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Perché siamo superstiziosi?

Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio: la spassosa commedia interpretata da Lino Banfi e Johnny Dorelli per la regia di Sergio Martino (1983) è lo specchio di un’Italia scaramantica, che si conferma tale in un recente sondaggio di Eurobarometro, secondo il quale il 58 per cento dei nostri connazionali è attratto da “credenze irrazionali”, contro la media europea del 40 per cento.

Solo gli abitanti della Lettonia (60 per cento) e della Repubblica Ceca (59) sono più superstiziosi di noi.

Nessuno pensi di essere libero dalla superstizione: lo dicono gli psicologi, secondo i quali tutti, senza distinzione di età o di cultura, ci caschiamo nei momenti di incertezza o quando ci poniamo nuove sfide.

Superstizione e scaramanzia infatti avrebbero il potere di farci sentire meno vulnerabili e di diminuire la nostra ansia. Ma perché siamo superstiziosi? Scopriamolo insieme.

 

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1. Ci crede una persona su 6 e associazioni di idee

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  • Ci crede una persona su 6
    Il 17 per cento degli automobilisti intervistati per un sondaggio di facile.it, cioè 1 persona su 6, ha ammesso di cambiare direzione se un gatto nero taglia loro la strada oppure di accostare l’auto in attesa che passi qualcun altro.
    Questa superstizione sembra essere nata nel Medioevo, quando, di notte, le strade erano completamente buie perché non esisteva l’illuminazione notturna.
    Nell’oscurità, quindi, i gatti neri non si distinguevano e quando uno di loro attraversava la strada davanti a una carrozza, faceva imbizzarrire i cavalli rischiando di provocare gravi incidenti.
    Nell’immaginario collettivo, inoltre, il colore nero è da sempre associato al demonio, alla morte e alle streghe, che l’iconografia rappresenta spesso accompagnate da gatti neri.

 

  • Associazioni di idee
    Sembrerà strano, ma anche le superstizioni più assurde nascono, alla pari dei ragionamenti razionali, da associazioni di idee.
    Si tratta di un meccanismo che si rifà ai ragionamenti deduttivi derivati dall’esperienza o ereditati dai nostri antenati, che se ne servivano per far fronte alle situazioni.
    Prendiamo per esempio i fenomeni naturali: sappiamo che quando il cielo si annuvola arriva la pioggia e che al lampo segue il tuono.
    Soprattutto un tempo, la sopravvivenza (cercare riparo dalla pioggia e dal fulmine, mettere in salvo gli animali) era legata a queste associazioni, senza le quali l’umanità sarebbe stata costretta a reinventarsi di volta in volta spiegazioni per tutti i fenomeni.
    Ma non tutte le associazioni di idee sono logiche e fondate. È il caso dello studente che supera un esame difficile indossando una maglietta portafortuna o dell’atleta che vince una gara dopo aver inscenato un certo rituale.
    Entrambi, alla prossima occasione, tenderanno a rimettere in atto quell’associazione o quel rituale, convinti che ancora una volta favorirà il buon esito dell’impresa. Il tutto, in assenza di un nesso logico.

 

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2. Prestazione e incertezza ma nessuno è immune

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  • Prestazione e incertezza
    Normalmente questo meccanismo si genera all’interno di una prestazione o di un obiettivo da raggiungere.
    In genere si tratta di situazioni dall’esito incerto che la ragione non basta a controllare e di fronte alle quali l’individuo diviene più vulnerabile.
    Per questo mette in atto rituali, procedure o superstizioni.
    Secondo uno studio dell’Università di Chicago, amuleti, feticci, portafortuna e gesti scaramantici aiutano ad abbassare l’ansia e la tensione poiché creano l’illusione di avere il controllo sulle situazioni.
    Se una volta è stato messo in atto quel rituale e tutto è andato bene, si tenderà in seguito a ripeterlo.

 

  • Nessuno è immune
    Se ne sono occupate anche le psicologhe finlandesi Marjaana Lindeman e Kia Aarnio, che hanno fatto due gruppi di confronto, superstiziosi contro scettici, e proposto a entrambi una serie di frasi assurde del tipo “quando un uomo è fragile, il suo pensiero si decompone”, oppure: “i mobili vecchi hanno una memoria”.
    Ebbene: gli scettici consideravano fantasticherie irreali queste asserzioni, mentre i superstiziosi le prendevano per buone.
    Più precisamente, i superstiziosi avallavano una doppia deformazione della realtà, attribuendo alle cose inanimate poteri umani (i mobili dotati di memoria) e conferendo materialità ai fenomeni spirituali (il pensiero che si decompone).
    Ne deriverebbe che i superstiziosi hanno una mente poco razionale e analitica, oltre che un pensiero più astratto. Ma diversi psicologi non sono d’accordo.
    Sostengono, infatti, che la superstizione è un fenomeno trasversale, cioè che riguarda tutte le fasce e tutte le categorie, dall’operaio al manager.
    Neppure i soggetti più colti, intelligenti e analitici ne sono immuni.

