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Pearl Harbor: la peggiore sconfitta della storia americana

L'attacco di Pearl Harbor (nella terminologia della Marina Imperiale giapponese, Operazione Hawaii o Operazione Z) fu un'operazione aeronavale che ebbe luogo il 7 dicembre 1941, quando forze aereo-navali giapponesi attaccarono la base navale statunitense di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. L'attacco, portato senza una preventiva dichiarazione di guerra da parte giapponese, che fu formalizzata soltanto ad attacco iniziato, causò l'intervento statunitense nella seconda guerra mondiale.

Molti, moltissimi film e tanti libri, per raccontare la terribile faccenda di Pearl Harbor, la strage di marinai e soldati americani da parte del Giappone imperiale e la vera e propria semidistruzione della potentissima flotta USA del Pacifico. Tutto a tradimento e mentre ancora Stati Uniti e Giappone stavano trattando sull'occupazione della Cina da parte dei soldati del Sol Levante. Fu uno shock terribile per gli americani e il loro governo. Uno shock che portò l'America ad entrare in guerra contro le tre potenze dell'Asse: Germania, Italia e Giappone, appunto.

Comunque proprio dopo Pearl Harbor che l'America decise di entrare in guerra. E fu una svolta che i fascisti, i nazisti e l'impero del Sol Levante, avrebbero pagato cara. Alcuni storici hanno provato a paragonare l'attacco di Pearl Harbor con gli attentati  dell'11 settembre, ma mentre questi ultimi furono un attentato terroristico, l'attacco giapponese fu comunque una dichiarazione ufficiale di guerra, sebbene senza alcun  preavviso. 

Ma cerchiamo di capire, in maniera molto semplice e sintetica, quello che è accaduto quel giorno molto triste, che F. D. Roosevelt, nel discorso pronunciato alla Nazione dell’8 dicembre 1941, definì con queste parole:
“Ieri, 7 Dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell’impero giapponese…”.

1. Usa e Giappone, prima dello scoppio della guerra

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Il 7 dicembre del 1941 la marina giapponese sferrò un attacco aereo contro la flotta americana del Pacifico all'ancora nella rada di Pearl Harbor, nelle Hawaii. In meno di 2 ore una buona metà del nucleo di unità maggiori della U.S. Navy venne colata a picco. Il giorno dopo, gli Stati Uniti dichiaravano guerra al Giappone. Dopo il 1905, anno in cui aveva sconfitto i russi nella battaglia di Tsushima, il Giappone aveva metodicamente aumentato il suo potere nel Pacifico, ma la cronica carenza di materie prime obbligava il Paese insulare a massicce importazioni, in particolare petrolifere.

Alla costante ricerca di risorse naturali, nel 1937 i giapponesi avevano occupato la Manciuria e buona parte della Cina. Poi, sempre con la mira di assicurarsi nuove materie prime, nel 1940 avevano aderito all'Asse italo-tedesco. Quando i tedeschi invasero la Francia, infatti, il Giappone si impadronì agevolmente dei possedimenti di quest'ultima in Indocina.

Malgrado queste acquisizioni, il Giappone era ancora sotto il livello minimo di produzione petrolifera necessario ai suoi obbiettivi e iniziò, quindi, le operazioni per appropriarsi dei giacimenti delle Indie Orientali. In linea di massima, in tutto questo periodo, gli Stati Uniti, che erano tra i principali esportatori di petrolio in Giappone, avevano ignorato l'impeto dell'espansionismo nipponico, distratti com'erano dalla grande depressione economica e dalla generale ondata di isolazionismo seguita alla Prima Guerra Mondiale.

Finalmente, sul finire del 1940, dichiararono l'embargo delle forniture di prodotti petroliferi e rottami di ferro al Giappone e chiesero al Paese asiatico il ritiro dalla Cina e la cessazione di ogni ulteriore iniziativa militare offensiva.

2. La flotta americana e l'ammiraglio Yamamoto

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Mentre entrambe le parti si preparavano al conflitto, si tennero lunghi negoziati e gli americani trasferirono la flotta del Pacifico dalle basi della costa occidentale alle acque hawaiane. Parecchi ufficiali della marina criticarono questa mossa, parlando di Pearl Harbor come di una base dalle possibilità limitate e difficile da difendere. Gli alti gradi di Washington non erano, tuttavia, d'accordo con le critiche, dubitando che il Giappone avesse la volontà e i mezzi di portare un attacco tanto a oriente. 

