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Parlare in pubblico: alcuni segreti per riuscirci bene

Capita a tutti di dover parlare in pubblico.

Può avvenire al lavoro o a scuola, in un’aula universitaria o di tribunale, in una riunione di condominio, a un matrimonio, in una videoconferenza.

Alcuni si terrorizzano, altri s’imbarazzano e c’è chi se la cava; pochi, però, sanno conquistare chi li ascolta. Come si fa? Ci sono delle regole da rispettare?

Parlare in pubblico non è un dono di natura. Grandi oratori non si nasce: si diventa. Basta imparare l’arte del public speaking.

Con questa espressione s’intende oggi l’arte di parlare in pubblico, centrando l’obiettivo prefissato.

Anzi, gli obiettivi, dal momento che si può parlare per convincere gli altri, per informarle, motivarli o spingerli all’azione, per commuovere o divertire, per vendere, trovare finanziatori o sostenitori.

Nei tempi antichi, quest’arte era detta “eloquenza” od “oratoria”. Rispetto ad allora, alcune cose sono cambiate, ma una è rimasta identica ed è questa: ancora oggi, noi uomini amiamo e odiamo, cambiando il mondo e vendiamo sogni, usando il nostro strumento più potente: la parola.

Ma scopriamo qualche piccolo (ma importante) segreto per riuscire a parlare in pubblico facendo una bellissima figura.

1. Superare la paura

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Parlare in pubblico non è facile e molti si angosciano alla sola prospettiva di doverlo fare.

C’è poco da stupirsi: in un recente sondaggio è emerso che il 75 per cento delle persone ha paura, s’innervosisce o si sente a disagio se messo di fronte a una piccola platea con un microfono in mano.

Bisogna scappare? Evitare i meeting, le conferenze e le riunioni? A volte non è possibile farlo e se anche lo fosse, non sarebbe una grande idea.

Quante occasioni di farci notare perderemmo se cedessimo alla paura di parlare in pubblico? Per tutti i timidi, allora, c’è una buona notizia. Per vincere la paura e diventare un brillante speaker basta imparare i rudimenti del public speaking.

Immaginiamo di dover presentare un progetto a una riunione di lavoro. Improvvisare? Mai e poi mai! L’unica improvvisazione che funziona è quella che è stata accuratamente preparata!, sostengono gli esperti.

Gli speaker brillanti, quelli che parlano a braccio e sembrano improvvisare ogni cosa, incluse le battute più fulminanti, in realtà hanno preparato, provato e riprovato ogni parola, ogni battuta, ogni gesto, ogni sospiro.

Scherzava, ma non troppo, il grande Mark Twain: «Solitamente mi ci vogliono tre settimane per preparare un valido discorso improvvisato»; e aveva ragione lo scrittore irlandese Jonathan Swift quando scriveva: «Nell’oratoria, la più grande arte è nascondere l’arte».

Lo speaker è come una star di Hollywood: non lascia nulla al caso e non improvvisa, ma recita e nasconde la propria meticolosa preparazione dietro un’aria di totale spontaneità.

2. Si comincia scrivendo

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La prima cosa da preparare è il testo del proprio discorso.

Lo si scrive dopo aver chiarito due punti fondamentali. Dobbiamo capire bene a chi parleremo e perché lo faremo.

Il pubblico sarà di colleghi, amici, esperti di settore, gente che ne sa più di noi o molto meno? A seconda della risposta, cambierà il nostro linguaggio: sarà più tecnico e specialistico o più divulgativo e ricco di immagini, avrà un tono più o meno divertente, confidenziale, personale.

Dobbiamo aver anche chiari i nostri obiettivi: quali sono? Far bella figura con i grandi capi, essere assunti o promossi, trovare dei finanziatori per un progetto commerciale, persuadere l’uditorio a far beneficenza, vendere dei servizi, motivare i dipendenti?

A seconda degli obiettivi, decideremo se parlare alla “testa” delle persone, usando più argomentazioni razionali, o alla loro “pancia”, adoperando un linguaggio più emotivo. Ogni presentazione e ogni discorso hanno inoltre una struttura precisa.

Supponiamo di dover parlare per 30 minuti. Ebbene, 2-4 minuti ci serviranno per l’apertura, 3-5 minuti per la fase detta di “posizionamento” della questione, 18-22 minuti per le argomentazioni centrali, 2-5 minuti per la chiusura.

Queste proporzioni non sono obbligatorie, ma non rispettarle può rivelarsi rischioso, soprattutto se si è inesperti. L’apertura, che non deve oltrepassare il 10 per cento del tempo totale, è molto importante.

Chi inizia male, raramente riesce a raddrizzare la situazione in corsa. Chi ben comincia, invece, guadagna in sicurezza e parte in vantaggio psicologico. L’apertura deve catturare all’amo l’ascoltatore e non lasciarlo più andare.

Chi non ne è capace può raccontate una storia o un episodio della vita personale e professionale, evitando preamboli ed entrando nel bel mezzo dell’azione: è un trucco che funziona sempre.

Per ogni parte del discorso, infine, valgono due raccomandazioni generali:

  • la prima è che anche nei discorsi più seri, è bene spargere un po’ di senso dell’umorismo per allentare la tensione e creare più complicità con il pubblico;
  • la seconda è che il discorso deve restare un discorso, cioè un testo che sarà ascoltato e non letto. Va perciò scritto usando frasi brevi e calcolando le giuste pause.

3. Ripetizione e correzione

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Ora che avete scritto il discorso, inizia il bello: dovete leggerlo e rileggerlo ad alta voce.

