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Regina Elisabetta II, l’ultima vera regina

Dio l’ha salvata finora. Da guerre, incendi, rivoluzioni sociali, scandali familiari, naufragi privati.

Con la salute, le ha preservato il gradimento dei sudditi.

Elizabeth Alexandra Mary Windsor, ovvero Elisabetta II, regina d’Inghilterra, ha raggiunto quest’anno un invidiabile record: 66 anni di regno.

Il 6 febbraio del 1952 ricevette la notizia della morte del padre, ma fu incoronata al fianco del marito Filippo il 2 giugno 1953.

The Queen, Lilibeth per gli intimi, Brenda nei salotti dell’aristocrazia britannica, ha compiuto 91 anni (è nata il 21 aprile 1926) e, a dispetto delle ingiurie del tempo, appare sempre uguale a se stessa: un’icona che non vacilla.

Anacronistica borsetta al braccio, mise pastello, cappellino d’altri tempi. Anche in questa fedeltà alla propria immagine risiede il segreto della sua longevità, monarchica e biologica insieme.

Per due inglesi su tre, confermano recenti sondaggi, è un’istituzione intoccabile. Non importa che l’aura sacrale e misteriosa faccia velo a una donna quadrata e, tutto sommato, ordinaria: «Agli inglesi piacciono pompa e orpelli della regalità», sancisce l’ex corrispondente Rai da Londra Antonio Caprarica. 
«Sanno perfettamente che si tratta di uno spettacolo teatrale con lo scopo precipuo di conservare e rassicurare».

Il fatto sta che la regina Elisabetta II ha spento 91 candeline, attraversato una guerra mondiale e incassato una gragnuola di scandali che hanno messo a rischio la monarchia.

Eppure è ancora lì, a festeggiare la quarta erede al suo trono, la  bisnipote Charlotte! Ma chi è veramente Elisabetta II? Scopriamolo insieme.

 

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1. Non toccava a lei ma pronta alla bisogna

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  • Non toccava a lei
    Del resto, Lilibeth ha preso sul serio il suo ruolo prima ancora di esserne investita: fin da piccola si è sentita predestinata.
    Era la primogenita di Giorgio VI, Bertie in famiglia, il timido, malaticcio e balbuziente figlio cadetto di Giorgio V, costretto a succedere al ben più affascinante e spavaldo fratello Edward (Edoardo VIII), che abdicò dopo appena 325 giorni di regno nel dicembre 1936.
    Il primogenito rinunciò alla corona, scadendo a duca di Windsor, per amore dell’americana Wallis Simpson, avventuriera divorziata, con trascorsi torbidi e addentellati più o meno chiariti con fascisti e nazisti.
    Bertie l’insicuro, magistralmente interpretato da Colin Firth nel film Il discorso del re (2010), sapeva di dover restituire l’onore perduto alla monarchia e con la moglie, Elizabeth Bowes-Lyon, vivace nobildonna scozzese, la gestì come un’azienda: una ditta in cui tutta la famiglia reale si metteva al servizio dell’istituzione.
    La piccola Elisabetta venne cresciuta in quest’etica del dovere e dello spirito di servizio.
    Le fu di sprone, più dei genitori, la nonna paterna d’origine tedesca Vittoria Maria di Teck, Queen Mary.
    Era lei, severa tradizionalista, che la portava a visitare castelli e musei, le inculcava il senso della disciplina e l’osservanza del protocollo, le faceva impartire un’istruzione da futuro capo di Stato.
    Al nonno George, figura scialba, premeva solo che la nipote imparasse a scrivere in bella grafia.
    Teutonico era comunque anche il suo sangue: cugino del kaiser Guglielmo II, re Giorgio V, mentre l’Inghilterra era in guerra contro la Germania nel 1917, aveva opportunamente convertito il nome del casato, Sassonia-Coburgo-Gotha, in Windsor.