La maggioranza degli addetti ai lavori riteneva che se anche i giapponesi avessero deciso di attaccare, l'avrebbero fatto contro le Marianne o le Filippine. In Giappone, governo civile e autorità militari erano in larga parte convinti che gli Stati Uniti fossero l'unico ostacolo alle loro mire di conquista su tutta l'Asia orientale. Iniziarono, quindi, a pensare che, se avessero annientato la flotta americana del Pacifico, l'isolazionismo statunitense avrebbe spinto gli americani a chiedere la pace e a lasciare che il Giappone perseguisse indisturbato i suoi obiettivi.

L'ammiraglio Isoroku Yamamoto (nella foto), comandante in capo della flotta giapponese, sapeva bene che, per avere successo, un attacco contro gli americani avrebbe dovuto essere fulmineo e letale. Negli anni Venti era stato addetto navale a Washington ed era ben consapevole delle enormi risorse a disposizione degli Stati Uniti. Yamamoto aveva forte timore che, se gli americani non fossero stati trascinati al tavolo dei negoziati entro  6 mesi, il Giappone avrebbe potuto perdere la guerra.

3. L'attacco

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Mentre i negoziati tra USA e Giappone andavano sempre peggio, il valente ammiraglio nipponico definì i dettagli di un attacco da condurre con l'aviazione imbarcata ai danni della flotta americana di Pearl Harbor. Il 26 novembre 1941, Yamamoto inviò verso le Hawaii, una potente flotta d'attacco al comando dell'ammiraglio Chuichi Nagumo.

Sei portaerei e un vasto stuolo di unità di scorta e d'appoggio, salparono lungo le poco trafficate rotte settentrionali. All'alba del 7 dicembre 1941, la flotta d'attacco giapponese raggiunse un punto di circa 275 miglia a nord di Pearl Harbor e Nagumo fece decollare la prima ondata di 183 aerei. Quando i comandante della prima squadriglia giunse nei cieli della base americana la trovò immersa nella più completa quiete. La sorpresa era totale. Inviò alla flotta il messaggio in codice "Tora, Tora, Tora (Tigre, Tigre, Tigre)" informandola che la sorpresa era riuscita e l'attacco stava iniziando.

Meno di un'ora dopo, decollava una seconda ondata di 170 aerei. Fuori dell'imbocco della base, 5 piccoli sommergibili tascabili biposto passarono anch'essi all'azione. Mentre i sommergibili fecero pochi danni, bombardieri e aerosiluranti imperversarono per 2 ore, sganciando bombe e siluri e mitragliando a volo radente bersagli totalmente impreparati.

Quando l'ultimo aereo attaccante tornò alla sua portaerei, le navi da battaglia statunitensi "West Virginia" e "California", erano colate a pico, l'"Oklahoma" si era capovolta e l'"Arizona" era saltata in aria. Quattro altre navi da battaglia avevano subito gravi danni e 11 unità di minori dimensioni erano affondate o gravemente  danneggiate; 247 aerei americani erano stati distrutti o, comunque, messi fuori uso, in massima parte senza che neanche avessero potuto decollare.

Più di 2.300 marinai erano caduti e ora giacevano sulle rive dell'isola, nelle acque del porto o per sempre tumulati nel relitto dell'"Arizona". Altri 1.150 avevano riportato ferite.. I Giapponesi avevano perso, in tutto, 25 aerei.

4. Pearl Harbor il giorno dopo

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La marina americana aveva subìto la peggiore sconfitta della sua storia. Eppure, oltre a trascinare in guerra gli Stati Uniti, la vittoria giapponese non fu completa, né decisiva. Le prima 2 ondate d'attacco avevano avuto tale successo che Nagumo aveva deciso di non rischiare un terzo colpo. Di conseguenza, i grandi depositi di carburante e buona parte dei bacini di raddobbo di Pearl Harbor erano scampati alla distruzione. Ciò che era ancor più importante, le portaerei americane erano in mare per esercitazioni e, quindi, avevano evitato di subire danni.