Ripetete decine di volte le parole lunghe in cui vi impappinate e fatelo sillabandole come bambini (re-tro-gra-do, pre-te-rin-ten-zio-na-le, tra-scen-den-ta-le, me-fi-sto-fe-li-co) finché non diventeranno familiari al vostro cervello e alla vostra lingua.

Non ridete: la paura delle parole lunghe esiste davvero, l’hanno documentata Hyunjin Song e Norbert Schwarz, due psicologi della University of Michigan (Usa). Poi, passate a regolare la velocità con cui pronuncerete il discorso: è importantissima.

Nella maggior parte delle lingue dei Paesi occidentali, un discorso risulta chiaro e comprensibile se è pronunciato a una velocità di 130-140 parole al minuto; 100-110 parole sono poche (l’uditorio si annoia e distrae), 170-180 sono troppe (l’uditorio non riesce a seguire e s’innervosisce).

Quindi, se avrete a disposizione 10 minuti, non scrivete più di 1.300-1.400 parole (contatele con il programma di scrittura del vostro computer); per 30 minuti, moltiplicate per tre. Supponiamo che vi diano 20 minuti per un discorso: dovete scrivere un testo di 2.600-2.800 parole.

Dopo averlo fatto, regolate una sveglia e pronunciate il discorso come se foste davanti alla platea: se finite prima del drin o ci mettete più tempo, vuol dire che parlate troppo velocemente o troppo lentamente.

Come correggervi? Se siete lenti, leggete il discorso su un sottofondo musicale rock, pop, reggae ritmato e veloce, se siete veloci, mettete una canzone lenta, dolce, romantica. Funziona, è garantito.

4. Ciò che conta più delle parole

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I gesti, il tono della voce, le espressioni degli occhi, la scelta degli abiti, il modo di muoversi o guardare il pubblico contano più di quanto si pensi.

Negli anni 60, Albert Mehrabian, psicologo americano esperto di comunicazione verbale, dimostrò che il 55% dell’impatto di un discorso è veicolato dal corpo e dalla comunicazione non verbale, il 38 dalla voce (comunicazione paraverbale) e solo il 7 dal contenuto e dalla scelta delle parole.

Quindi, prima di un discorso occorre preparare bene gli abiti e le donne non dovrebbero trascurare il trucco: un esperimento condotto da Allan e Barbara Pease, due psicoterapeuti australiani esperti di comunicazione, ha dimostrato che le donne con un trucco leggero sono percepite come più curate e convincenti.

Infine, occhio ai gesti: quelli nevrotici, ripetuti e incontrollati (come giocare con una penna) fanno una pessima impressione. Evitate le posizioni di chiusura a braccia conserte o le mani in tasca: lasciate che esse accompagnino quello che dite con gesti naturali.

Non tenete la testa in basso per leggere (bisogna sempre guardare negli occhi chi ci ascolta) e sorridete (anche in un discorso serio, si può sorridere ogni tanto!).

Per non cadere in errore, fatevi riprendere con uno smartphone mentre provate il discorso. Poi guardatevi in video, criticatevi senza pietà, correggetevi e ricominciate: diventerete bravissimi.



5. Uomini e discorsi passati alla storia

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- Cicerone
Uno dei più grandi oratori della storia fu Cicerone. Fu definito da Quintiliano “manipolatore di cuori” per l’astuzia con cui sapeva di volta in volta adattare i propri discorsi al particolare uditorio che aveva di fronte e per la disinvoltura con cui utilizzava toni veementi e carichi di pathos.
In effetti, più che come politico, filosofo e scrittore, Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) passò alla storia come il massimo oratore della Roma antica.
Non senza merito: teneva la scena come un vero attore, non si perdeva mai in parole inutili o fumose ed era bravissimo nell’accattivarsi le simpatie dell’uditorio, conquistandone la “pancia”.
Aveva una memoria di ferro, allenata grazie alle diverse memotecniche (tecniche di memorizzazione) che aveva elaborato e che gli permettevano di ricordare lunghi discorsi a distanza di anni.

- Martin Luther King
È entrato nella storia il celebre discorso che comincia con le parole “I have a dream” (Io ho un sogno), pronunciato dal pastore protestante e leader dei diritti civili a Washington, il 28 agosto 1963.
La sua voce calda, potente, piena di risonanza contribuì a farne “il discorso che ha cambiato l’America” e uno dei 10 discorsi più influenti della storia, a giudizio della rivista Time.
Eccone alcuni passaggi: «Io ho un sogno: che un giorno sulle rosse colline della Georgia, i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi sappiano sedere insieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno: che i miei 4 figli piccoli vivano un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho un sogno».

- Nelson Mandela
Dopo ventisette anni di prigionia e quattro di libertà, Nelson Mandela (nella foto sopra) è eletto presidente del Sudafrica.
È il primo nero salito a questa carica in un Paese che per decenni ha segregato la popolazione di colore, privandola di fondamentali diritti: la sua elezione segna l’inizio di un nuovo corso storico.
Nel suo celebre discorso d’insediamento, fatto a Pretoria il 10 maggio 1994, Mandela non esprime rabbia, rancore o desiderio di vendetta, ma umanità ed esorta i cittadini alla coesistenza pacifica:
«È necessario lo sforzo di tutti per riuscire a ricucire gli strappi di un Paese lacerato da una storia tragica. È arrivato il momento di colmare l’abisso che ci divide. Siamo riusciti a muovere gli ultimi passi verso la libertà in una condizione di relativa pace. Ora ci dedicheremo a instaurare una pace completa, equa e duratura».






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