 

  • Pronta alla bisogna
    A 10 anni Lilibeth studiava da altezza reale sacrificando le lezioni di ballo, musica e latino per concentrarsi su quelle di storia, geografia e francese.
    Sovrintendeva alla sua formazione una governante scozzese di origini piccolo-borghesi, Marion Crawford.
    La servì per 16 anni influenzandone il penchant rustico, quella passione innata per trench, ruvide giacche di tweed, fazzoletti da contadina e stivali di gomma, l’inclinazione alla parsimonia e un certo cattivo gusto in fatto d’abbigliamento.
    Lilibeth era un soldatino: piegava gli abiti ogni sera e s’alzava di notte a riordinare le scarpe. Passava più tempo con cavalli e cani che con le bambole.
    Era metodica e concreta, ben diversa dalla sorella Margaret (che salirà agli onori delle cronache prima per il suo flirt sfortunato con un eroe di guerra divorziato e poi per un matrimonio mal riuscito), ma si distingueva anche per l’intelligenza e la curiosità onnivora.
    Stupiva quando interveniva nelle conversazioni. Si fece addirittura la nomea di enfant prodige.
    Al punto che Winston Churchill, habitué del salotto reale prima ancora di diventare premier, la prese in simpatia, ampiamente ricambiato.

 

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2. Sotto le bombe

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La guerra completò l’apprendistato: Elisabetta superò in anticipo la linea d’ombra che separa la giovinezza dall’età adulta.

Re Giorgio e sua moglie decisero di dare l’esempio alla popolazione rimanendo a Londra sotto le bombe tedesche e rispettando le regole del razionamento.

Elisabetta e Margaret facevano volontariato e s’adattavano alle ristrettezze in quel di Windsor. Il timbro dell’austerità s’impresse per sempre nell’animo della futura regina.

Leggendaria la sua parsimonia, che pare sconfini nella tirchieria: è risaputo che la donna più ricca del mondo fa rammendare le tende delle sue regge e rattoppare divani, poltrone, lenzuola e persino le sue sottovesti, pur di non buttarle.

Al figlio Carlo, che una volta le chiese alcuni mobili (da lei accatastati in cantina), rispose: «Se li vuoi, comprali».

Nel 1942 si guadagnò i gradi di colonnello delle Guardie reali, nel 1945 finì arruolata nell’esercito femminile, dove imparò a smontare motori e a guidare camion e carri armati.

Ma sotto la divisa il suo cuore palpitava sempre per Filippo di Grecia, cugino di terzo grado, nonché biondo e aitante cadetto dell’Accademia.

L’aveva notato a 13 anni e se n’era innamorata a 17. In quel periodo i due giovani si scrivevano e frequentavano: Filippo era stato assegnato alla sua scorta.

Di 5 anni più grande, aveva un’aria da vichingo affascinante ed era un valoroso luogotenente di Marina.

 

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3. Bello e squattrinato

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Unico figlio maschio del principe Andrea di Grecia e della principessa Alice di Battenberg (bisnipote della regina Vittoria), Filippo era cresciuto tra Francia e Gran Bretagna, sotto l’ala dello zio lord George Mountbatten, con un padre esiliato in seguito al colpo di Stato in Grecia del 1922 e una madre affetta da turbe psichiche e rinchiusa in una clinica svizzera.

Proprio lo zio, di cui Filippo aveva assunto il cognome anglicizzato (Mountbatten è la traduzione di Battenberg), lo caldeggiò come miglior partito disponibile.

Le nozze si celebrarono nell’Abbazia di Westminster il 20 novembre 1947 nel tripudio di un’Inghilterra ancora povera e sottoposta ai razionamenti.

La cerimonia venne trasmessa in diretta radiotelevisiva. Era la rottura d’una tradizione di separatezza e l’inizio d’un graduale allineamento ai princìpi della modernità. Nella cauta apertura ai mass media, Elisabetta imitava la madre.

Filippo, nominato duca d’Edimburgo, rinunciò ai titoli di principe greco e danese – che aveva assunto per nascita – e a ogni pretesa sul trono ellenico, si convertì alla religione anglicana, accettò il ruolo di coniuge e accompagnatore ufficiale.

Avrebbe tuttavia voluto dare il suo cognome a moglie e figli, ma si scontrò con il veto di Churchill: un nome dagli echi tedeschi dopo le rovine della Seconda guerra mondiale sarebbe stato mal visto dagli inglesi.

Ne scaturì un lungo braccio di ferro che raffreddò il trasporto reciproco degli sposi. I biografi malevoli sottolineano come tra la nascita della secondogenita Anna e del terzogenito Andrea siano passati dieci anni circa.

Alla fine si trovò una soluzione di compromesso: i discendenti ereditarono il doppio cognome, Mountbatten-Windsor. Ma c’era qualcos’altro che indisponeva profondamente Filippo: a Buckingham palace era trattato da semplice inquilino, escluso dalle attività della consorte.