Entro 6 mesi queste unità, assieme a molte navi danneggiate a Pearl Harbor e poi riparate in fretta, avrebbero combattuto con successo la marina giapponese nelle battaglie del mar dei Coralli e di Midway. I giapponesi, inoltre, avevano fatto un grosso errore di valutazione. La batosta di Pearl Harbor non rinforzò l'isolazionismo americano, anzi, l'attacco rese coesa e smaniosa di vendetta  tutta la nazione. Il giorno dopo, annunciando che gli Stati Uniti avrebbero dichiarato guerra al Giappone, il presidente Franklin D. Roosevelt affermò che l'attacco sarebbe stato ricordato come "il giorno dell'infamia".

"Remember Pearl Harbor (Ricordate Pearl Harbor)" andò a unirsi ai classici slogan di guerra americani "Remember the Alamo" e "Remember the Maine" e contribuì ad unire come non mai gli americani e a prepararli a combattere il più grande conflitto armato di tutti i tempi. In generale, anche in assenza di Pearl Harbor, appare altamente improbabile che gli Stati Uniti avrebbero potuto restare indefinitamente fuori della Seconda guerra mondiale.

L'Europa correva il reale pericolo di cadere nelle mani di Hitler e gli isolazionisti erano già in minoranza. Un'altra considerazione da fare è che se anche le portaerei fossero state in rada e fossero state eliminate, le risorse e la determinazione americane erano pur sempre enormi. Forse la guerra sarebbe stata più lunga, ma il Giappone era condannato fin dall'inizio.





5. Ipotesi, speculazioni e polemiche

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L'attacco di Pearl Harbor scioccò a tal punto gli americani che era inevitabile provocasse speculazioni e polemiche. Una delle più note è la tesi per cui il presidente Roosevelt sarebbe stato preavvisato dell'attacco e avrebbe evitato di allertare le difese dell'arcipelago. E' circolata anche l'ipotesi che i servizi informazioni americani avessero intercettato comunicazioni relative all'attacco. In effetti, i giapponesi avevano fatto pervenire al loro rappresentante a Washington un messaggio in 13 parti nel quale dichiaravano la loro intenzione di iniziare la guerra contro gli Stati Uniti. L'intenzione era quella che il diplomatico consegnasse la comunicazione più o meno contemporaneamente all'inizio dell'attacco. In realtà, il tempo richiesto per decifrare e poi tradurre il messaggio fece sì che la comunicazione non potesse essere consegnata se non quando bombe e siluri giapponesi avevano già iniziato a trovare i loro bersagli.

Secondo un'altra tesi, il primo ministro inglese Winston Churchill, informò direttamente Roosevelt del fatto che i suoi servizi avevano avuto notizie dell'imminente attacco. Anche qui, non ci sono prove che effettivamente Churchill sapesse dell'attacco, né che abbia condiviso quelle informazioni con gli americani. Questo tipo di ipotesi è probabilmente il risultato di un fenomeno abbastanza semplice. Gli americani non potevano accettare che gli "inferiori" orientali fossero in grado di portare a termine un'operazione tanto difficile. Potrebbe anche esserci un altro motivo, ma più di 70 anni dopo le ipotesi restano tali e ancora non è stata trovata alcuna prova di una effettiva consapevolezza dell'imminente attacco da parte di Roosevelt o di altri.

L'unico fatto certo è che l'attacco a Pearl Harbor accelerò l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Esso fu la scintilla che fece esplodere la più grande fiammata bellica della storia. Prima del fatidico 7 dicembre 1941, l’88% della popolazione americana (sondaggio realizzato in America nel settembre 1940) era contraria a mandare i propri figli a morire per una guerra lontana e Roosevelt, venne eletto Presidente grazie alla promessa che non avrebbe mai trascinato la nazione in un conflitto "... e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera...".

Ma il procurato attacco giapponese e il conseguente bagno di sangue di Pearl Harbor, provocarono una ondata emotiva tale che l’opinione pubblica americana mutò repentinamente atteggiamento, optando a favore dell’intervento militare. In sostanza, senza un episodio come quello di Pearl Harbor, l’amministrazione americana non avrebbe mai potuto trascinare il paese in guerra e il Presidente Roosevelt avrebbe dovuto, “suo malgrado”, mantenere le promesse fatte alla nazione.








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