violare regole e leggi. Innumerevoli esperimenti lo hanno provato: se in un caseggiato c’è una finestra rotta che nessuno ripara, pian piano nella zona si cominciano irrimediabilmente ad accumulare rifiuti, poi compaiono le scritte sui muri.

In capo a qualche tempo non è difficile che si verifichi nei dintorni qualche atto vandalico o un episodio di microcriminalità. Perché i “luoghi del disordine” possono essere la miccia che fa scoppiare l’atto antisociale: quanto più un posto è trascurato, brutto e fatiscente, tanto peggio è vissuto da chi ci abita.

Quartieri anonimi, male illuminati, senza una piazza per incontrarsi non incentivano buoni rapporti fra le persone ma anzi influenzano negativamente carattere ecomportamenti, diseducano al rispetto, compromettono le relazioni sociali.

La soluzione? Provare a percepire come nostri i luoghi della comunità: in un condominio un po’ lasciato a se stesso basta assegnare ai singoli inquilini parti di cui prendersi cura, come il cortile o un pezzetto di verde, per innescare un miglioramento dell’ambiente che farà bene alla mente (e alla sicurezza personale) di chi ci abita.

Secondo una celebre teoria basta una finestra rotta per avviare il degrado di un intero quartiere (foto sotto).

 

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4. ANCHE LA CONFUSIONE HA I SUOI PREGI

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In effetti i giovanissimi sembrano convivere senza difficoltà con libri accatastati, panni sporchi e residui di cibo.

La confusione che circonda gli adolescenti è un problema solo per i genitori: è spesso uno dei mezzi scelti per prendere le distanze dalla famiglia e si presenta in un momento cognitivo particolare, in cui c’è disordine anche fra le connessioni nervose, che durante l’adolescenza vengono continuamente modificate e rimaneggiate.

Dovrebbe far riflettere di più l’assenza di oggetti e l’ordine estremo, che spesso è una corazza nei confronti dell’emotività.

In generale è proprio dagli eccessi che bisogna guardarsi, come aggiunge Massimo Di Giannantonio, presidente della Società Italiana di Psichiatria: «I segnali di disagio sono sempre quelli estremi: il disordine che diventa confusione e accumulo di oggetti, l’ordine che diventa ossessione maniacale per la pulizia e il “vuoto” attorno. In questi casi è opportuno chiedersi se ci sia un disturbo emotivo, altrimenti il disordine, adolescenziale o meno, non deve preoccupare troppo.
Intanto perché comunque esistono profili di personalità campo-indipendenti, ovvero chi è poco influenzato dalle componenti ambientali per la performance mentale: queste persone hanno buone prestazioni di attenzione, memoria di lavoro ed elaborazione cognitiva pure in ambienti dove c’è confusione, visiva o sonora (anche il rumore è considerato disordine dal cervello). Inoltre l’ordine estremo di chi vuole fogli e penne allineate sulla scrivania può essere indice di rigidità, mentre la flessibilità nell’organizzazione degli spazi, che a un osservatore esterno può sembrare disordine, a volte sottintende creatività. Se naturalmente non si scivola in un caos in cui ci si perde».

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C’è insomma spazio per un piccolo elogio del disordine: uno studio di Kathleen Vohs dell’Università del Minnesota (Usa) ha sottolineato che qualche volta lavorare in uno spazio disordinato può avere i suoi vantaggi, perché favorisce la generosità e il pensiero non convenzionale oltre a stimolare nuove idee.

Invece chi ha scrivanie impeccabili tende a fare quel che ci si aspetta da lui ma non di più. Del resto se lo chiedeva anche Albert Einstein, che lavorava sempre immerso in una babele di fogli e libri: «Se una scrivania ingombra di cose è segno di una mente ingombra di pensieri, di cosa è segno una scrivania completamente vuota?».

Genio uguale caos? La scrivania in ordine per dare il massimo sul lavoro? Una usanza degli ultimi decenni. Prima, al genio era sempre associato uno spazio caotico e anzi, tavoli lindi erano segno di pigrizia mentale perché i cervelli brillanti non avevano certo il tempo per rimettere a posto libri e carte.

Mark Twain, per dire, si faceva fotografare alla scrivania solo quando era ingombra di fogli; quella di Thomas Edison era famosa per il caos di foglietti che sbucavano da ripiani e scomparti.

Qualcuno, pure nel secolo scorso, ha continuato a mantenere alto il vessillo dei disordinati dalle indubbie capacità mentali: lo studio di Albert Einstein a prima vista appare quasi impenetrabile, tanti sono i fascicoli e le scartoffie in ogni angolo, e pure Steve Jobs (foto in alto a sinistra), spesso minimale nell’abbigliamento, aveva un home office che certo non si poteva definire ben organizzato.

Qui sotto, la scrivania di Einstein com’era il 18 aprile 1955, giorno della sua morte.

 

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5. CONSIGLI PER LA CASA, L’UFFICIO E L’HOME OFFICE

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1. Quando si decide di riordinare, mai puntare al riordino di tutta la casa in una volta sola: occorre iniziare da uno spazio o un mobile piccolo, procedendo per tappe.
Per ogni oggetto, chiedersi sempre se è davvero utile e dove serve, per trovare la sistemazione ideale a tutto.

2. Tutti gli oggetti dello stesso tipo dovrebbero essere messi nello stesso posto: il cassetto della scrivania dedicato a fogli, quaderni e blocchi per appunti va separato da quello in cui si tengono buste, inserti e cartelline, la libreria va suddivisa a settori diversi per argomento o genere, e così via.

3. Creare un “cassetto misto”. Serve per tutti gli oggetti non assimilabili ad altri: è bene però non averne troppi (se ci sono tanti oggetti di uno stesso tipo, vanno classificati in un cassetto apposito) e può essere un’utile “ginnastica mentale” riorganizzarli di tanto in tanto spostando le cose.

4. L’organizzazione per similitudine vale anche per i documenti nel computer, da mettere in cartelle che contengano solo i file di uno stesso argomento. Lo stesso vale per i faldoni di carte, che poi è bene sistemare secondo un ordine temporale (di solito si lavora con i più recenti, per arrivare a quelli vecchi basta ricordare quando ce ne siamo occupati).

5. Per risistemare facilmente dopo l’uso libri o cd già ben disposti in ordine (quello alfabetico è il migliore per ritrovare tutto), ogni volta che se ne prende uno estrarre leggermente quello di fianco, così che sia semplice ritrovare dove riporlo una volta usato.

6. Il contenitore portatutto vicino all’ingresso di casa o sulla scrivania dove mettere le chiavi, il telefono o gli occhiali è una buona soluzione per non perdere gli oggetti che più spesso si lasciano in giro e non sprecare tempo per cercarli.

 








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