Elisabetta, con lo scettro di Regno Unito da cui discendevano poteri di comando sull’esercito e la magistratura, aveva assunto anche la carica di supremo governatore della Chiesa anglicana e di capo del Commonwealth, l’organizzazione intergovernativa delle oltre 50 nazioni dell’ex Impero britannico.

Ancor oggi è ufficialmente sovrana di Canada, Australia e Nuova Zelanda; ed è il ruolo al quale tiene di più. Ha più una funzione consultiva e di rappresentanza che un potere effettivo, e tuttavia la sua moral suasion, l’autorità morale, pesa nelle decisioni parlamentari.

Dovette tenerne conto anche Margaret Thatcher, primo ministro inglese negli Anni ’80. 

Le due “lady di ferro” non si amavano e la regina espresse pubblicamente il suo dissenso verso l’operato dell’altra in almeno due occasioni: quando la Thatcher esagerò con il pugno di ferro nei riguardi dei minatori in sciopero e quando si rifiutò di applicare le sanzioni al Sudafrica per l’apartheid. La spuntò Elisabetta.

 

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4. La giornata tipica e scandali in famiglia

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  • La giornata tipica
    Da sempre la sovrana assolve con il massimo scrupolo ai suoi compiti istituzionali.
    Si sveglia alle 7 con una tazza di tè e la lettura del quotidiano preferito, Sporting life, sulle corse di cavalli.
    Poi fa colazione con il marito e alle 9 in punto siede nel suo ufficio, dove per ore esamina articoli, posta, relazioni sui lavori parlamentari e le cosiddette “valigette rosse”, cioè tutte le circolari e i rapporti dei ministeri (unica a potervi accedere, con il figlio Carlo e il premier in carica).
    Ogni giovedì pomeriggio chiama a rapporto l’inquilino di Downing Street, il primo ministro britannico, tre volte la settimana dà udienza, due sere la settimana partecipa a cene o feste benefiche. Filippo è al suo fianco solo in queste ultime.
    Elisabetta, in compenso, gli ha delegato il governo della famiglia, un po’ perché è lei a difettare di senso materno (ne sa qualcosa Carlo) un po’ perché la sovrana riconosce l’autorità del coniuge nell’intimità domestica.
    Si dice che l’amore tra i due sia finito quando lei ha cinto la corona e sposato i suoi doveri di regina. Rispetto e complicità, però, non sono mai venuti meno.
    Di fatto la coppia dorme in camere separate da una vita e Filippo ha notoriamente collezionato un’infinità di scappatelle.
    Ancora fresco di nozze, passava notti di bagordi in un famoso club privato londinese.
    Nell’elenco delle sue conquiste figurano anche l’attrice Merle Oberon, la scrittrice Daphne du Maurier, la cugina Alessandra di Kent, la conduttrice televisiva oriunda italiana Katie Boyle e, pare, anche una consuocera: Susan Barrantes, madre di Sarah Ferguson.
    Una volta era quello il suo sport preferito. Negli ultimi anni, ormai acciaccato, si limita al gioco del polo, alla caccia (è un giustiziere di pernici e fagiani, pur presiedendo da decenni il Wwf inglese e internazionale) e si conferma campione imbattibile di gaffe.
    Non è escluso che la moglie gli abbia reso pan per focaccia tra le lenzuola: si mormora che ci sia stato del tenero tra lei e il manager delle sue scuderie, lord Porchester, e con un segretario particolare, il barone Plunkett.

 