 

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3. La “sede” della superstizione e il carattere

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  • La “sede” della superstizione
    Marjaana Lindeman ha indagato se nel cervello esista una sede della superstizione.
    Comparando volontari superstiziosi con scettici, ha notato che questi ultimi respingevano ogni credenza superstiziosa dando segni di intensa attività della corteccia cerebrale, sede dell’inibizione e dell’analisi, mentre nei superstiziosi la corteccia si attivava poco o per nulla.
    Ne deriverebbe che a innescare l’attività cerebrale non sia la superstizione, ma il rifiuto delle associazioni superstiziose.
    La corteccia prefrontale è la sede dell’intelligenza emotiva che in questo caso attiva la riflessione e l’analisi razionale per vagliare le idee superstiziose.
    Secondo Lindeman, se questo processo difetta, la superstizione ha via libera.

 

  • Il carattere non c’entra
    La superstizione non è legata al carattere di una persona o alla sua costruzione mentale, ma alle situazioni di incertezza che attraversa.
    Dunque, quando l’ambiente è inquietante o la situazione fuori controllo, rituali e gesti scaramantici ci illudono di possedere qualche certezza per controllare le cose.
    L’incertezza attiverebbe un meccanismo insito nell’essere umano, retaggio del pensiero irrazionale degli uomini primitivi.
    Possiamo considerarla una ricerca naturale da parte dell’uomo o, se vogliamo, una debolezza ma tutti abbiamo il germe della superstizione, altrimenti non si spiegherebbe perché persone intelligentissime, geni della fisica e atleti professionisti che guadagnano milioni di euro all’anno non ne siano affatto esenti.
    Tuttavia, una distinzione è d’obbligo: non sempre si deve parlare di superstizione.
    A volte si tratta solo di rituali che aiutano la persona a rafforzare la propria identità e a mettersi in condizione di entrare in campo caricata, di affrontare serenamente un esame scolastico o qualsiasi altra sfida.
    Si crede che riguardi la maggior parte di noi nei momenti della vita in cui vengono a mancare punti di riferimento.
    Attenzione dunque a puntare il dito contro i superstiziosi, poiché potenzialmente possiamo diventarlo tutti.

 

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4. La paura del 17 è nata nell’antica Roma

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Una forma di superstizione molto diffusa si chiama eptacaidecafobia ed è il terrore del numero 17.

Risale all’antica Roma, dove si usava riportare sulle tombe l’iscrizione “VIXI”, ho vissuto (dunque sono morto). Anagrammata in numeri romani, dà XVII, 17.

La superstizione si estese ai Paesi greco-latini poiché nell’antica Grecia la dottrina pitagorica respingeva il 17 come numero “spurio”, a metà fra il 16 e il 18, che corrispondevano invece alla perfezione.

L’antico Testamento, inoltre, cita come data d’inizio del diluvio universale il giorno 17 del secondo mese. Ancora oggi, infine, nella smorfia napoletana il 17 corrisponde alla voce “disgrazzia”.

Quanto alla superstizione del venerdì 17, invece, nasce dall’associazione con il dies funesto (giorno funesto) in cui morì in croce Gesù, di venerdì.

È ancora molto radicata: lo dimostra un’indagine del sito di viaggi Kayak.it da cui risulta un calo del 21 per cento delle prenotazioni dei voli di venerdì 17 rispetto alla media degli altri giorni.

In Asia, invece, porta male il numero 4, considerato di cattivo auspicio perché si pronuncia in modo simile alla parola “morte”.

Uno studio dell’Università di San Diego ha addirittura evidenziato che il giorno 4 di ogni mese, nelle comunità cinesi e giapponesi cresce del 7,3 per cento la percentuale di decessi per crisi cardiaca.

Quelle persone si identificano talmente in quella superstizione che essa incide sulla loro fisiologia. Nel caso del cuore la credenza può arrivare ad alterare i valori della pressione o a far salire l’ansia, fattori che predispongono a malori.

 

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5. La scaramanzia è... dura a morire e Costa Concordia

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  • La scaramanzia è... dura a morire
    Per far nascere una superstizione basta che l’associazione fra un gesto scaramantico e il buon esito di un’impresa si verifichi una sola volta, mentre tendiamo a dimenticare tutte le volte in cui ciò non avviene.
    Questo aspetto che ci fa ricordare solo le associazioni di idee vincenti si chiama “memoria selettiva”.
    La sociologa Romy Sauvayre, ricercatrice del Laboratoire de Psychologie Sociale et Cognitive di Clermont-Ferrand (Francia), si è occupata delle superstizioni persistenti e ha teorizzato che per disattivare l’associazione fra un feticcio e una buona prestazione (ad esempio, per un atleta, il numero di maglia o di pettorale “vincente”) è necessario che l’esito sia negativo per almeno sei volte.
    Lo stesso avviene quando raccontiamo una menzogna. Dopo la settima volta che mentiamo, il nostro cervello comincia a pensare che quella menzogna sia reale, come se fosse in grado di ‘‘trasformare’’ la realtà.
    Ciò è dovuto a un meccanismo della memoria che induce variazioni del ricordo reale.

 

  • Costa Concordia: al varo la bottiglia di champagne non si ruppe
    Al varo di una nave, considerato una sorta di “battesimo”, è tradizione rompere contro una fiancata del natante una bottiglia di champagne.
    La mancata rottura della bottiglia è considerata un cattivo presagio.
    In occasione del varo della nave Costa Concordia, il 2 settembre 2005 dai moli genovesi di Fincantieri a Sestri Ponente, la bottiglia non si ruppe.
    Il disastro della Costa Concordia è tristemente noto: la nave di Costa Crociere naufragò il 13 gennaio 2012, inabissandosi presso l’Isola del Giglio.

 

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