  • Scandali in famiglia
    Ma Elisabetta e il marito hanno sempre fatto gioco di squadra.
    Si sono sorretti a vicenda specie nella telenovela che, più di ogni guerra o contestazione, ha scosso alle fondamenta la monarchia inglese: l’affaire tra Carlo, Diana e Camilla e lo scandalo parallelo che ha visto coinvolti il principe Andrea e l’ormai ex moglie Sarah Ferguson.
    In Diana Spencer, impalmata da Carlo nel 1981, la Gran Bretagna aveva trovato un’icona planetaria.
    La ragazza impacciata e poco colta col suo ciuffo biondo era diventata la testimonial della Royal Family.
    Poi, da separata, Diana aveva saputo trasformarsi in diva pop, in una icona glamour, e dopo le sue rivelazioni sui tradimenti di Carlo, che l’aveva costretta a un matrimonio a tre con la duchessa Camilla Parker Bowles, il bel cigno si era tramutato in un’altra figura mitica, la principessa triste, abbattuta ma capace di vendicarsi a suon di scoop televisivi e biografie. Questo fino al tragico finale nel tunnel dell’Alma, a Parigi.
    La Real Casa, the Firm (“l’Azienda”, come la chiama Filippo), aveva rischiato a quel punto di annegare sotto un diluvio di fango.
    Se la regina ha individuato nel 1992 il suo annus horribilis, l’anno in cui le è toccato digerire le separazioni di Carlo e Andrea, il divorzio della figlia Anna e l’incendio del Castello di Windsor, il momento più difficile è giunto però nel 1997, quando, pressata dal premier Tony Blair, ha dovuto inchinarsi alla ragion di Stato e rendere un omaggio pubblico al feretro della nuora detestata, acclamata dal popolo come una martire.
    Ce l’ha ben raccontato il film di Stephen Frears The Queen (2006).
    Ma il suo capolavoro risale all’anno di grazia 2011, con il matrimonio in diretta planetaria del nipote William e la commoner Kate Middleton, la borghese dalle gambe lunghe e dalle fossette malandrine che ha riportato la Royal Family sulle copertine, fortunatamente per i cambi d’abito più che per gli scandali.
    Si sa che Elisabetta vorrebbe cedere al biondo e aitante alfiere dei Windsor la sua corona; il 66enne Carlo non è mai stato il suo preferito, troppo filosofo, colto ed emotivo, un mollaccione per farla breve.
    Così, per ora, Lilibeth stringe ancora dritta la barra e ben salde le redini del suo regno, senza mai dimenticare il motto dei suoi avi: “Never explain, never complain” (“Mai spiegare, mai lamentarsi”).

 

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5. Un tesoro di regina e i cani come figli

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  • Un tesoro di regina
    Dal 1992 Elisabetta paga le tasse (il 40% sulle rendite).
    E gli oltre 50 milioni di sterline del restauro del Castello di Windsor, bruciato proprio quell’anno, se li è accollati lei, rimanendo comunque la donna più ricca del globo.
    Residenze e gioielli. Il Crown Estate (patrimonio reale) ammonta a oltre 7 miliardi di sterline (8,5 miliardi di euro).
    Comprende le 8 residenze ufficiali mantenute a spese dei contribuenti (per dare un’idea, Buckingham palace dà lavoro a 500 persone), interi isolati nell’area dell’esclusiva Regent street londinese, il Parco di Windsor, l’ippodromo di Ascot, miniere d’oro e d’argento, 145 mila ettari di terreni e le acque britanniche sino a 12 miglia dalla costa, una galleria di 7 mila dipinti (vari Leonardo, Raffaello e Canaletto) e 40 mila acquerelli, libri antichi, treni, yacht, fuoriserie, cavalli purosangue e la più vasta collezione di gioielli al mondo.
    Come capo di Stato riceve un appannaggio annuo di circa 8 milioni di sterline, ma c’è una riforma in atto che porterà dei tagli. Forse i Windsor dovranno trovarsi un lavoro?

 

  • I cani come figli
    Si dice che con loro sia stata molto più tenera che con il figlio Carlo.
    La fama dei corgi, piccoli e tozzi cani da pastore, è dovuta all’affetto che dall’infanzia Elisabetta nutre per loro.
    Era il 1933 quando il duca di York donò alle figlie due cani di razza pembroke, variante dei welsh corgi, Jane e Dookie. 
    A 18 anni Elisabetta ricevette Susan, la prima cucciola tutta sua. Da allora ne ha allevati a decine.
    Ha avuto anche cani di altre razze, ma il suo cuore non resiste al muso volpigno dei corgi, che hanno persino facoltà di morderla: corre voce che sia la sovrana stessa a imboccarli con un cucchiaio d’argento con cibi cotti al momento, e che li lasci scorrazzare ovunque, liberi di dormire sui broccati reali.
    Quando l’anno scorso una misteriosa epidemia ha falcidiato le bestie della tenuta di Sandringham, nel Norfolk, la sovrana è corsa ai ripari per salvare i suoi corgi.
    D’altra parte, l’amore dei reali inglesi per i cani è noto: Vittoria fece seppellire il suo Noble, un collie, nelle segrete di Balmoral, con tanto di lapide.

 

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